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IL DILEMMA DELLA SCELTA TRA AMBIGUITÀ

Tratto da: Adista Documenti n° 8 del 26/01/2008

I - Le lotte antisistemiche sono processi sociali

Processo sociale significa al tempo stesso azione e riflessione, analisi e affettività. Azioni senza contributo riflessivo conducono a rivolte spesso senza futuro; idee senza riferimento costante alla realtà si trasformano in costruzioni astratte e impotenti; analisi senza emozione sfociano nel cinismo intellettuale e sentimenti senza riflessione tendono a confondere un progetto sociale concreto con il regno di Dio.Nessun elemento può essere isolato dagli altri. L’unione tra teoria e pratica deve caratterizzare ogni movimento antisistemico. Rosa Luxemburg osservava che le riforme senza prospettive teoriche si trasformano rapidamente in pragmatismo e vengono facilmente assorbite dal sistema capitalista. La Teologia della Liberazione ci ricorda che la fede religiosa può essere un elemento potente di impegno rivoluzionario e l’enorme diversità culturale delle lotte è stata rivelata dai Forum Sociali Mondiali.Un processo sociale non avviene per decreto. È il risultato di attori concreti che vivono in luoghi determinati e in un tempo dato. Le loro pratiche costruiscono un tessuto sociale. La storia dei movimenti sociali ce lo insegna. Quando si celebrò l’80.mo anniversario della Rivoluzione di Ottobre, si ricordò che essa non sarebbe stata possibile senza l’esistenza dei soviet, questi gruppi di base che, moltiplicandosi, costituirono una rete capace di esercitare un peso antisistemico. Quando si formò la Prima Internazionale, Marx ed Engels insistevano sull’importanza dei processi decisionali. Dicevano che valeva di più una conclusione partorita dall’insieme di tutti i componenti che dieci imposte dall’alto. Tuttavia, un processo sociale è anche una costruzione ed è qui che interviene la questione della sua istituzionalizzazione. L’esperienza dei movimenti sociali rivela questa dialettica, oscillando tra correnti anarchiche che privilegiano la creatività, le iniziative di base, l’effervescenza culturale e quanti insistono sull’organizzazione, la chiarezza degli obiettivi e l’adattamento dei mezzi ai fini. Il paradosso è che entrambi gli aspetti sono necessari, a condizione che il riferimento all’utopia non si trasformi in un terreno di illusioni e che l’istituzionalizzazione non si trasformi in sistemi piramidali che, assumendosi come scopo, finiscano per contraddire gli obiettivi. È quanto si sperimenta in tutti i campi della vita sociale: politico, sociale, culturale, religioso.L’entusiasmo delle lotte antisistemiche non può ignorare la condizione umana. Ricordo una conversazione nella città di Ho Chi Minh, poco dopo la riunificazione del Vietnam. Gli interlocutori erano l’arcivescovo di Saigon, mons. Binh, uomo di grande saggezza che avevo conosciuto durante il Concilio Vaticano II, e il signor Ba, segretario del Partito Comunista della città, che era stato rappresentante del Fronte Nazionale di Liberazione a Parigi e a Bruxelles. Ba spiegava con molta convinzione i piani di trasformazione della città in tutti i suoi aspetti, politici, sociali e culturali, e l’arcivescovo ascoltava con grande attenzione. Quando il segretario del partito concluse le sue spiegazioni, l’arcive-scovo rispose con molto rispetto: "È molto interessante, ma magari i comunisti credessero un po’ di più al peccato originale". Oggi parleremmo di dialettica.In realtà, ogni istituzionalizzazione porta internamente i semi della sua stessa contraddizione, ma il problema non si risolve negandolo o volendo sfuggire alla realtà, bensì affrontandolo e trovando i meccanismi di correzione, cioè la democrazia partecipativa, i caracoles (municipi autonomi zapatisti, ndt), l’altra campagna (campagna politica non elettorale lanciata in Messico dall'Esercito zapatista di liberazione nazionale per la costituzione di un programma nazionale di lotta, anticapitalista e di sinistra, ndt), ecc. Oggi, tra gli intellettuali e in diversi movimenti sociali, il pensiero postmoderno ha un posto importante. Di fatto, l’esperienza di un mondo dominato dal pensiero e dalle pratiche dell’Occidente fa pensare alla necessità di andare oltre la semplice critica economica e politica. È la logica stessa del Secolo dei Lumi che deve essere messa in discussione, in quanto frutto, veicolo e ispirazione al tempo stesso di un sistema economico distruttivo. I suoi principi devono essere sottomessi ad una critica epistemologica, che, cioè, metta in discussione il loro stesso senso. Si tratta di un cambiamento di civiltà.Esiste un postmodernismo radicale che riduce la storia all’immediato, pone l’individuo come centro esclusivo della realtà, rifiuta l’idea di strutture e di sistema per concentrarsi sulle "piccole narrazioni", considerando che le "grandi narrazioni", cioè le teorie, impongono necessariamente un peso totalitario sul pensiero e sull’azione. Per il capitalismo contemporaneo, che è riuscito ad edificare le basi materiali della propria riproduzione mondiale – un sistema-mondo, come dice Immanuel Wallenstein –, non c’è nulla di meglio di un’ideologia che nega l’esistenza di sistemi e di strutture.Al contrario, altri critici della modernità non cadono in questo eccesso. Non negano l’esistenza di paradigmi, anche in un mondo di incertezze. Così, Edgar Morin, il sociologo e filosofo francese, nota che nei mondi fisici, biologici e antropologici, il caso e l’incertezza sfociano sempre nella riorganizzazione della vita come paradigma fondamentale. Per questo tale autore rivolge una dura critica al capitalismo, ritenendo che esso sopprima la possibilità di una riorganizzazione della vita. 

II - Il contenuto delle lotte antisistemiche

Parleremo soltanto di tre aspetti: la delegittimazione del capitalismo, i passi delle lotte antisistemiche e i fondamenti di un postcapitalismo o di un socialismo del XXI secolo. 1. Delegittimare il capitalismoNon basta condannare gli abusi e gli eccessi del capitalismo, come fa la maggior parte delle religioni. La distinzione tra un capitalismo "selvaggio" e un capitalismo "civilizzato" non vale, perché il capitalismo è "civilizzato" quando deve e "selvaggio" quando può. Sono gli stessi operatori economici a dover accettare certi limiti imposti dalle lotte sociali e ad arrivare fino all’estremo dello sfruttamento ogni volta che è possibile, in particolare al Sud.È la logica dell’accumulazione che deve essere contestata dalle lotte antisistemiche, un processo che senza dubbio richiederà molto tempo ma che è indispensabile. Oggi questo significa lottare contro le nuove frontiere di accumulazione da parte del capitale: la trasformazione dell’agricoltura contadina in un’agricoltura produttivista capitalista, la privatizzazione dei servizi pubblici, i profitti sulle catastrofi naturali o politiche (Naomi Klein).Il carattere distruttivo del capitalismo, nei confronti tanto della natura quanto del lavoro umano, non è mai stato tanto forte e tanto accelerato come durante il periodo neoliberista. La Terra può essere distrutta e non c’è mai stata tanta ricchezza accanto a tanta povertà. Mai l’umanità ha prodotto un sistema tanto inefficace. La delegittimazione prima di essere etica deve essere economica. 2. I passi delle lotte antisistemicheI cambiamenti antisistemici sono il risultato di lotte, oggi su scala mondiale, contro attori globali e contro un imperialismo che è certamente congenito ad ogni forma di capitalismo, ma che viene anche rappresentato dagli Stati Uniti d’America. Forse si tratta di un impero in declino, ma ancora molto attivo, con la sua egemonia atomica, le sue oltre 700 basi militari al di fuori del proprio territorio e, in America Latina, la presenza "dell’ambasciata", perché ve ne è solamente una.Il primo passo è la presa di coscienza di questa realtà che va molto oltre la dominazione economica e politica, investendo la cultura e penetrando nel più profondo della mentalità. I Forum sociali mondiali hanno molto contribuito a questo processo di coscientizzazione su scala mondiale. L’a-dozione di strategie di lotta è una seconda esigenza e la diversità di tali strategie, a partire dal livello locale, come pure le nuove pratiche di ciascuno degli attori rappresentano la garanzia di un autentico progresso.La concettualizzazione di tali situazioni è un compito importante e a questo proposito non appare adeguata la nozione di "moltitudine" proposta da Hardt e Negri: essendo eccessivamente astratta, corre il pericolo di essere smobilitante. Si tratta invece di costruire un soggetto storico nuovo, cioè plurale, democratico, popolare.La convergenza degli attori è anch’essa una condizione di efficacia. Tutti abbiamo lo stesso avversario, perché la globalizzazione significa che il lavoro umano viene sussunto in maniera generalizzata dal capitale, in modo reale attraverso il salario e in modo formale attraverso meccanismi finanziari o giuridici, come i tassi di interesse, il debito estero, i paradisi fiscali, gli aggiustamenti strutturali, ecc. Nessun gruppo umano sfugge alla legge del valore. Allora, azioni di insieme, in cui i componenti non pensino in termini di priorità, diverse per ciascuno di loro, ma in termini di obiettivi strategici, costituiscono una nuova via, come avvenuto con la lotta contro l’Alca, nella quale si sono incontrati movimenti molto diversi, Ong progressiste, Chiese e forze politiche.La grande sfida attuale, tanto in America Latina come negli altri Continenti, come ha segnalato Gilberto Valdez, è il vincolo dei movimenti antisistemici al terreno politico. È il modo di affrontare la collaborazione organica proposta da nuove iniziative politiche, come l’Alba (Alternativa bolivariana delle Americhe, a cui aderiscono Venezuela, Cuba, Bolivia e Nicaragua, ndt) o il Banco del Sur (l’istituto di credito lanciato il 9 dicembre da Venezuela, Bolivia, Argentina, Brasile, Ecuador, Paraguay e Uruguay, con sede a Caracas, filiali a Buenos Aires e La Paz, e un capitale iniziale di 7.000 milioni di dollari, al cui interno ogni Paese avrà diritto a un voto a prescindere dalla sua forza economica, ndt), senza perdere la propria autonomia. Come contribuire al cambiamento, costruendolo dal basso e creando una nuova cultura politica, come ha fatto l’Altra Campagna, senza entrare in vicoli ciechi? Non si tratta di sperare in una situazione senza ambiguità, ma di scegliere le ambiguità. Per dirlo chiaramente, è stato probabilmente duro per i membri dei movimenti antisistemici appoggiare Lula alle ultime elezioni in Brasile, malgrado la sua politica interna socialdemocratica, o votare in Nicaragua per il Fronte sandinista malgrado le sue deficienze istituzionali e quelle di alcuni dei suoi leader. Si trattava di impedire alternative di destra con gravi conseguenze tanto sul piano interno come per la nuova integrazione latinoamericana.Con tutto il rispetto, ci si potrebbe chiedere se in Messico un ragionamento analogo non avrebbe potuto evitare una presidenza di destra dura e servile. Sarebbe davvero im-possibile combinare una critica radicale e giusta e una pratica politica nuova con un giudizio politico più dialettico? È solo una domanda. Non si tratta di "realpolitik" né di giustificare i mezzi con il fine, ma di riconoscere che il dilemma consiste nella scelta tra ambiguità. Neppure significa, questo, abbandonare l’etica, bensì evitare di trasformarla in un sostituto del giudizio politico. Suppone anche portare avanti la critica alle formazioni politiche nate da movimenti antisistemici ed emancipatori che, come in Brasile, in Messico o peggio ancora in Cina, costruiscono "caracoles al contrario", contraddicendo i propri principi.  3. I fondamenti di un postcapitalismo o di un socialismo del XXI secoloPossiamo in conclusione riprendere le lezioni della storia, l’esperienza dei movimenti sociali e delle loro convergenze, e le aspirazioni dei popoli per proporre alcune idee.Non si tratta di imporre una dottrina dall’alto né di parlare di una sola alternativa, bensì di raccogliere il vissuto e di riconciliare teoria e pratica in uno sforzo condiviso, di unire rivoluzione e riforme in una ricerca e in un’utopia necessarie e mobilitanti, senza disprezzare i piccoli passi, perché la gente non muore o soffre domani, ma oggi.Sono quattro i fondamenti che sembrano costituire il contenuto del progetto emancipatorio e antisistemico. a) L’uso sostenibile delle risorse naturali, che esige un’altra filosofia delle relazioni con la natura: dallo sfruttamento alla simbiosi. Il capitalismo è incapace di realizzare questo cambiamento che implica una rivoluzione epistemologica, a cui la prospettiva della pachamama (la madre terra nella visione indigena, ndt), le filosofie orientali, la cultura tradizionale africana e quella degli afrodiscendenti d’America possono contribuire in maniera decisiva.b) Privilegiare il valore d’uso sul valore di scambio. Il mercato è esistito prima del capitalismo. Quest’ultimo ha fatto del valore di scambio l’unico fattore di sviluppo umano, imponendo la propria logica a tutta la società. Il ritorno al valore d’uso ha enormi conseguenze pratiche, dal controllo sociale dei mezzi di produzione alla riduzione delle distanze nel trasporto. Ma prima di tutto significa un cambiamento di filosofia ecumenica: dalla produzione di un valore aggiunto per interessi privati all’attività destinata ad assicurare la base della vita fisica, culturale e spirituale di tutti gli esseri umani sulla terra. Di questo il capitalismo è incapace. c) Stabilire una democrazia generalizzata, non solo a livello di politica rappresentativa e partecipativa, ma in tutte le relazioni sociali, e anche economiche, tra popoli e tra uomini e donne. Questo esige anche un’altra filosofia del potere, totalmente estranea alla concezione del capitalismo.d) Costruire la multiculturalità, cioè dare la possibilità a tutte le culture, a tutti i saperi, a tutte le filosofie, a tutte le religioni di partecipare con i propri contributi alla costruzione di una nuova società. Ciò esige un’altra filosofia della cultura, abbandonando l’arroganza di una cultura superiore. Ancora una volta, la cultura del capitalismo, con il suo modello di sviluppo, non può rispondere a questa nuova prospettiva. In verità, malgrado i suoi successi reali, possiamo dire che il socialismo del XX secolo non ha potuto soddisfare queste esigenze. Il dramma del socialismo, diceva Maurice Godelier, è che ha dovuto imparare a camminare con le gambe del capitalismo. E questo si è verificato in vari ambiti, come lo sfruttamento della natura, la mancanza di democrazia e la difficoltà ad accettare la multiculturalità.Per questo, la convergenza delle lotte sociali, caratteristica del nostro secolo, l’anelito alla dignità con le sue basi materiali e ad una spiritualità incarnata ci permette di condividere le parole di un oratorio composto dopo l’assassinio di mons. Romero da un compositore israeliano: "la speranza non si uccide". 

San Cristóbal de Las Casas, 15 dicembre 2007

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