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L’incontrastato declino delle verità cristiane

L’incontrastato declino delle verità cristiane

Tratto da: Adista Documenti n° 22 del 24/06/2023

Le indagini sociologiche che affrontano la percezione che oggi si ha di alcune verità cristiane riguardanti il contenuto della fede (la cosiddetta fides quae creditur) – cfr. tra i contributi più recenti quello di Franco Garelli, Gente di poca fede. Il sentimento religioso nell’Italia incerta di Dio, Il Mulino, Bologna 2020 – mettono in evidenza la loro perdita di significato o addirittura la loro cancellazione anche nella coscienza di molti praticanti. Verità come l’Unità-Trinità di Dio, la nascita verginale di Gesù, la transustanziazione, l’Immacolata Concezione, l’infallibilità papale, l’Ascensione di Maria al cielo, l’escatologia (e l’enumerazione potrebbe continuare), anche laddove permangono nell’immaginario dei credenti sembrano non avere alcun riscontro e alcuna incidenza sul vissuto quotidiano così da poter essere tranquillamente accantonate.

Le ragioni di questo declino sono molte, e vanno ricercate nello scarso livello di cultura religiosa assai diffuso nel nostro Paese e nell’incapacità della Chiesa (del magistero in particolare) di rendere attuale il messaggio evangelico con un linguaggio capace di interpretare in modo adeguato le istanze proprie della modernità e della postmodernità. Nel primo caso – quello dello scarso livello di cultura religiosa – a generare questa situazione, è, da un lato, l’irrilevanza del fenomeno religioso, il predominio della cultura scientifico-tecnologica, che ha sostituito il linguaggio simbolico, che è il linguaggio proprio dell’esperienza religiosa, con quello fisico-matematico; e, dall’altro, il ripiegarsi della Chiesa su sé stessa, facendo del messaggio cristiano una sua proprietà esclusiva, e non favorendo, di conseguenza, il suo inserimento nelle istituzioni culturali della società, per paura che venga alienato. Emblematica è, al riguardo, la riforma dell’Insegnamento della religione cattolica, attuata dopo l’ultimo Concordato, con una formula ambigua tra cultura e catechesi e con la sola preoccupazione di poter gestire come chiesa nella scuola statale la nomina e il controllo degli insegnanti (una pretesa assurda e miope, che ha condotto e condurrà sempre più in futuro alla diserzione).

Sul secondo versante – quello dell’incapacità del magistero di proporre in mondo attuale e coinvolgente le verità cui si fa qui riferimento – è indubbio l’arroccamento della Chiesa su formule tradizionali, legate alla cultura del tempo in cui sono nate e che vanno invece oggi tradotte, per essere comprese, in un linguaggio nuovo, che faccia proprie, sia pure criticamente, le categorie interpretative della modernità e della postmodernità. Tale trasferimento – come è risaputo – non è facile: il linguaggio non è un semplice involucro separabile dal contenuto della verità che intende trasmettere; è parte integrante di essa – linguaggio e contenuto interagiscono tra loro in maniera costante e inscindibile –; ma questo non impedisce che sussista la possibilità di operare una certa distinzione e di attivare un processo di risignificazione; cosa, del resto, in certa misura, sempre messa in atto. Basti pensare che il passaggio dalla Patristica dei primi secoli alla Scolastica medioevale ha segnato l’abbandono delle categorie platoniche, in cui le verità cristiane venivano formulate, e l’adozione – grazie soprattutto a Tommaso d’Aquino – di quelle aristoteliche, con due visioni del mondo tra loro assai diverse.

La gerarchia delle verità

Ma, tornando più direttamente alla questione iniziale riguardante alcune (tra le molte) verità che appartengono al patrimonio della tradizione cristiana, è anzitutto importante sottolineare – lo ha messo chiaramente in evidenza la Costituzione sulla Chiesa del Vaticano II, la Lumen gentium – che non tutte le verità del cristianesimo hanno lo stesso valore; in termini più appropriati, che le verità cristiane presentano una varietà di “note teologiche” con un diverso grado di rilevanza e che si dà pertanto, una “gerarchia delle verità” che va rispettata, se si intende avere una visione organica del mistero cristiano che consenta di coglierne l’armonica e articolata ricchezza.

A questo si deve aggiungere – e non è cosa di poco conto – che è giustamente venuto affermandosi, anche a seguito della riforma conciliare, l’impegno a una essenzializzazione del cristianesimo, essenzializzazione che si è tradotta in una forma di “concentrazione cristologica” che fa dell’evento-persona di Gesù di Nazaret il perno attorno a cui far ruotare le altre verità secondo un processo a cerchi concentrici, la cui rilevanza è proporzionale alla maggiore o minore vicinanza rispetto al nucleo centrale.

Questi due fondamentali criteri vanno applicati anche alla rassegna delle verità elencate. Molto diversa è, in primo luogo, l’importanza della verità dell’Unità-Trinità di Dio rispetto a quella della “transustanziazione”. Nel primo caso, si tratta del nucleo portante del mistero cristiano – in questo non si può dar torto al catechismo di San Pio X che definisce l’Unità e Trinità di Dio e l’incarnazione, passione morte e risurrezione di Gesù Cristo come il centro della fede –; nel secondo caso, si tratta di una categoria teologica utilizzata per esprimere il mistero dell’eucaristia; categoria che ha le sue radici in una concezione filosofica medioevale divenuta oggi desueta, e che va allora sostituita con altre – nel dibattito teologico postconciliare è emersa come categoria sostitutiva “transignificazione” (per alcuni teologi “transfinalizzazione”) – la quale meglio corrisponde all’odierna riproposizione della realtà del mistero.

Analogamente, una radicale reinterpretazione esigono le verità della nascita verginale da Gesù e dell’escatologia. La prima, che appartiene al patrimonio della più antica tradizione cristiana e che si è costantemente conservata nel tempo, è stata – purtroppo – fatta oggetto di letture fisiciste e materialiste che vengono giustamente respinte dalla sensibilità dell’uomo di oggi. La seconda serie di verità – quelle relative all’escatologia – ha generato raffigurazioni folkloristiche, che hanno trovato espressione anche nell’arte pittorica: si pensi in particolare alle rappresentazioni dell’inferno (fiamme, diavoli con forconi, ecc.) divenute ai nostri giorni grottesche e improponibili.

Una considerazione a parte meritano i dogmi mariani (Immacolata Concezione e Assunzione di Maria al cielo), la cui proclamazione è avvenuta a seguito della definizione, da parte del Concilio Vaticano I, dell’infallibilità papale fortemente voluta da papa Pio IX. Le condizioni poste per esercitare tale infallibilità sono restrittive – si pensi al concetto di ex cathedra –: il che non ha mancato tuttavia di introdurre una sorta di esteso infallibilismo – ce lo ha ricordato Hans Küng – che ha finito per conferire al papa il potere di un monarca assoluto, separandolo tanto dal collegio dei vescovi quanto dal sensus fidei dell’intera comunità cristiana. I due dogmi che peraltro – va detto – affondano le radici in una lunga tradizione cristiana, vanno letti anche come l’assegnazione di un potere dottrinale destinato a ridare prestigio al papato, dopo che gli era stato (giustamente) tolto il potere temporale.

Una conclusione aperta

La possibilità di uscire da questa distretta per restituire duttilità alla proposta cristiana, restituendole credibilità e rendendone possibile la trasmissibilità anche agli uomini di oggi è legata alla messa in atto di un costante processo reinterpretativo, che la renda esistenzialmente assimilabile.

Questo comporta una rilettura anche del patrimonio dogmatico; le verità in esso contenute, lungi dal dover essere conservate in termini mummificati, aderendo alla formulazione linguistica che ha preso corpo in un preciso momento storico con riferimento perciò alle categorie filosofiche e culturali di quel momento, vanno assunte come il punto di arrivo di un cammino e, nello stesso tempo, come l’avvio di ulteriori approfondimenti. Questo significa che la verità cristiana è dunque permanentemente in fieri – è questo il significato del concetto di “evoluzione dei dogmi” – la quale, senza venir meno al nucleo portante, va soggetta a continue reinterpretazioni che la rendono significativa nel tempo.

In questo modo (e solo in questo) è possibile che le verità cristiane sulle quali ci si soffermati (e le molte altre) ritrovino una credibilità e un consenso, che va oltre un’astratta adesione teorica, per coinvolgere la vita quotidiana in tutta la ricca gamma delle sue espressioni.

Giannino Piana è teologo morale e saggista. Insegna Etica cristiana presso l'Università di Urbino ed Etica ed Economia presso l'Università di Torino.

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