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La fiducia di un padre

Tratto da: Adista Notizie n° 14 del 20/02/2010

Un anno fa il caso Englaro era al centro dell'attenzione mediatica.

Molti si sono sentiti in forte disagio per i toni e i contenuti degli interventi che hanno invaso le pagine di giornali e le trasmissioni televisive, in un crescendo che è arrivato ai vertici delle Istituzioni repubblicane e religiose.

Molti hanno sperato che tra gli uomini di Governo non prevalessero gli opportunismi, che si affermasse uno spirito di dialogo, guidato dai principi della nostra Costituzione. Così non è stato e ancora oggi non abbiamo una legge sul testamento biologico, in grado di creare un ponte che consenta di attraversare quel fossato che si è creato tra la scelta libera e consapevole del paziente e le possibili cure mediche. E vi è il fondato timore che la legge in fase di approvazione non sarà in grado di colmare il vuoto esistente.

Molti hanno sperato che le gerarchie non fossero guidate da uno spirito ideologico, ma che alla fine potesse emergere un atteggiamento di amorevole e "paterno" rispetto. Ho l'impressione che tutto questo abbia lasciato un segno profondo nella società italiana.

Ad un anno di distanza sento il bisogno di ripercorrere la vicenda ripartendo da una figura che è sempre stata al centro e, secondo me, nello stesso tempo al margine della vicenda: quella del padre di Eluana.

Ogni volta che ho letto un articolo, che ho ascoltato un intervento, ogni volta che l'ho visto mostrare le foto della figlia giovane e bella, mi sono sempre chiesto: che tipo di padre sarà stato il signor Englaro? E così, poco alla volta, si è costruita in me l'immagine di un uomo che, prima dell'incidente, era stato in profonda relazione con la propria figlia. Un padre che l'aveva accompagnata nelle scelte della vita, che non l'aveva lasciata sola ma che nello stesso tempo l'aveva aiutata a costruirsi lo spazio per fare le proprie scelte in autonomia.

Un padre che, dopo l'incidente, non si è lasciato travolgere dal dolore ma si è interrogato per cercare la strada più giusta. E la soluzione più giusta non è sempre la più semplice, quella che meglio anestetizza il dolore, ma quella più autentica, quella che meglio si adatta alla persona, che in questa tragica situazione non era ovviamente in grado di esprimere direttamente la propria scelta.

Un padre che, di fronte alle istituzioni pubbliche, non si scoraggia e usa una sola arma: la fiducia nella Costituzione italiana.

Un padre deciso, che porta avanti la propria scelta con coerenza. Un padre che accetta le sconfitte giudiziarie, i violenti attacchi mediatici, un padre che conosce la fatica e la pazienza di un cammino lungo 17 anni.

Un padre sobrio, quasi didascalico, negli interventi pubblici. Essendo diventato un personaggio pubblico non si è messo a parlare di altro, a fare altro.

Un padre che serve una causa, non un narcisista che mette se stesso al centro della scena. Anche il dolore resta sullo sfondo. Alcuni hanno scambiato questo atteggiamento per insensibilità.

Un padre forte perché forte era il rapporto che aveva con la figlia, perché sicuro di avere dalla sua parte la fiducia di Eluana.

Impressa nella mia memoria vi è l'immagine di papà Englaro in piena notte, in auto da solo, che accompagna l'ambulanza verso la clinica dove sarà attuato il protocollo di sospensione dell'alimen-tazione e idratazione. Un padre che resta sempre e comunque accanto alla figlia, che non lotta per liberarsene ma per liberarla.

E la sua battaglia, da un certo punto in poi, non è più stata una questione personale, di famiglia.

I panni sporchi, il signor Englaro, non se li è lavati in casa. Non ha usato sotterfugi, scorciatoie. Tutto si è compiuto alla luce del sole. Un padre che non ha cercato il consenso, il favore dell'opinione pubblica, che non si è prestato a nessuna spettacolarizzazione.

 Un padre che ha incarnato un'altra Italia, un altro modo di vivere nel mondo. Che c'è, c'è sempre stato, ma è sottotraccia, poco visibile a chi è abituato a vivere in superficie.

Molti pensatori e analisti affermano che la nostra società ha smarrito il padre. Non vi è più una figura di riferimento un grado di trasmettere valori, di fare da collante sociale.

Si vive nella dispersione più totale, in balia di eventi casuali e di scelte provvisorie, senza una solida base sulla quale poggiare la propria vita. In un dilatata adolescenza, l'età che maggiormente spaventa i genitori.

La mia a molti potrà sembrare una posizione inaccettabile, una agiografia inopportuna e pericolosa. Eppure, avendo dei figli, desidero prendere la figura del signor Englaro come esempio, come modello di figura paterna.

Un padre che, prima di tutto, cerca di trasmettere ai figli la fiducia. La fiducia nei propri genitori, la fiducia in se stessi e infine la fiducia nel mondo attorno. Quella fiducia che non è l'essere disposto a tutto e a tutti, ma quell'atteggia-mento verso la vita che cresce a poco a poco, giorno dopo giorno, dal basso. Un padre per il quale non sono idee astratte la responsabilità e la libertà, ma pratica quotidiana. Un padre che chiama valori solo quei principi che sono frutto di un cammino, che non possono essere imposti dall'alto, e ogni giorno vanno levigati, adattatati alla realtà che si presenta di fronte.

Per questi motivi, se per caso incontrassi il signor Englaro per strada, mi sentirei di dirgli una sola parola: grazie! E mi auguro possa sentire, nel profondo del suo cuore provato da tanto dolore, il calore della gratitudine di molte persone. Perché, perdendo una figlia, non ha cessato di essere un padre. E un buon padre trasmette fiducia.

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