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In Europa si vota per il ripristino della natura. Ma l’Italia frena

In Europa si vota per il ripristino della natura. Ma l’Italia frena

Tratto da: Adista Notizie n° 23 del 01/07/2023

41511 ROMA-ADISTA. Un regolamento europeo che obbliga gli Stati membri a ripristinare il 20% delle aree marine e terrestri entro il 2030, frenando così la perdita di biodiversità e rallentando il cambiamento climatico. Quello che oggi sembrerebbe un’utopia ambientalista è in realtà una proposta di legge vera e propria, che presto potrebbe diventare operativa e vincolante. È da giugno 2022 che se ne discute, quando la Pdl è stata presentata dalla Commissione Europea nell’ambito del Green Deal europeo e della strategia Ue sulla biodiversità, che stabilisce vincoli stringenti per la salvaguardia e il recupero degli ecosistemi a rischio, in particolare quelli in grado di assorbire maggiormente CO2, alleati strategici “naturali” nella lotta alla cambiamento climatico.

Secondo la Commissione, che un anno fa ha presentato la proposta di legge, l’81% degli habitat del Vecchio Continente (torbiere, zone umide, aree marine, praterie, foreste, dune, ecc.) godono di pessima salute e rischiano il degrado, così come tutte le specie di insetti impollinatori, api e farfalle. La Commissione afferma inoltre che ogni euro investito nel ripristino della natura produce dagli 8 ai 38 euro in benefici (link).

La Nature Restoration Law, qualora approvata, imporrebbe ai governi dei Paesi membri di approntare un piano nazionale per il ripristino degli ambienti terresti e marini e delle specie animali bastato su 7 target specifici: implementazione delle normative già esistenti, insetti impollinatori, foreste, verde urbano, aree agricole, ecosistemi marini, rimozione degli ostacoli alla connettività delle acque fluviali.

Interessi in gioco

La legge si è dimostrata, sin dall’inizio del suo iter, fortemente divisiva: favorevoli le organizzazioni europee della società civile ambientalista, gli scienziati, le sinistre e i partiti “verdi”; contrarie le lobby politico-industriali, le organizzazione di agricoltori e pescatori e le destre dell’Unione (il Partito Popolare EuropeoPpe rappresenta il più grande assembramento politico in Parlamento), convinte che il ripristino e la protezione della natura possa in qualche modo interferire e quindi danneggiare attività industriali, commerciali ed estrattive, nonché frenare lo sviluppo delle energie rinnovabili, come il solare e l’eolico.

Posizione questa che è stata però fortemente contestata da numerose importanti multinazionali come Ikea, Coca Cola Europe, Nestlè e Suez che, in un Business Statement, hanno chiesto a gran voce la promulgazione della normativa europea per il ripristino della natura. Persuase che in un mondo malato non possa prosperare alcuna attività economica e che, come recita il titolo del documento, Nature is our business, our future, our life (link www.ournatureourbusiness.eu).

Il tentativo di boicottare la legge in Parlamento è fallito di un soffio (anzi, di un voto) il 15 giugno scorso, quando in Commissione Ambiente – composta da 88 membri – il Ppe ha proposto un emendamento che avrebbe fatto decadere l’intera proposta di legge. Alla conta è finita con un pareggio, 44 voti favorevoli contro 44 contrari, quanto basta per non consentire all’emendamento di far naufragare la normativa che ora, dopo la discussione degli emendamenti in Commissione, approderà per il voto definitivo alla plenaria di luglio del Parlamento Europeo.

L’Italia s’è destra

Intanto, il 20 giugno scorso a Lussemburgo, è arrivato anche il parere del Consiglio Ambiente, l’organismo del Consiglio Europeo responsabile della tutela ambientale e del cambiamento climatico, composto dai ministri dell’Ambiente dei Paesi membri. Nonostante le contrapposizioni emerse anche in questa sede, una maggioranza qualificata di 20 Paesi su 27 ha votato l’“approccio generale” in sostegno alla Nature Restoration Law.

Secondo il WWF, che il 20 giugno ha accolto con favore il voto in Consiglio Ambiente, «gli Stati Membri hanno dimostrato ai gruppi parlamentari di opposizione che c’è sia la volontà che la necessità di ripristinare la natura in Europa» (link urly.it/3v-14). Non tutti però: l’Italia, rappresentata in Consiglio dal ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, si è infatti sfilata, votando – insieme ad Austria, Belgio, Finlandia, Olanda, Polonia e Svezia – contro il testo della normativa, nonostante fosse stato “ammorbidito” rispetto alla proposta originaria per garantire più flessibilità all’azione degli Stati.

In Consiglio Ambiente, Pichetto Fratin ha riconosciuto l’importanza ambientale e sociale di un regolamento europeo sul ripristino della natura e ha accolto con favore le modifiche «migliorative». Il ministro si è tuttavia detto preoccupato che il regolamento «non sia sostenibile per tutte le categorie interessate» (agricoltura e pesca). Il testo è «insoddisfacente» anche sotto il profilo delle «possibili implicazioni finanziarie». «Le risorse necessarie per l’attuazione del regolamento – ha poi detto in maniera più esplicita – devono essere chiarite e disponibili prima della sua entrata in vigore» (askanews, 20/6; link urly.it/3v-2s).

Il «menefreghismo ambientale» del governo

Secondo il WWF, il voto italiano è «inspiegabile». L’Italia è infatti «uno dei Paesi a più alta biodiversità di tutta l’Europa» e «dall’entrata in vigore della Nature Restoration Law potrà avere effetti positivi, non solo per la natura e l’ambiente, ma anche per la stessa economia. Quella espressa dal governo per il tramite del ministro Pichetto Fratin è una scelta politico-ideologica che contrasta con gli interessi del nostro Paese. Auspichiamo che gli europarlamentari italiani, chiamati a metà luglio a votare la legge, vorranno assumere una posizione diversa, più in linea con l’Europa e con la storia del nostro Paese».

Anche secondo Angelo Bonelli (co-portavoce nazionale di Europa Verde e deputato di Alleanza Verdi e Sinistra) «l’intesa raggiunta» rappresenta «un passo avanti importante e un segnale forte dell’impegno europeo verso la tutela della biodiversità». In tal senso, denuncia, il voto del ministro «è da guardare con preoccupazione e come un segnale evidente di un governo che non vede le politiche ambientali come una priorità». Pichetto Fratin, sostiene Bonelli, ha avanzato giustificazioni che «sono vere e proprie fake news su pesca e agricoltura. Constato per l’ennesima volta il “menefreghismo ambientale” che questa destra sta portando avanti. A farne le spese sarà, purtroppo, l’intera collettività».

In una lettera aperta datata 9 giugno (link urly.it/3v-2x), 28 organizzazioni della società civile – tra le quali ActionAid Italia, Greenpeace, Italia Nostra, Lav, Legambiente, Lipu-BirdLife Italia, SlowFood Italia, Touring Club Italiano e WWF Italia – avevano chiesto al ministro Pichetto Fratin «di appoggiare con convinzione» il regolamento. «Non solo la legge non penalizzerà le economie europee – spiegavano nella lettera – ma, al contrario, la sua approvazione porterà benefici plurimi per il capitale naturale, l’adattamento ai cambiamenti climatici, la riduzione dei rischi idrogeologici a carico degli ecosistemi e delle comunità umane, la tutela della salute e la stessa economia».

Il voto contrario del ministro ha colto di sorpresa le organizzazioni ambientaliste: avevamo sottolineato i benefici e gli stimoli all’economia di tale normativa, affermano le 28 organizzazioni all’indomani del voto in Consiglio Ambiente (link urly.it/3v-33), ma il ministro «ha preferito evidenziare i rischi, infondati, che deriverebbero per l’agricoltura e la pesca». Con ottimismo, le organizzazioni firmatarie della lettera aperta affermano che «c’è tempo e modo perché, in vista del Trilogo previsto per l’autunno, l’Italia cambi posizione e si allinei a quei Paesi che vedono nella natura e nella conversione ecologica l’unica strada per un futuro di sicurezza e benessere e giustamente individuano, nella Nature Restoration Law, uno degli strumenti per metterlo in atto». 

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