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Verso Kingston 2010 Ecumenismo dal basso. Intervista a Brunetto Salvarani

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 53 del 26/06/2010

Si sono ritrovati in duecento, a Milano, lo scorso 2 giugno, provenienti da ogni parte d’Italia, cattolici, protestanti e ortodossi per il primo appuntamento italiano in vista della Convocazione ecumenica internazionale per la pace, indetta dal Consiglio ecumenico delle Chiese per maggio 2011 a Kingston, in Giamaica (v. Adista n. 46/10). E la parola forte – pronunciata con chiarezza anche nel documento finale del convegno (vedi box) – non poteva essere che una parola di pace, insieme alla volontà, manifestata dai rappresentanti delle tre Chiese cristiane, di “annunciare ed abbracciare la grande rivelazione della nonviolenza e della pace di Dio”.

“Il convegno è stato molto positivo sia per la partecipazione sia per i contenuti”, spiega Brunetto Salvarani, direttore della rivista di dialogo interreligioso Qol e moderatore del convegno. “Anche in Italia esiste un ‘piccolo gregge ecumenico’, e appare sempre più evidente che, se l’annuncio del Vangelo non è ecumenico, rischia di diventare una contro-testimonianza. Un ‘piccolo gregge’ che in questo momento non facile per l’ecumenismo ha bisogno di consolazione: e l’iniziativa del 2 giugno ha rappresentato un forte momento di incontro e di consolazione reciproca”.

 

Perché dici che non è un momento facile per l’ecumenismo?

“Perché dopo una serie di inciampi e di illusioni frustrate, culminate nell’incontro di Sibiu nel 2007 (v. Adista nn. 61, 63, 65 e 68/07), mi sembra si stia attraversando una fase di stanchezza, in cui non c’è più grande spinta a elaborare modelli non episodici di ecumenismo. E il piccolo gregge di cui parlavo prima, invece, segnala che ci sarebbe bisogno di un’accelerazione forte, soprattutto verso il basso, le chiese locali, le comunità, e non solo di un ecumenismo di vertice. Soprattutto nell’odierno contesto di cristianesimo globale”.

 

E rispetto ai contenuti, cosa è emerso a Milano?

“Centrale, ovviamente, è stato il rilancio del discorso sulla pace, in un momento storico in cui, mi pare, dopo la grande ondata di qualche anno fa contro la guerra in Iraq, anche il movimento pacifista italiano ed internazionale è in difficoltà. Considerare la pace come un tema di ordine teologico e rivelativo, e non solo dal punto di vista etico e politico: questa è una prospettiva strategica forte su cui tutti abbiamo convenuto a Milano. Mi pare molto importante affermare che la pace (e di conseguenza la giustizia e la salvaguardia del Creato) è un punto fermo del cammino delle Chiese cristiane, non solo dal punto di vista etico, ma della rivelazione: saremo giudicati sulle nostre capacità di pronunciare, e di vivere, quelle tre parole, ovvero pace, giustizia e salvaguardia del Creato. Certo, ci attende un lungo e faticoso, ma anche esaltante, cammino, da affrontare insieme con coraggio, umiltà e la dovuta pazienza: el camino se hace al andar, come diceva Machado. Non mancheranno, non stanno mancando, incertezze, timori, affaticamenti. Prezzi da pagare, per smascherare i semi di guerra e coltivare i semi della mitezza”.

 

Come proseguirà adesso il cammino?

“Dovremmo fare in modo che tali istanze passino e scendano a livello di Chiese locali e di Chiese di base, e non rimangano confinate nei documenti dei vertici ecclesiastici che poi, purtroppo, talvolta restano lettera morta. Mi viene in mente un’idea: il prossimo anno, il 22 aprile, ricorreranno i dieci anni della Carta Ecumenica, un documento importante ma ancora troppo poco conosciuto. Sarebbe bello che, invece o accanto a un’iniziativa nazionale, che magari si limiti solo a ricordare tale ricorrenza, la Carta venisse ristampata, ripresa sul maggior numero di riviste, distribuita e ovviamente discussa in tutte le Chiese e le comunità locali, cattoliche, protestanti e ortodosse. Ma anche in tutti gli enti locali, vista la ricaduta possibile su scala sociale e politica del dialogo ecumenico e interreligioso. Sarebbe, credo, il miglior modo per celebrare l’anniversario, e per rilanciare l’ipotesi fondamentale di un ecumenismo dal basso”.

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