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Una nuova strada nei rapporti tra Chiesa e Stato?

Una nuova strada nei rapporti tra Chiesa e Stato?

Tratto da: Adista Documenti n° 43 del 04/12/2021

Stiamo vivendo un cambiamento epocale

Si è prestata abbastanza attenzione alle osservazioni di papa Francesco sul cambiamento epocale che stiamo vivendo? Egli ne parla fin dall’inizio del suo pontificato, l’ha menzionato nella Evangelii Gaudium, la sua enciclica-programma, e l’ha perfettamente espresso in un’affermazione che mostra chiaramente la direzione delle sue azioni negli ultimi otto anni, nel discorso del 10 novembre 2015, tenutosi nel Duomo di Firenze.

Se si considera che il ruolo di un capo non è propriamente quello di gestire l’organizzazione che guida, ma di avere un distacco sufficiente da permettergli di fare in tempo i cambiamenti necessari, possiamo dire che papa Francesco è realmente l’uomo che la Provvidenza ci offre per la guida della Chiesa oggi. Checché ne dicano i tradizionalisti, riluttanti per principio all’idea stessa di cambiamento, le parole di questo discorso meritano di essere riprese e analizzate:

«Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca. Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli: il Signore è attivo e all’opera nel mondo. Voi, dunque, uscite per le strade e andate ai crocicchi tutti quelli che troverete, chiamateli, nessuno escluso (cfr. Mt 22,9). Soprattutto accompagnate chi è rimasto al bordo della strada, “zoppi, storpi, ciechi, sordi” (Mt 15,30). Dovunque voi siate, non costruite mai muri né frontiere, ma piazze e ospedali da campo».

I problemi del presidente della Conferenza episcopale di Francia con lo Stato

All’indomani della presentazione del Rapporto della Commissione Indipendente sugli Abusi Sessuali nella Chiesa alla Conferenza episcopale francese e alla Conferenza dei Religiosi e delle Religiose di Francia, il 6 ottobre 2021, mons. Eric de Moulins-Beaufort, arcivescovo di Reims, ha suscitato un gran clamore, dicendo a una radio che il segreto della confessione è «più forte delle leggi della Repubblica». Il ministro dell’Interno, che in Francia è anche ministro degli Affari religiosi, l’ha convocato la settimana successiva perché spiegasse il senso delle sue affermazioni. L’arcivescovo di Reims si è poi scusato con le vittime e con coloro che erano rimasti offesi, cercando di giustificarsi.

Nessuno sospetterebbe che il presidente dei Vescovi di Francia abbia cercato di ristabilire la teocrazia, ma il danno è stato fatto. È, infatti, discepolo del grande teologo francese, il cardinale Henri de Lubac (1896- 1991), sul quale ha anche fatto la sua tesi di dottorato in Teologia. Questo passo falso, sul quale un uomo come lui non avrebbe mai dovuto farsi cogliere in fallo, è stato tuttavia compiuto e ha rilanciato in Francia il dibattito secolare sulle relazioni tra la Chiesa e lo Stato. Soprattutto, ha dimostrato la posizione di privilegio, abituale per i vescovi cattolici, che non sono a cora entrati concretamente e praticamente nella conversione di atteggiamento imposta da tale cambiamento epocale.

Il fallimento della società perfetta del card. Ottaviani al Concilio Vaticano II

Dopo la Rivoluzione francese, la Chiesa cattolica, molto scossa dagli eventi, cercò di proteggere i suoi privilegi nella società, pretendendo che si trattasse di una società perfetta. Si trattava di un modo per difendersi contro gli attacchi da parte delle nazioni sovrane. Ma non facciamo di tutta l’erba un fascio, non fu tutto negativo anche se grandi menti, come il beato Antonio Rosmini (1797- 1855), avevano avvertito dei pericoli che questo avrebbe comportato, così come fece in Francia il deputato liberale cristiano Charles de Montalembert (1810-1870), amico di Lacordaire (1802-1861).

La Chiesa aveva più semplicemente dimenticato che, dopo le persecuzioni dell’Impero romano, aveva rivendicato per sé questa libertà che, poi, aveva rifiutato di riconoscere.

Al Concilio Vaticano II, il cardinale Alfredo Ottaviani (1890- 1979), prefetto del Santo Uffizio, trasformato poi nella Congregazione per la Dottrina della Fede, aveva tentato di far approvare dai Padri la dottrina del la Chiesa-società perfetta, che papa Leone XIII aveva difeso attraverso le encicliche e che era stata la nozione centrale del Codice di Diritto Canonico del 1917. Per società perfetta si intendeva che la Chiesa ha di diritto tutti i mezzi per la sua esistenza, come lo Stato, e che è addirittura superiore a esso perché detiene un fine spirituale. Nello spirito del cardinale, questo doveva aprire un capitolo speciale sulle relazioni tra la Chiesa e lo Stato, previsto nella Costituzione sulla Chiesa.

Le nuove prospettive presentate al Concilio dal card. Bea

Il cardinale tedesco Augustin Bea (1881-1968) difendeva, invece, la posizione che si sarebbe imposta tra i Padri del Concilio. Egli ragionava in modo più realista e meno dogmatico del cardinale Ottaviani, sottolineando che le circostanze dell’epoca erano cambiate e che era necessario guardare al rapporto tra Stato e Chiesa da un’altra angolazione e in un altro modo. Per lui, la nozione di libertà religiosa diventava essenziale nei tempi che si stavano aprendo per la Chiesa, e non si poteva rispondere a queste nuove esigenze riproponendo le stesse ricette del passato, anche nel caso in cui queste ultime fossero diventate parte della dottrina della Chiesa attraverso l'insegnamento dei papi.

Il dibattito intellettuale tra questi due santi uomini permise alla Chiesa di progredire. Il capitolo tanto desiderato dalla Curia e dal cardinale Ottaviani sulle relazioni Chiesa-Stato fu, dunque, soppresso e la dottrina presentata dal cardinale Bea fu ripresa nella Dichiarazione sulla Libertà religiosa. Fu sancita nei nuovi principi attraverso la giusta autonomia delle realtà terrene, riconosciuta nel numero 36 della Costituzione Pastorale Gaudium et spes: «Se per autonomia delle realtà terrene si vuol dire che le cose create e le stesse società han no leggi e valori propri, che l'uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di una esigenza d'autonomia legittima: non solamente essa è rivendicata dagli uomini del nostro tempo, ma è anche conforme al volere del Creatore».

Il ritorno della teologia politica

Ma le cose continuano ancora oggi ad andare avanti. Il concetto di separazione tra Chiesa e Stato, che la Francia vive in maniera particolare da più di un secolo, per quanto utilissimo, ha lo svantaggio di relegare la fede nella vita privata. Così qualsiasi manifestazione pubblica della Fede cristiano-cattolica rappresenta ogni volta un problema. La Chiesa non si può accontentare di essere solamente l’anima del mondo, come dice uno dei più antichi testi cristiani, la Lettera a Diogneto: «Insomma, per parlar chiaro, i cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo».

È a questo punto che interviene un teologo americano, William T. Cavanaugh, che ripensa i concetti in una chiave del tutto nuova in pubblicazioni di alto profilo, a partire dal ruolo della Chiesa in Cile sotto la dittatura di Pinochet. Cavanaugh ha lavorato in Cile quando il cardinale Raul Silva Enriquez (1907-1999) s’oppose alla tortura praticata dal regime del generale Augusto Pinochet (1915-2006). Nato nel 1962, è professore di teologia alla DePaul University di Chicago. Ha pubblicato la sua tesi, Torture and the Eucharist: Theology, Politics, and the Body of Christ. Oxford: Blackwell Publishing, 1998. Ispirandosi all’espressione di papa Francesco sulla Chiesa come ospedale da campo, ha pubblicato nel 2016 Field Hospital, the Church’s engagement with a Wounded World, William B. Eerdmans Publishing Company, Grand Rapids Michigan – Cambridge U.K.

In una recensione per il quotidiano La Croix, padre Dominique Greiner evidenzia come Cavanaugh rifletta su «un nuovo modo di ripensare la responsabilità e l’intervento diretto della Chiesa nelle società pluraliste e democratiche», come illustrato anche da HenriJérôme Gagey et Laurent Villemin in un’opera pubblicata da Cerf nel 2017, Eglise, politique et Eucharistie, dialogue avec William T. Cavanaugh. Quando lavorò in Cile, Cavanaugh osservò come la Chiesa aveva reagito sotto la guida del grande cardinale Silva Enriquez. La Chiesa aveva saputo «avventurarsi nella vita pubblica come corpo di Cristo formato dall'ascolto della parola e dalla celebrazione dell'Eucaristia». Era il momento di dar prova di immaginazione, come aveva fatto la Chiesa in Cile scomunicando i torturatori, creando delle reti di solidarietà per la popolazione ridotta alla miseria, organizzando delle mobilitazioni lampo per dare visibilità «liturgica» agli scomparsi, etc. Questo nuovo pensiero teologico si fonda, tuttavia, sull’autentico significato del Corpo Mistico di Cristo come evidenziato dal cardinale de Lubac.

Sorridere e aprirsi Lungi, dunque, dal piangere e dall’auto-flagellarsi come i responsabili della Chiesa hanno la tendenza a fare davanti alla crisi degli abusi, in questo momento si tratta di agire in maniera creativa, come si è fatto ogni volta che la Chiesa è entrata in una nuova fase della sua Storia. Per dirla nel modo più semplice del mondo, nella Chiesa siamo bravi essenzialmente in due cose: le sepolture (e abbiamo già seppellito diverse civiltà), ma anche la resurrezione. Lo Spirito Santo ci chiede di seppellire l'ultimo periodo, con le lacrime se vogliamo, ma soprattutto di sorridere, attraverso il cambiamento epocale, a quello che verrà, perché tutti i tempi sono di Dio, specialmente quello in cui abbiamo la fortuna di vivere.

Prete francese della diocesi di Valence, Pierre Vignon è giudice ecclesiastico licenziato per aver chiesto le dimissioni del card. Philippe Barbarin (all’epoca sotto processo per la gestione di casi di abusi e poi assolto)

Dipinto di Maximino Cerezo Barredo, per gentile concessione dell'autore.

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