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Lavoro Padroni del vapore

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 74 del 02/10/2010

Al Meeting di Rimini, davanti al pubblico plaudente di Comunione e Liberazione, Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, è andato a raccontare la sua buona novella sulle relazioni industriali. Non è azzardato un tale linguaggio perché è stato lui ad annunciare che l’antico testamento degli anni ‘60 è un ricordo e siamo ormai nell’era dopo Cristo (sic!).

Quali sono le novità? La prima è che il conflitto è finito. La lotta tra capitale e lavoro, tra padroni e operai è un reperto anacronistico, e chi si attarda su “questo modello di pensiero” alimenta una “guerra in famiglia”. La famiglia è la Fiat, ma è anche l’Italia che si trova di fronte “al resto del mondo”. Il modello negativo è rappresentato dai tre operai di Melfi licenziati, difesi dalla Cei e dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Per ora la Fiat è stata costretta a riassumerli dalla sentenza di primo grado, senza però reintegrarli nelle loro mansioni lavorative. “La dignità e i diritti non possono essere patrimonio esclusivo di tre persone”, dice Marchionne, riscuotendo l’applauso dell’assemblea.

Se facciamo due conti emerge che il reddito del 2009 di Marchionne, 4 milioni e 782 mila euro, è pari a 432 volte il salario di un suo operaio di Pomigliano, mentre quello di Berlusconi arriva a 11.490 volte. Su azionisti e proprietà sappiamo di sicuro che da Marchionne si aspettano profitti sostanziosi. Sui metodi per arrivarci è lui il plenipotenziario.

Naturalmente l’ad della Fiat non fa alcun cenno ad argomenti tanto banali. Lancia, invece, la grande idea di “un patto sociale per condividere gli impegni, le responsabilità e i sacrifici per dare al Paese la possibilità di andare avanti”. Dice anche di credere “in un sistema che si faccia carico di riparare le conseguenze del funzionamento dei mercati e di sostenere coloro che sono colpiti dal cambiamento”. Tutto, però, si ferma lì. Nessuna parola sugli scempi che stanno avvenendo in Italia.

Passano pochi giorni e la Federmeccanica, col placet della presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, annuncia che dall’1 gennaio 2012 procederà a recedere dal contratto nazionale di lavoro del 2008, quello firmato anche dalla Fiom-Cgil. Mani libere, dunque, per le future trattative, azienda per azienda, con chi ci sta. E chi non ci sta, fuori dai piedi. La natura del “patto sociale” trova il suo asse in questo “nuovo modello”. Bertinotti da Cernobbio commenta: “Ora la scelta a quanto pare è: o lavoro o diritti, come dire, o capitalismo o democrazia”.

Si dice da più parti che, rispetto all’economia globalizzata, la produttività in Italia è in caduta libera, che il sistema sta perdendo in competitività. Naturalmente il bersaglio è il costo del lavoro che va piallato il più possibile. In realtà il salario medio in Italia è il 17% meno della media europea, mentre il cuneo fiscale è tra i più elevati dei paesi dell’Ocse. Il problema più vero sono i mancati investimenti in ricerca e tecnologie più avanzate, da cui in gran parte dipende la competitività del sistema. Rimane comunque il problema dell’occupazione. Normalmente l’avanzamento tecnologico e la robotica riducono il lavoro umano.

La ricetta di Marchionne è “un ritmo molto più veloce rispetto alla concorrenza” secondo l’“etica del business”. La visione di un metalmeccanico dell’auto, Alessandro Cecchi, è più convincente: “Se riuscissimo a produrre un’auto elettrica a emissioni zero e con consumi bassissimi, con tanta di quella ricerca e innovazione da far impallidire le utilitarie sul mercato forse ci sarebbe un futuro per noi. Ma certo non ci sarà se pensiamo di fare concorrenza ai costi del lavoro della Serbia oggi o del Montenegro domani”.

La realtà è che nei periodi di crisi diventa sempre più evidente la fragilità sindacale e cresce la forza e l’arroganza di chi rappresenta il capitale. Il potere contrattuale dei lavoratori si riduce quando la disoccupazione sale. Demagogia? Dicono due voci certamente non infettate di vetero-comunismo: “L’ad della Fiat Marchionne (...) padrone lo è e deve esserlo (...), la legge capitalistica è sempre la stessa” (Giorgio Bocca). “Con questo governo (...) la finanza e la fiscalità classiste resteranno inalterate, con buona pace per chi sostiene che la lotta di classe non esiste più” (Eugenio Scalfari).

 

 *Prete operaio in pensione e direttore della rivista Pretioperai

 

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