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PER DIFENDERE IL GREGGE DAI LUPI. UNA BIOGRAFIA DI MONS. ROMERO SCRITTA CON GLI OCCHI DEL SUO POPOLO

Tratto da: Adista Notizie n° 41 del 22/05/2010

35602. ROMA-ADISTA. “Si farebbe un grande torto a mons. Romero separandolo dalla storia del suo popolo”: consapevole del rischio, insito in ogni biografia, di “lasciarsi prendere dal fascino dell’eroe”, don Alberto Vitali, autore dell’ultima delle biografie dell’arcivescovo martire, Oscar A. Romero. Pastore di agnelli e lupi (Edizioni Paoline, Milano, 2010, pp. 308, euro 19), respinge in maniera netta il tentativo di trasformare mons. Oscar Romero in un santino, scegliendo di descrivere la sua vicenda “come ce l’ha raccontata il suo popolo, in anni di accompagnamento reciproco”. È, come sottolinea don Angelo Casati nella postfazione, “l’avventura di monsignor Romero dentro l’odore della storia, dentro il rumore della storia, dentro le contraddizioni della storia”, “fino a diventare pastore resistente ai lupi che fanno scempio degli agnelli”: un vescovo “a scuola del popolo e, in qualche misura, non certo piccola, consacrato vescovo da un popolo”.

Non a caso, Vitali (segretario del Centro Studi economico-sociali per la Pace di Pax Christi, fondatore dell’Associazione Oscar Romero di Milano e coordinatore europeo del Sicsal, la rete internazionale dei Comitati Oscar Romero di solidarietà con i popoli dell’America Latina) avrebbe voluto che il volume si intitolasse con un’espressione cara a Romero: “Il popolo è il mio profeta”. Quel popolo, scrive Vitali nella sua biografia, “che non lo abbandonò nemmeno nell’ora del martirio”, come mostrano le tante vittime del massacro commesso dall’esercito proprio nel giorno dei suoi funerali, il 30 marzo, sulla piazza della cattedrale: “In paradiso, monsignor Romero non ci entrò da solo, ma accompagnato da una folta rappresentanza dei suoi. E davvero non è esagerato ritenere che non sarebbe mai diventato profeta e martire, se non gli fosse toccato di essere pastore di un popolo che lo era già prima di lui. ‘Sento che il popolo è il mio profeta’, appunto”.

 

Una radicale opzione per i poveri

Sarebbe stato, in effetti, il titolo più giusto, ha spiegato Vitali durante l’incontro sul tema “I martiri del Salvador” promosso dalle Paoline, dal Cipax e da Adista il 29 aprile scorso presso la Comunità S. Paolo, a cui ha preso parte anche Emanuele Maspoli, autore del libro Ignacio Ellacuría e i martiri di San Salvador, edito sempre dalle Paoline (v. Adista n. 87/09). Anche se poi l’espressione “Pastore di agnelli e lupi” (rimasta anche, e in questo caso in senso provocatorio, come titolo del secondo capitolo, quello sugli anni di ministero a San Miguel, quando Romero, “amico dei poveri e amico dei ricchi”, dava da mangiare ai primi, “ma non era ancora giunto a chiedersi perché fossero tali”) ha aiutato l’autore “ad approfondire meglio la scelta di campo di Romero”, che, nella sua opzione radicale per gli ultimi, “si sentiva responsabile degli uni e degli altri”. “Quanto più si radicalizzava in lui l’opzione per i poveri – scrive Vitali nell’Introduzione – tanto più si faceva chiara la gravità della situazione morale in cui versavano i ricchi e la necessità di pronunziare una parola di salvezza anche per loro”. E così Romero “accettò di andare incontro anche ai ricchi: con una parola di condanna del loro peccato, ma che schiudesse pure una possibilità di riscatto, pur consapevole che la sua San Salvador non era la Gubbio di Francesco e i lupi, se a volte si ammansiscono, molto più spesso sbranano”.

Da qui l’importanza eccezionale del lascito di Romero: “Solo una Chiesa capace di fare una scelta radicale a favore dei poveri e abbia il coraggio di denunciare, senza censure né retropensieri, tanto l’ingiustizia strutturale come i singoli interessi di parte, può sperare di salvare assieme al gregge anche i lupi che gli girano attorno”. Lo rivela bene la fondamentale lectio magistralis sul tema “La dimensione politica della fede a partire dall’opzione per i poveri”, tenuta da Romero il 2 febbraio 1980 all’Università di Lovanio, che lo aveva insignito di una laurea honoris causa (“il punto di arrivo e il lascito della sua esperienza pastorale”, la definisce Vitali): “La Chiesa – dichiarò in quella occasione l’arcivescovo – ha una buona notizia da annunziare ai poveri. Quelli che da secoli hanno ascoltato cattive notizie e hanno vissuto le peggiori realtà stanno ascoltando ora, attraverso la Chiesa, la parola di Gesù: ‘Il regno di Dio si avvicina’, ‘Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio’. E da ciò ha anche una buona notizia da annunziare ai ricchi: che si convertano al povero, per condividere con lui i beni del Regno”. E ancora: “Ora sappiamo meglio cos’è il peccato. Sappiamo che l’offesa a Dio è la morte dell’uomo. (…). Peccato è quello che diede la morte al Figlio di Dio e peccato continua a essere quello che dà la morte ai figli di Dio… Gli antichi cristiani dicevano: ‘La gloria di Dio è l’uomo che vive’. Noi potremmo attualizzare dicendo: ‘La gloria di Dio è il povero che vive’”.

Un discorso, quello di Lovanio, alla cui stesura contribuì in maniera decisiva il gesuita e teologo della Liberazione Jon Sobrino (come lui stesso spiega nella sua lettera al Preposito Generale della Compagnia di Gesù Hans Peter Kolvenbach, scritta in occasione della Notificazione della Congregazione per la Dottrina della Fede sui suoi due ultimi libri di cristologia; v. Adista n. 28/07), il quale, assieme al compagno gesuita Ignacio Ellacuría (sulla cui intensa collaborazione con l’arcivescovo pone l’accento anche Maspoli nel suo libro) “fu uno degli ‘esperti’ più consultati da Romero nell’ultimo periodo del suo ministero (“So molto bene - scrive Sobrino a Kolvenbach - che in Vaticano un ostacolo alla sua canonizzazione è stato il mio possibile influsso sui suoi scritti e sulle sue omelie”). Ed è proprio riferendosi a tale collaborazione che Vitali risponde a quanti si sono affannati a negare la vicinanza dell’arcivescovo alla Teologia della Liberazione: “Romero, è chiaro, non fu un teologo della liberazione, per il semplice fatto che quello del teologo non era il suo ministero. Ma sostenere, come qualcuno ancora fa, che ‘rifiutava teoricamente la Teologia della Liberazione’ è quantomeno ridicolo, visto i collaboratori di cui si attorniava nel momento di elaborare i documenti più importanti. Ellacuría e Sobrino rappresentavano, infatti, il volto stesso della Teologia della Liberazione salvadoregna. In questo senso, allora, è più corretto dire di Romero che non fu un teologo, ma un vescovo della liberazione” (entrambi i libri, quello di Alberto Vitali e quello di Emanuele Maspoli, senza spese aggiuntive, possono essere richiesti ad Adista, tel. 06/6868692, e-mail: abbonamenti@adista.it, oppure acquistati online sul sito www.adista.it). (claudia fanti)

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