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CINQUE ANNI BASTANO. DAL MONDO LAICO E CATTOLICO “L’ALTRO” BILANCIO DEL PONTIFICATO

Tratto da: Adista Notizie n° 35 del 01/05/2010

35555. CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. La doppia ricorrenza, l’83.mo compleanno (16 aprile) e il quinto anniversario dell’elezione al soglio pontificio (19 aprile), non sono riusciti a dissolvere, nemmeno temporaneamente, le nubi che si addensano sul pontificato di Benedetto XVI e sulla gerarchia vaticana. E questo nonostante dal mondo politico, dai media, dai settori istituzionali della Chiesa, sia stato un incessante peana in onore di Ratzinger (uno per tutti, il lancio dell’agenzia Agi, del 15 aprile scorso, che parlava di “innegabili successi ottenuti dal pontefice”. Successi che non sarebbero scalfiti nemmeno dalle critiche di Hans Küng (v. notizia su questo stesso numero) che, scrive l’agenzia di stampa, “con impressionante e spietato accanimento”, attacca il papa “almeno una volta al mese, con cadenze che seguono evidentemente un ritmo concordato dal suo agente editoriale”, nonostante il papa abbia perseguito “da sempre, con inflessibile severità” i preti pedofili).

Certo, il papa ha incassato il pranzo organizzato in suo onore il 19 aprile dai cardinali residenti a Roma, (una sessantina di porpore, comprese quelle ultraottantenni), la giornata di preghiera nelle diocesi di tutta Italia organizzata dalla Cei per “rendere grazie a Dio per il magistero illuminato e la cristallina testimonianza del papa”, le innumerevoli dichiarazioni di stima e di solidarietà da parte dei prelati di tutto il mondo, i tanti editoriali comparsi sulla stampa laica e cattolica. Parole certamente sincere, ma che più che rendere omaggio alla persona di Ratzinger, difendono l’istituzione Chiesa minacciata dagli scandali e minata nella sua credibilità, all’interno come all’esterno. Del resto, a leggere oltre le parole di circostanza e le lodi al “papa teologo” impegnato all’interno in una dura missione di “purificazione” e all’esterno in una strenua lotta al laicismo che vorrebbe “ridurre al silenzio” la voce della Chiesa, dubbi e perplessità sull’azione di Benedetto XVI nei commenti degli ultimi giorni emergono eccome. Nel mondo laico come in quello cattolico.


Alberto Melloni: questo papa non ci ha sorpreso

All’interno di quest’ultimo, spiccano le parole critiche di Alberto Melloni: la Chiesa di oggi, ha dichiarato all’Ansa il 16 aprile scorso, “è più dolente rispetto a cinque anni fa, meno unita”, la pervade “un senso di smarrimento” di cui papa Benedetto XVI “non è la causa né il mancato rimedio”, ma piuttosto “l'interprete”. Né progressista, né conservatore, Ratzinger rimane per Melloni quello che era da cardinale, e cioè un “papa teologo”. “Contrariamente a quanto affermò all'indomani dell'elezione il card. Carlo Maria Martini - ha detto lo storico della Chiesa - non mi sembra che da questo papa siano venute sorprese”. Melloni ha messo poi in evidenza il fatto che quella lasciata da Wojtyla, è un’eredità pesante ed ingombrante, che Ratzinger si trova a gestire senza lo 'scudo mediatico' offerto al papa polacco dal suo carisma prima e dalla sua lunga malattia poi. Benedetto XVI si trova così ad affrontare una lunga serie di debolezze, nodi irrisolti e scandali nascosti. Specie quello della pedofilia, ben testimoniato dalla vicenda dei Legionari di Cristo, cresciuti all’ombra di Giovanni Paolo II e fronteggiati con esitazione e prudenza da Benedetto XVI.

 

Giancarlo Zizola: un papa solo al comando

Anche per Giancarlo Zizola (Repubblica, 19/4) il papa agisce su posizioni difensive e “si lascia comprimere troppo strettamente nel solco di una tradizione eurocentrica”, “come se là fosse il futuro del cristianesimo”. Un pontificato, quello di Benedetto XVI che, “cauto sul dialogo con le altre religioni, rischia conflitti con l'islam (Regensburg, il battesimo di Magdi Allam), deve giocare i supplementari in Sinagoga a Roma per impattare con gli ebrei dopo il ripristino della vecchia orazione del Venerdì Santo per la loro conversione e il via libera al decreto per far beato Pacelli”. Anche “il suo approccio alla teologia del pluralismo religioso è quello apologetico di prima”; del resto, “Ratzinger ritiene che basti impostare bene un problema per risolverlo a metà”, “o di poter governare la barca dall'alto della coffa dell'albero maestro, anche col mare mosso”. Un’operazione che “esigerebbe al suo fianco, se non un collegio episcopale operativo (una innovazione conciliare rimossa), almeno un'équipe governativa idonea per cultura a gestire la delega”. Ma non è così, e “l'infortunistica in cui il regno è incappato sta a dimostrare che un'intelligenza per quanto limpida non basta a governare una Chiesa”. Certo, chiosa Zizola, “la storia in cui Ratzinger investe è anzitutto ‘storia della salvezza’. Ma è anche fatta dalle fatiche delle speranze storiche di cui la Chiesa non dannatoria della seconda metà del Novecento prometteva di farsi compagna”.

Aurelio Mancuso: l’omofobia come unica via

Sulla linea della continuità Wojtyla-Ratzinger anche il commento di Aurelio Mancuso, cattolico, già presidente nazionale di Arcigay. “Il papa energico e simpatico, affidava il lavoro sporco a un paziente, accurato, glaciale cardinale tedesco”, ha scritto Mancuso su Gli Altri (17/4): “Su cosa si concentrò la non difficile Restaurazione dei dettami preconciliari? Sulla sessualità. In primo luogo sull'autodetermi-nazione delle donne e delle persone lgbt. Per il cardinale-inquisitore custode del potere di una gerarchia plurimillenaria, monosessuale e misogina, ciò che andava principalmente contrastata era la conquistata libertà da parte delle donne dell'Occidente secolarizzato. Tutti i documenti, tra cui il tremendo tomo Lexicon, sono stati farciti da una testarda, minuziosa, rancorosa accusa alla modernità che ha consentito dalla sua genesi, l'Illuminismo, ai giorni nostri, lo stravolgimento delle leggi naturali (leggasi cattoliche romane) che governavano (dominavano) il mondo. Il papa polacco condivideva parola per parola questo accanimento teorico, che ha portato nei quasi ventisette anni di governo alla lenta inesorabile cancellazione di ogni speranza alimentata dal Concilio Vaticano II”.

 

Massimo Faggioli: ma quale “transizione”

Altrettanto severa, ma di più ampio raggio, l’analisi di Massimo Faggioli (professore di storia del cristianesimo alla University of St. Thomas a Minneapolis) su Europa (17/4). Questo pontificato, ha scritto Faggioli, è stato tutt’altro che di transizione: “Dal punto di vista teologico, ha rimesso in discussione la centralità del Concilio Vaticano II”; “dal punto di vista ecclesiale, da una parte ha ridimensionato lo slancio globale del cattolicesimo postconciliare, teorizzando apertamente una diretta e necessaria filiazione del cristianesimo dal pensiero greco classico, in questo modo chiudendo la porta all’inculturazione della teologia cristiana nel mondo non europeo e non occidentale; dall’altra, ha tentato di sanare storiche divisioni tra cattolici ed ex cattolici (con i lefebvriani e con gli anglicani) con provvedimenti che hanno causato divisioni ancora maggiori all’interno del cattolicesimo”. Infine, dal punto di vista politico, Ratzinger, “agostinianamente distaccato dal ‘politico’ come proprium del fenomeno umano, è stato sfidato rispetto ad alcuni suoi atti non da un cattolicesimo in gran parte normalizzato, ma dalla politica internazionale”. Così, “al rifiuto di Benedetto XVI di piegarsi alle esigenze della diplomazia internazionale ha risposto il rifiuto del mondo esterno di trattare con una Chiesa cattolica ripiegata in una sorta di ‘patriarcato nordatlantico’, appagata dall’eredità geopolitica lasciatale dall’Impero Romano, ma incapace di assumersi l’onere culturale e spirituale di quella geopolitica. Tutti i punti di crisi del pontificato non sono venuti dal dissenso interno alla Chiesa (ormai ridotto ai minimi termini), ma da un dissenso esterno che non è soltanto, come teme o spera la retorica cattolicista dei neo-con e degli atei devoti, un ‘attacco laicista’ alla religione cattolica, ma è anche la ricerca di un interlocutore religioso visibile e affidabile, in mezzo ad un oceano di religioni vecchie e nuove prive di punti di riferimento visibili e affidabili”.

Transizione invece c’è, eccome, secondo Carlo Marroni (Il Sole 24Ore, 20/4): “Un'enorme transizione che non si riesce a superare, con un papa che deve fare i conti con i residui del ‘blocco d'ordine’ conservatore che lo ha eletto, e che spinge ancora verso tendenze anticonciliari, e le spinte innovatrici che arrivano soprattutto dalle Chiese giovani del Sud del mondo, le sole in crescita per preti e fedeli”.

 

Comunità di Base: papa double face

Anche David Gabrielli, su Confronti (maggio 2010), ritiene che Benedetto XVI abbia “lasciati irrisolti” i problemi ereditati da Giovanni Paolo II, o, peggio, li abbia “ulteriormente aggrovigliati”; come “nella vicenda dell’insabbiamen-to programmatico degli abusi sessuali su minori compiuti da un limitato, ma pur sempre significativo numero di presbìteri. Una situazione critica aggravata dal fatto che, invece di riferirsi penitenti all’evangelo, i massimi dirigenti della Curia romana hanno replicato lanciando una sconnessa campagna tesa a minimizzare i fatti (moralmente gravissimi) accaduti, a difendere comunque l’istituzione-Chiesa ed a tuonare contro le ipotizzate ‘persecuzioni anticattoliche’ che sarebbero la vera radice del clamore innescato da giornali ‘nemici’”.

Tranchant il commento delle Comunità Cristiane di Base, che sul loro sito (www.cdbitalia.it) affermano che il papa, mentre a Malta mostra “un sincero tentativo di misurarsi con la diffusa omertà sui casi di pedofilia, riconoscendo le responsabilità degli uomini di governo della Chiesa, a Roma non ne mette in discussione la causa: la sua costituzione gerarchica basata sul centralismo e sulla divisione fra preti e laici”.

 

Noi Siamo Chiesa: c’è grossa crisi

Ancora più radicali le critiche del Movimento Internazionale Noi Siamo Chiesa: “I cinque anni di pontificato di Benedetto – hanno scritto in un comunicato del 19/4 – dimostrano sempre più il limite fondamentale dell’intero sistema della Chiesa cattolica romana, la sua costituzione gerarchica, il centralismo romano basato su una società a due classi, preti/laici”. Anche “la ferma opposizione alla guerra, che aveva contraddistinto Giovanni Paolo II, è stata abbandonata da Benedetto XVI, che ha incontrato in modo molto amichevole l’ex presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, responsabile dell’attacco in Iraq”. Se vuole riacquistare credibilità e coerenza, il papa “deve riprendere una decisa opposizione verso i capi di Stato che sono fautori della guerra e deve parlare chiaramente contro la guerra, il disarmo e il commercio degli armamenti”. In ogni caso, chiarisce il movimento, “l’attuale crisi e l’inadeguatezza della risposta da parte delle autorità ecclesiastiche evidenziano con estrema chiarezza che le riforme strutturali in linea con il Concilio Vaticano II, non possono aspettare”. In particolare, il movimento sottolinea alcune questioni di particolare urgenza: “Il Popolo di Dio deve poter partecipare a tutti i livelli della nostra Chiesa”; “la misoginia ecclesiastica deve finire e le donne devono essere ammesse al presbiterato, ministero che dovrà essere basato sul servizio e non sul potere”; “il celibato dovrà diventare facoltativo, così che l’amore sponsale non resti un tabù per i chierici”; “si dovranno accettare i risultati delle scienze umane riguardo la morale sessuale e si dovrà rispettare il primato della coscienza individuale informata”. “Si dovrà predicare un Vangelo che sia un invito alla pienezza di vita e non uno strumento per disciplinare le persone attraverso l’intimidazione”. (valerio gigante)

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