Nessun articolo nel carrello

L’ANTICA GUERRA A MORTE CONTRO I MAPUCHE

Tratto da: Adista Documenti n° 89 del 12/09/2009

I sapienti dicono che i più antichi degli antichi erano fatti di pioggia azzurra. E così camminavano per il mondo, dipingendo ininterrottamente farfalle e oceani e riposando solo nelle notti più scure, alla luce di tenere lucciole. Alcuni dicono che, in realtà, erano divinità orlate di vento che cercavano la terra migliore in cui seminare i sogni. Improvvisamente, senza alcun preavviso, in una tormenta impossibile di lampi e vulcani rifulgenti, si disegnò in tutta la sua bellezza bruna la prima donna mapuche. Tutta questa terra è tua, le sussurrarono con il fuoco perché né lei né i suoi figli, né i figli dei suoi figli lo dimenticassero più. E così alla gente della terra consegnarono il Meli Witran Mapu – i quattro punti cardinali – perché in quella terra facessero l’amore senza fretta e, sempre senza urgenza, ne condividessero i frutti che erano, venne loro detto, di tutti e di nessuno. E dissero loro che qui avrebbero potuto costruire il loro Mondo e il loro Paese, e dettero loro i pappagalli e il mirto, il bambù e gli aironi, i laghi e le montagne, e nel cuore della terra disegnarono un fiume così bello e così azzurro che faceva venir voglia di piangere nelle sconcertanti aurore rosso vergine.

Che filassero il loro Mondo e il loro Paese, dissero loro, ma con un velo di tristezza e con enorme afflizione bagnarono i loro occhi di pioggia per avvertirli che da oltre mare sarebbero venuti con elmi e alabarde per ucciderli tutti in nome di un dio straniero. Che facessero attenzione, perché al di qua del mare la morte avrebbe indossato l’uniforme cilena e argentina, e tutto dissero loro, in tempi in cui non esistevano né il Cile né l’Argentina, ma solo il Wallmapu, il Paese Mapuche, il loro Paese di terra fertile e generosa e, in quanto tale, appetibile a forestieri di diverso segno.

Così, ancora perplessi di fronte alla possibilità che venissero loro sottratti le terre e i sogni che avevano appena avuto inizio, i mapuche si volsero al compito di far risplendere il loro Mondo sulla base dell’Itrofillmongen, la vita nel suo insieme, la biodiversità, l’equilibrio, il rispetto. Il benessere in armonia lo chiamarono Küme Felen; Küme Mongen la qualità di vita e Nor-Felen la legge naturale o autoregolamentazione della natura nelle distinte dimensioni del Mondo Mapuche in cui abitano gli esseri umani e le forze della vita da tempi immemorabili. O da tutti i tempi, che è il tempo mapuche, quello di cui si ebbe bisogno per costruire il Wallmapu.

Il Paese mapuche, che contemplava due oceani e due cordigliere, si nutrì della pioggia azzurra dei più antichi degli antichi e dell’Ad Mapu (codice che determina il comportamento e le responsabilità di ciascuno, ndt) per illuminare nagche, wenteche, lafkenche, williche, pewenche o puelche, tutti mapuche, gente della terra, perché non lo dimenticassero mai. Ed è così colossale la loro memoria che non possono smettere di ricordare, per quanto vogliano.

Si racconta che c’era un anziano così anziano che era la memoria stessa. Viveva a Curarrehue con la sua famiglia, i suoi cavalli e le sue pecore. Si accostava alla cordigliera cacciando puma, smarrendosi settimane intere, a volte mesi, alla ricerca del colpo perfetto, perché il puma gli massacrava le pecore in piena notte senza che nessuno se ne accorgesse. Non è giusto, diceva. E ricordava ogni pecora, ogni gallina, ogni cavalla persa a causa del puma, le sue e quelle degli altri, quelle di adesso e quelle di ieri, perché non bisogna mai dimenticare che l’oblio è un altro modo di morire: diceva tutto ai suoi figli e ai suoi nipoti intorno al focolare della ruka (casa tradizionale di legno, ndt). Lo stesso luogo in cui una notte di temporale raccontò loro senza preavviso di aver conosciuto personalmente gli antichi fatti di pioggia azzurra, a cui aveva sfiorato persino la pelle d’acqua quando in una notte di tormenta come quella aveva voluto verificare gli insondabili misteri delle origini più remote dell’universo.

 

Il diluvio

E seppe che dal cielo erano cadute rocce folgoranti che avevano formato vulcani e montagne, che dalle lacrime delle stelle erano nati laghi e fiumi rifulgenti e che al passo nudo della primigenia donna mapuche erano nati uccelli e fiori vermigli. Seppe, anche, perché lo vide con i suoi stessi occhi, che i mapuche soffrirono il grande castigo di Chau Ngenechen (il Grande Creatore, ndt) per aver infranto i principi dell’Ad Mapu. E piovve così tanto che i mapuche piansero sconsolatamente, fecendo salire ancor di più il livello delle acque. Allora, più piangevano di paura e di pentimento e più si innalzavano i mari e i laghi e i fiumi. Si oscurò il cielo con tale forza  che gli atterriti mapuche videro solo tenebre all’orizzonte, raccontava l’anziano mentre osservava con attenzione le lingue di fuoco che crepitavano in mezzo all’inverno. Perché tutto ciò lo aveva visto con i suoi occhi, nessuno glie l’aveva raccontato, perché era la memoria stessa, la brace di una cultura antica come la sua terra, pensavano silenziosi i bambini che sognavano di cacciare i puma per le gole andine.

Improvvisamente, mormorò l’anziano, ci fu un tale frastuono che la terra si aprì in due e l’acqua trascinò in mare tutti i mapuche, trasformandoli in pesci e pietre nere. Pare che il sole morì un istante, rifletté, perché quando aprì nuovamente gli occhi apparvero sulla cima più alta del monte più alto quattro mapuche paralizzati dal freddo che dicevano qualcosa come: mai più, lo promettiamo, Chau Ngenechen. Mai più. Erano un anziano e una anziana, un giovane e una giovane. E i bambini ascoltavano affascinati di come dalla morte era rinata la vita, e di come il nonno che aveva visto tutto ricordava con amarezza il giorno inclemente in cui il suo popolo stava per morire affogato. Ma sopravvisse, per rialzarsi in tutti gli angoli del Wallmapu senza mai dimenticare la terribile lotta tra i poteri della terra e del mare che, in fin dei conti, sono i rantoli dello squilibrio della Ñuke Mapu (la Madre Terra, ndt) offesa dall’egoismo dell’essere umano.

E l’egoismo più grande giunse dall’Europa coperto di corazza, scudo, maglia di acciaio, elmo e calzoni di velluto rosso, e di puzza di galeone. Portavano, per uccidere, malattie e armi: spade, archibugi, cavalli, cannoni, lance, balestre, montanti. Portavano la più implacabile delle guerre e un dio bianco dagli occhi azzurri che supervisionava diligentemente massacri e schiavitù, violenze e strupri ovunque.

 

Che cos’è la proprietà?

“Io sentii la glaciale ferocia del suo sguardo - racconta l’anziano di Curarrehue - un pomeriggio di primavera in cui volli domandargli il perché di tanta crudeltà. Non vi bastano, chiesi, le vostre terre e i vostri animali? ‘Questa è la mia terra’, gridò con voce di tuono, ‘il mio quadro, la mia scultura, la mia acquaforte, il mio sacco, la mia vetrata, il mio mosaico, il mio libro aperto, il mio orgasmo cosmico. La mia proprietà’.

E cos’è la proprietà?, gli chiesi sconcertato. Mi guardò con disprezzo dalle altezze della sua ciclopica grandezza per ridere burlescamente: ‘tutto quello che non si può toccare per i secoli dei secoli, amen’. E cos’è che non si può toccare per i secoli dei secoli, amen?, indagai. Sempre con disdegno e fastidio per l’interruzione della sua siesta, rispose: ‘i boschi, la terra, i laghi, i fiumi, le montagne, il rame, l’argento, il carbone, i mari, i pesci, l’aria, gli uccelli, l’acqua, le case, i cavalli, le galline, i tacchini, gli agnelli, il grano, i piselli, le piante, le cascate, le risate, le mani, le gambe, l’amore, i denti, il ventre materno, i figli, i sogni, la morte. Tutto quello che è ricchezza o può diventare ricchezza’, elencò annoiato.

Però, dichiarai e reclamai, mentre lo guardavo fisso negli occhi, torbidi come il fiume in inverno, i più antichi degli antichi ci diedero il Meli Witran Mapu perché facessimo l’amore senza fretta e, sempre senza urgenza, condividessimo i frutti della terra che erano, ci dissero, di tutti e di nessuno. Ci dissero che qui avremmo potuto costruire il nostro Mondo e il nostro Paese. E così lo costruimmo tra due oceani, senza fretta e senza alcuna proprietà, che non conoscevamo; e gli uccelli facevano il loro nido su qualunque albero, i laghi si posavano su inattesi ricoveri, mentre i fiumi fluivano ininterrottamente tra nevai, boschi e scogliere per baciare attoniti il mare, che era anch’esso il mare di tutti. E di tutti era la terra che si poteva toccare per i secoli dei secoli, amen. È la mia parola, gli dissi, e in quel preciso momento, dalla profondità della sua gola d’argento spuntarono fili di ferro, fucili, seghe, coloni, militari, reducciones, assassinii, torture, esilii, migrazioni, polizie, stragi e Paesi ignoti che piantavano le loro bandiere di seta nel cuore del Wallmapu”.

 

Nulla fu più uguale

Allora, nulla fu più uguale a prima e l’anziano, con la sua memoria, si rifugiò nella cordigliera, ma non poté più cacciare puma, perché lo perseguitarono, lo rinchiusero, lo imprigionarono, lo radicarono a forza e lo assassinarono in nome della civiltà. Usurparono il Paese Mapuche e polverizzarono il Mondo Mapuche in nome della ragione, della ricchezza e di quella proprietà di cui parlava il dio straniero che gridava la barbarie degli indios.

E gli indios si rifugiarono nei loro silenzi di indios per affrontare l’egoismo wingka (invasore, ndt), e nelle curve dei fiumi, nelle chiome degli alberi, nelle contrafforti della cordigliera e nel fondo del mare custodirono le proprie parole, i sogni, le memorie, gli annunci e le denunce, le virtù e le viltà, le vittorie e le sconfitte, gli amori e i disamori, i canti e i balli, i primi passi e gli ultimi. Nascosero con speciale attenzione il mapudungun, la loro lingua, e l’origine del mondo e le leggi della natura. Tutto, raccontano, in un vulcano in fiamme di cui solo i saggi conoscevano il segreto per evitare che il kimun (conoscenza, ndt) mapuche si riducesse in braci e cenere. Fu tale la loro sapienza che, nelle notti più opache, dalle loro case, dai campi e dai monti, uscivano silenziosamente uomini, donne, anziani e bambini per dirigersi al vulcano della memoria. Lì recuperavano parole, riti, nomi, storie e, soprattutto, i sogni di libertà che li mantenevano in vita mentre il wingka perforava loro l’anima. I mapuche si rifiutavano di morire o di scomparire nell’ira dei venti spietati che venivano dal nord a cavallo, sui cannoni, con gli elmetti, le sciabole e le baionette, i fucili e i revolver. Che venivano dalla guerra per fare un’altra guerra: della civiltà contro la barbarie, della cilenità contro la mapuchità.

 

E ci chiamano terroristi

Guerra a morte, fratello, intronizzata nel Paese Mapuche occupato dalle forze armate. Guerra a morte, fratello, acquartierata nel Mondo Mapuche occupato dalla violenza cilena. E il nostro territorio usurpato lo chiamarono frontiera, quando in realtà la frontiera erano loro; ci chiamarono selvaggi quando, in realtà, i barbari erano loro. Lo chiamano conflitto mapuche, quando in realtà il conflitto è loro, che temono di riconoscere la propria indianità.

Oggi ci chiamano terroristi, quando il terrore lo seminano loro nelle comunità con le loro incursioni e violenze e gas lacrimogeni e spari e morti. Perché i cileni hanno cominciato ad assassinare mapuche nel XIX secolo, hanno proseguito nel XX secolo e hanno continuato nel XXI secolo. Matías Catrileo, Alex Lemun e Jaime Mendoza sono caduti nel nostro Paese occupato dalla forza militare. È per la proprietà che non conoscevamo, per gli alberi e le acque, i minerali, i pesci, gli uccelli. E per la terra che ci hanno dato per sempre i più antichi degli antichi a Collipulli, Temucuicui, Lumako, Neltume, Liquiñe, Lleu-Lleu, Cuyinco, Tirua, sulla costa, sulla montagna, nelle valli, che ci hanno dato per costruire il Paese Mapuche e il Mondo Mapuche. “È la mia parola, perché ci lascino in pace, e ci lascino semplicemente essere pioggia o terra o mare”, disse l’anziano di  Curarrehue che è la memoria stessa e che camminava nel sud del mondo molto prima dei cileni.

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

50 anni e oltre

Adista è... ancora più Adista!

A partire dal 2018 Adista ha implementato la sua informazione online. Da allora, ogni giorno sul nostro sito vengono infatti pubblicate nuove notizie e adista.it è ormai diventato a tutti gli effetti un giornale online con tanti contenuti in più oltre alle notizie, ai documenti, agli approfondimenti presenti nelle edizioni cartacee.

Tutto questo... gratis e totalmente disponibile sia per i lettori della rivista che per i visitatori del sito.