Nessun articolo nel carrello

AL ‘NAPOLI PRIDE 2010’ ANCHE I GAY CREDENTI. GIANNI GERACI: “DIO, GRAZIE PER AVERCI FATTI COME SIAMO”

Tratto da: Adista Notizie n° 57 del 10/07/2010

35689. NAPOLI-ADISTA. Otre 300 mila in corteo sulle vie di Napoli, “è la miglior dimostrazione che tutto questo Paese, da Nord a Sud, è pronto per la rivoluzione laica dei diritti gay. Chi continua ad ignoraci ha responsabilità civili e storiche gravi”. Ha manifestato soddisfazione il presidente del Comitato Napoli Pride 2010, Paolo Patanè, commentando l’annuale corteo nazionale per l’orgoglio gay, che si è celebrato a Napoli il 26 giugno scorso, seguito da una serie di Pride cittadini (a Milano il 12 giugno, a Torino il 19 giugno, a Roma il 3 luglio, a Catania il 10 luglio).

Che la società e la Chiesa italiane siano ormai alle soglie di una “rivoluzione” culturale è però ancora tutto da dimostrare. Nonostante i segnali di apertura che si registrano in alcuni settori della Chiesa locale e della società civile – la Curia partenopea, ad esempio, non si è opposta ufficialmente allo svolgimento della manifestazione del 26 giugno – si registrano ancora forti resistenze, nelle gerarchie cattoliche e nell’atteggiamento di certa politica nazionale, palesemente intollerante e impreparata. Due esempi su tutti. Don Andrea Gallo, animatore della Comunità di San Benedetto al porto di Genova, ha inviato un messaggio ai manifestanti radunatisi per il Pride cittadino di Torino: “Cari Ragazzi, avrei voluto essere con voi, oggi, per le strade di Torino a cantare, ballare con gioia e allegria per tutto il lungo e festoso corteo”. “Alla mia amata Chiesa chiedo un dinamismo nuovo: non si può non rispondere alle richieste di dialogo della comunità Glbtq. L'Italia è una Repubblica democratica e laica; c'è libertà di coscienza e religiosa. È necessario ripartire dai diritti di tutti, per passare dalla solitudine alla festa”. Di “perversa tendenza, nota come malattia psichica da decenni”, e di “pratica demoniaca” parla invece una delle voci dell’estrema destra cattolica, il sito Pontifex. Di tutto questo, e di altro, abbiamo parlato con Gianni Geraci, portavoce del gruppo “Il Guado-Gruppo di ricerca su Fede e Omosessualità” di Milano e attivista storico del movimento dei gay credenti. (giampaolo petrucci)

Come è andata a Napoli?

Direi che è andata davvero bene, perché siamo finalmente riusciti a recuperare un progetto nato nel 2002 a Padova, quando i gruppi di omosessuali credenti erano riusciti a caratterizzare una parte del lungo corteo che attraversava la città. Nonostante i buoni propositi di allora, però, in 8 anni, non eravamo più riusciti a ripetere quell'esperienza: il fallimento di una presenza comune al Pride di Torino del 2006 è stata tra le ragioni che hanno portato alla fine del Coordinamento che i gruppi italiani avevano creato nel 1994.

 

Al corteo hanno partecipato numerosi gruppi di omosessuali credenti, ma non tutti. Perché?

L'idea di un Pride a cui aderiscano tutti è ancora un'utopia: alcuni, come il gruppo “In Cammino” di Bologna, rifiutano l'idea di una manifestazione che celebra l'orgoglio omosessuale. Nonostante questo, e nonostante i molti cortei cittadini che hanno fatto “concorrenza” al Pride nazionale, la partecipazione dei gruppi è stata ricca e diversificata. Anche quelli di Palermo e di Torino, che la settimana prima erano impegnati in una manifestazione analoga, sono stati presenti con i loro volantini al gazebo allestito in piazza Plebiscito.


Cosa significa manifestare l’”orgoglio omosessuale” per un cristiano?

In Italia si parla di “orgoglio” omosessuale, ma questo termine non rende pienamente il senso della parola originale pride. Quando si afferma di essere “orgogliosi” della propria omosessualità ci si dimentica delle reazioni negative che questa affermazione può indurre (ad esempio, evoca un certo senso di superiorità). Qualche anno fa, dal palco di un Pride, ho detto che noi omosessuali credenti, con queste manifestazioni, vogliamo “ringraziare” Dio per averci creato con la nostra omosessualità. Parlare di Pride significa allora, soprattutto, testimoniare fino in fondo la bontà strutturale della Creazione di Dio. Una bontà strutturale che tanti “profeti si sventura” si sforzano costantemente di negare.

 

Dalla prima edizione da oggi, l’atteggiamento delle ge-rarchie cattoliche nei confronti dei Pride è cambiato?

Oggi non sono più proponibili gli anatemi con cui il card. Sodano stigmatizzò il World Pride del 2000 a Roma. In questi anni sembra si sia affermata progressivamente la linea dalla curia di Milano che – nel rispetto dell'indipendenza tra gli ambiti della vita dell'uomo – nel 2001 ha deciso di non occuparsi del Pride milanese. Negli ultimi anni, poi, i Pride nazionali sono addirittura diventati occasione di incontro tra il movimento gay e la Chiesa locale: a Padova, nel 2002, la diocesi ha puntato sul dialogo senza cavalcare l'estremismo di alcuni settori della politica cittadina; a Torino, intorno al Pride 2006, è nata un'esperienza di dialogo che ha poi spinto l'Ufficio per la Famiglia della Diocesi, l’anno scorso, a pubblicare il sussidio Fede e omosessualità. Devo dire, per onestà, che non sempre l'atteggiamento del movimento omosessuale favorisce le aperture da parte dei vertici ecclesiali: a volte prevale la voglia di strillare in maniera sterile la propria rabbia. Ad esempio, quest’anno, il Guado è uscito dal comitato organizzatore del Pride cittadino: urlare slogan contro una Chiesa che interviene a gamba tesa contro qualunque forma di riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali è legittimo; che però sia lo stesso comitato organizzatore a proporre questo messaggio, dimenticando l’atteggiamento di rispetto della Chiesa milanese, per noi era inaccettabile.

 

E nella società italiana? Cosa dimostrano le frequenti aggressioni fisiche ai danni di giovani omosessuali?

Assistiamo alle conseguenze di una politica che ha fatto della paura nei confronti delle diversità uno dei suoi cavalli di battaglia. Per attrarre consensi, la politica identifica gruppi di persone ‘diverse’ da additare all'opinione pubblica come una minaccia, cavalcando alcune paure profonde che ciascuno di noi si trascina dentro. E così, gli zingari minaccerebbero il diritto di proprietà (“sono tutti ladri”), gli arabi la nostra sicurezza (“sono tutti terroristi”), i musulmani le libertà (“sono tutti fondamentalisti”) e gli omosessuali la stabilità delle relazioni (“vogliono distruggere la famiglia”). Queste paure, poi, innescano spesso dei comportamenti irrazionali, come certe esplosioni di violenza che, in una persona capace di intendere e di volere, non si giustificano in alcun modo.

 

Come interpreti il messaggio di don Andrea Gallo al Torino Pride? È il segno che nella Chiesa qualcosa si muove o si tratta di una voce isolata?

Don Gallo è una delle voci profetiche che parlano all'interno della Chiesa italiana. Come tutte le voci profetiche ha la funzione di aiutare la Chiesa ad interrogarsi sulla fedeltà con cui vive il mandato che ha ricevuto da Gesù. Come ci insegna la storia il compito di queste voci è quello di evidenziare le urgenze di conversione della Chiesa. Quella di modificare il suo atteggiamento nei confronti degli omosessuali è senz'altro una di queste urgenze. Saranno solo i prossimi anni a dirci quanto questa urgenza riesca a diventare qualche cosa di condiviso all'interno della Chiesa stessa.

 

Molti, che pure si definiscono aperti rispetto alle tematiche gay, ritengono il Pride una manifestazione eccessiva e provocatoria, che confonde sfera pubblica e privata

C'è una sorta di diffidenza nei confronti dei Pride che accomuna tante persone che non possono essere inquadrate come intolleranti nei confronti dell'omosessualità in generale. I mass media mettono in evidenza gli aspetti più trasgressivi e la gente tende a identificare l’evento con quegli aspetti. In realtà, il Pride serve anche a far vedere, nelle strade, tra la gente comune, che la diversità omosessuale è meno trasgressiva di quello che sembra.

Occorre poi distingue ciò che è strettamente privato (come l'intimità sessuale di una coppia) da ciò che invece strettamente privato non è (come l’avere o meno un compagno o dei figli). Gli omosessuali non devono certo raccontare in giro quello che fanno a letto (anche gli eterosessuali educati non lo fanno). Però, se vogliono davvero superare l'ipocrisia e uscire dall’ombra, non possono più nascondere, ad esempio, il partner con cui condividono parte della loro vita.

Il Pride certamente mette in piazza la vita (il desiderio di intimità, il volto del nostro compagno o compagna, l'affetto che ci lega a un'altra persona), ma la inserisce in una sorta di celebrazione collettiva della libertà che provoca l'emersione, per un giorno solo, di quello che solitamente non condividiamo quotidianamente.

 

E per quanto riguarda le manifestazioni più trasgressive e vistose presenti al corteo?

Penso ad esempio ai carri dei transessuali: la cura estetica dei particolari si accompagna a una esibizione del proprio corpo che lascia perplesse anche tante persone tolleranti. Si tratta di una perplessità comprensibile che però non fa i conti con la storia di questi transessuali, segnata dal rapporto con un corpo percepito non come “proprio”, ma vissuto con senso di estraneità. Un corpo che ha spinto la persona a intraprendere un percorso difficile, doloroso e impegnativo come è quello del cambiamento di sesso. Al termine di questo percorso è naturale che la persona sia davvero “fiera” di un nuovo corpo che le è costato fatiche e sofferenze e che senta il bisogno di ostentarlo in forme che non hanno senso nella vita di tutti i giorni.

Spesso si scade in forme apparentemente inopportune e di cattivo gusto. Ma quando si celebra qualche cosa che ha a che fare con quanto di più profondo c'è dentro di noi, il senso di opportunità e il buon gusto passano in secondo piano. Stiamo attenti dunque a non condannare qualcosa solo perché esce dai nostri schemi. Cerchiamo di andare oltre le apparenze e di scoprire cos’è che spinge tante donne e tanti uomini ad affrontare sacrifici importanti pur di partecipare a una manifestazione che spesso facciamo fatica a capire. Scopriremo che dietro a questi atteggiamenti c'è un profondo desiderio di dire grazie a Dio per averci fatti così come siamo, ciascuno con la propria diversità. (g. p.)

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

50 anni e oltre

Adista è... ancora più Adista!

A partire dal 2018 Adista ha implementato la sua informazione online. Da allora, ogni giorno sul nostro sito vengono infatti pubblicate nuove notizie e adista.it è ormai diventato a tutti gli effetti un giornale online con tanti contenuti in più oltre alle notizie, ai documenti, agli approfondimenti presenti nelle edizioni cartacee.

Tutto questo... gratis e totalmente disponibile sia per i lettori della rivista che per i visitatori del sito.