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Verde indigeno

- 30 maggio, presidenziali in Colombia: il Partito Verde è una speranza di riscatto per gli indigeni e gli afrodiscendenti del Paese

Tratto da: Adista Contesti n° 43 del 22/05/2010

Tratto dal settimanale digitale colombiano “Caja de Herramientas” (23/04/2010). Titolo originale: “Es el Partido Verde una opción política para los indígenas y afro-colombianos?”

Il genocidio dell’epoca della conquista, le epidemie, l’acculturazione forzata e la spiritualità repressa dalla manipolazione missionaria hanno portato in tempi relativamente brevi al crollo delle società indigene. Questi collassi sono stati tanto disastrosi che hanno impedito ai popoli di riprendersi e ripensarsi per tutta l’Era Coloniale. Cinque secoli dopo, la lista dei popoli indigeni americani scomparsi è lunga.

Salvo alcuni gruppi che sono rimasti, per motivi geografici, in assoluto isolamento fino agli inizi del secolo XX (in alcune regioni dell’Amazzonia), i popoli sopravvissuti hanno subìto la politica della terra bruciata portata avanti dagli imperi coloniali, perdendo beni e territori. La libertà, innanzitutto. Qualcosa di simile è successo ai popoli afrocolombiani, che sono stati rapiti dai loro territori in Africa. Tutti, indios e neri, furono confinati in miniere e tenute per sostenere, con la loro manodopera schiava, gli imperi coloniali che li avevano soggiogati, e per forgiare l’accumulazione di base del nascente capitalismo. Non è stato riconosciuto, se non in discorsi al di fuori dell’ufficialità, il vero apporto di questi popoli alla Colombia, alla sua indipendenza e alla costruzione dell’identità nazionale.

Come risultato di questa storia di violenza, oppressione e umiliazione, resistono molti popoli, comunità, famiglie indigene e negre che vivono nella miseria, senza terre sufficienti e fertili, alcuni al di fuori dei loro territori, la maggioranza di essi in condizioni indegne, e ‘represse’ nella loro identità. Indubbiamente una situazione che fa arrossire tutti i colombiani.

Le biografie politiche di Antanas Mockus (candidato del Partito Verde alla presidenza nelle elezioni del prossimo 30 maggio, ndt) e Sergio Fajardo (candidato alla vicepresidenza per lo stesso partito, ndt) sono, fin dalle origini, legate ai popoli indigeni. Sono stati eletti alla importante carica di sindaco - Mockus a Bogotà, Fajardo a Medellín - grazie al sostegno dell’Alleanza Sociale Indigena, quando nessun partito politico dava peso a queste candidature. Entrambi hanno potuto contare sulla fiducia e sull’appoggio dei popoli indigeni. Questa amicizia ha resistito, malgrado alti e bassi tipici dei rumori politici. E pensiamo che debba continuare a perdurare, maturando e ampliandosi, ben oltre i compromessi storici che uniscono Antanas e Sergio agli indigeni, cercando un’alleanza più organica dove gli interessi degli indigeni possano godere di rappresentanza nel Partito Verde. Per questo è - come lo è ogni costruzione politica - un processo che si forgia nella faticosa quotidianità.

Per parte loro, i popoli indigeni e afrocolombiani sono uniti ad Antanas e Sergio dall’idea che il futuro della Colombia sia impensabile senza di loro. Anzitutto non concepiscono una Colombia in cui questi popoli continuino ad essere soggiogati e non possano esercitare il diritto di governarsi autonomamente e decidere dei destini delle loro regioni. Concezione, questa, alla base dell’Assemblea Nazionale Costituente del 1991 che, per la prima volta nella storia repubblicana, pose le basi per superare la negazione di queste aree di civiltà e cultura, fondamentali per costruire in Colombia una nuova istituzionalità umanista che riconosca il valore e il contributo di tutti i gruppi socio-culturali alla costruzione della Nazione. Se questi popoli non potranno esercitare i loro diritti, continueremo a coprire e reprimere le loro identità mantenendo aperte le porte ad ogni genere di ignominie, rimandando la possibilità di costruire un Paese moderno, realmente pluriculturale e tollerante. Peggio ancora, bloccando la prospettiva di trasformare violenza ed oppressione in un nuovo incontro fertile. Più che incontro, un re-incontro del Paese meticcio con questa straordinaria ricchezza di proposte spirituali, ideologiche e politiche che hanno manifestato i popoli indigeni ed afrocolombiani in questi ultimi anni.

Facciamo voti, allora, perché il 2010 sia l’anno del cambiamento per tutti i colombiani. Sia l’anno della rottura. Sia l’anno durante il quale si compiano passi fermi nella ricerca di una consociazione ritrovata, tollerante e ugualitaria delle diverse esperienze politiche, e vie storiche dei vari popoli e gruppi sociali che formano la Nazione colombiana, meticcia e bianca, come punto di partenza nella creazione di nuove condizioni per lo sviluppo sociale, economico e politico che garantiscano la convivenza. I risultati raggiunti nella Costituente dal movimento indigeno e per l’emersione del movimento negro rendono oggi impossibile continuare a pensare e ad identificare la Nazione colombiana solo con la tradizione spirituale dell’Occidente, per grande e fertile che questa sia.

Nonostante ciò, i massacri di indigeni e afrocolombiani al fine di appropriarsi dei loro territori e delle loro ricchezze hanno aperto grandi ferite in questi popoli e mettono in evidenza l’incapacità di quegli interessi economici egoisti, intolleranti e intransigenti al potere in Colombia di capire una proposta di civiltà nuova, differente dalle precedenti, basata sulla coesistenza e non sull’eliminazione delle differenze culturali. Un processo civile ampio e foriero di umanesimo che eviti l’omogeneizzazione e l’impoverimento della diversità sociale, politica e culturale.

Siamo convinti che Antanas e Sergio stanno iniziando questo processo di civiltà. È una nuova opportunità che ha la Colombia. Se così non sarà, vorrà dire che persisteremo nell’atteggiamento volgare e suicida che ha già imboccato rotte irreversibili, vista la quantità di espressioni culturali che sono scomparse per sempre.

Ma gli interessi economici che hanno governato la Colombia, ultimamente legati a poteri mafiosi, non conoscono né accettano un mondo diverso e plurale. E cercheranno di impedire che diventi realtà questo altro mondo possibile della multiculturalità e dello sviluppo sociale, e del rispetto di tutte le forme di vita. Al contrario insisteranno nel loro insensato e suicida modello di sviluppo, basato sullo sfruttamento delle risorse ambientali e minerarie, attaccando tutti i popoli che non immaginano un futuro senza boschi, ricchi di animali e di limpidi corsi d’acqua.

L’Assemblea Nazionale Costituente del 1991, atipica nella sua forma, come oggi sappiamo, è stata in gran parte disposta ad innovare gli strumenti legali a favore dei gruppi etnici. Gli obiettivi raggiunti sono legali, e nel Paese dove campeggia l’illegalità sono solo formali, lontani dalla loro realizzazione e sistematicamente aboliti dalle politiche neoliberliste delle amministrazioni successive. Dipenderà dalla capacità politica del movimento indigeno e di quello afrocolombiano e dalla loro forza ideologica se questi successi costituzionali, che sono costati molta fatica, si tradurranno in benefici per i loro popoli. Anzitutto per evitare che questi diritti siano disattesi, come detta la tendenza del momento.

L’Alleanza Sociale Indigena raccoglie l’esperienza di lotta e il profilo ideologico più significativo del movimento indigeno, che ha scelto come bandiere delle sue lotte quanto di più valido caratterizza le loro comunità: lo stile di vita comunitario, l’attaccamento alla terra, il rispetto della natura, la reciprocità, la modestia e la sobrietà nelle relazioni di produzione e consumo. Questi sono valori apprezzati da tutti i colombiani e motivo di orgoglio. Gli indigeni hanno l’ascendente etico per mostrare il cammino ad Antanas e a Sergio, e per chieder loro di continuare ad impegnarsi nella difesa dei territori collettivi dei popoli etnico-territoriali. Sarebbe troppo chieder loro di aderire alla dichiarazione dei popoli indigeni e afrocolombiani del Pacifico rifiutando la distruzione dei loro fiumi e delle loro mangrovie? Non corriamo. In ogni modo, crediamo che nella congiuntura politica attuale, il Partito Verde sia la miglior tribuna che hanno gli indigeni e i negri per esporre al Paese quale tipo di società vogliono costruire. È l’ora dell’offensiva per avanzare, per lo meno per andare oltre un Governo che ha reso possibile sradicare indigeni, afrocolombiani e contadini dai loro territori; per recuperare la legalità, per sottrarre lo Stato alle cricche che oggi governano in tutte le regioni del Paese e per costruire il Paese che tutti noi colombiani vogliamo: inclusivo in campo economico e politico, ma anche in ambito sociale e culturale.

Gli indigeni hanno agito sul piano della resistenza e delle difesa dei loro territori. Ma è giunta l’ora di agire anche per cambiare il Paese e le forme clientelari di fare politica. Questa è una dimensione politica ed ideologica di maggiore ampiezza, perché schiude la prospettiva di realizzare, nella pratica e uniti, un’opzione di sviluppo regionale e nazionale che riconosca la partecipazione attiva dei gruppi etnici, con le loro esperienze, le loro conoscenze, le loro soluzioni, le loro organizzazioni e le loro aspirazioni, all’interno di una politica generale che stabilisca e garantisca un margine di autonomia nella gestione dei loro interessi. Questa è un’opzione politica che possiamo e vogliamo aiutare a costruire nel Partito Verde, perché non vogliamo pensare che gli indigeni debbano tornare a sollevarsi per difendere i loro territori, secondo le parole del capo Seathl, che allertava contro l’inutilità della violenza: “Quando i nostri giovani  si arrabbiano per qualche cattiva azione e sfigurano i loro volti con pitture, anche i loro cuori si sfigurano. Allora la loro crudeltà è instancabile e non conosce limiti. E i nostri anziani non possono trattenerli. Però abbiamo la speranza che le ostilità fra l’uomo rosso e i suoi fratelli bianchi non torneranno mai più. Abbiamo tutto da perdere e niente da guadagnare… Dopo tutto, possiamo essere fratelli”.

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