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VERONA: VIA I LUTERANI DA SAN PIETRO MARTIRE. I TRADIZIONALISTI ESULTANO. MA LA DIOCESI FRENA

Tratto da: Adista Notizie n° 79 del 23/10/2010

35821. VERONA-ADISTA. La convenzione, questa volta, non è stata rinnovata e la piccola comunità luterana veronese, dal 3 ottobre scorso, ha dovuto lasciare la chiesa di San Pietro Martire, che l’ospitava dal 2006, come aveva voluto l’allora vescovo Flavio Roberto Carraro. Cantano vittoria i tradizionalisti veronesi del “Comitato perché la chiesa di San Pietro Martire resti cattolica e contro il relativismo religioso”, nato appunto, con l’obiettivo di “depurare” la chiesa del co-patrono della città scaligera dalla presenza degli “eretici”. Ne dà notizia un comunicato stampa pubblicato dal settimanale diocesano Verona fedele (26/9), cofirmato dal direttore dell’Ufficio diocesano “Ecumenismo e dialogo”, don Diego Righetti, e dalla responsabile della Comunità luterana “Verona-Gardone”, la pastora Kerstin Vogt. La “ricognizione di edifici adatti ad una nuova collocazione”, motiva il comunicato, si è conclusa felicemente, con la destinazione alla comunità della chiesa San Domenico in via del Pontiere, sconsacrata e demaniata da Napoleone nel 1806 e ora proprietà del Comune. Il documento, redatto in un piatto stile burocratico, si conclude però con l’auspicio “che il cammino ecumenico, compresi i rapporti tra cattolici e luterani, proceda, pur con fatica e inevitabili tensioni, verso il traguardo della piena unità”. Come dire che la diocesi - soprattutto dopo i “rosari di riparazione” promossi dal comitato contro le visite del papa alla Chiesa luterana e alla sinagoga di Roma e guidati, rigorosamente in latino, dal negazionista lefebvriano don Florian Abrahamowicz - non mostrerà più grande tolleranza nei confronti delle fanatiche esternazioni tradizionaliste.


Vincitori e vinti

Le motivazioni addotte nel comunicato, però, non hanno convinto né i lefebvriani né tanto meno i luterani, che ritengono determinante, nella decisione della diocesi, la pressione esercitata dalla crociata reazionaria. Il gruppo dell’ultradestra cattolica, in un comunicato del 30 settembre scorso, considera vinta la battaglia, annuncia che la propria ragione sociale è ormai esaurita, e modifica il nome in “Comitato contro il relativismo religioso”. “Si chiude così una pagina dolorosa”, si legge: la concessione di Carraro è stata “fonte d’infinite polemiche e sofferenze nella cattolicità scaligera e nel mondo, stante la dimensione planetaria della devozione al Santo frate domenicano, nativo di Verona”. “San Pietro Martire – vi si legge ancora – sarebbe divenuta la prima chiesa d’Italia, catto-luterana, in cui si sarebbero potute celebrare le ‘nozze’ sodomitiche, con immenso scandalo. E questo sarebbe stato inaccettabile. I fedeli e i cittadini veronesi, dei cui sentimenti i cattolici tradizionalisti si sono fatti interpreti, hanno molto sofferto in questi anni nel vedere la chiesa del loro co-Patrono sede di culti acattolici e, peggio ancora, possibile proscenio delle unioni contro natura”.

Sembra parlare di sconfitta anche la pastora luterana Kerstin Vogt: “A chi diamo fastidio? Siamo una piccola comunità di persone tranquille e celebriamo il culto in lingua tedesca. In tutti questi anni abbiamo subito una violenza gratuita, mentre noi desideriamo solo la pace”, ha detto, aggiungendo poi: “I veronesi sono in gran parte persone aperte e cordiali e gli integralisti sono un’esigua minoranza, mi dispiace che la Chiesa cattolica abbia paura di loro”.

 

Cancelli chiusi a buoi scappati

Per coronare la vittoria, in occasione delle loro annuali celebrazioni della sconfitta dei turchi a Lepanto del 1571, i tradizionalisti hanno organizzato una recita del Te Deum – guidata dal solito Abrahamowicz – nella basilica di Sant’Anastasia. Ma questa volta, quando si sono presentati all’appuntamento, i nostalgici del latino hanno trovato le porte chiuse per ordine dello stesso vescovo, mons. Giuseppe Zenti, più volte accusato dai tradizionalisti di eresia, per essersi reso “complice della profanazione” di San Pietro Martire. “Al fine di non incrementare le tensioni polemiche e nel rispetto del cammino ecumenico”, si legge in una nota diffusa il 6 ottobre scorso, la Curia “si vede costretta a negare ai gruppi tradizionalisti l'accesso alla Chiesa di Santa Anastasia”.

Però, il sasso dalla scarpa, secondo Marianita Montresor (presidente del Sae-Segretariato per le attività ecumeniche di Verona), il vescovo se l’è tolto un po’ troppo tardi: certo, ha dichiarato (L’Arena, 7/10), “fa piacere che si sia presa la decisione di non concedere una prestigiosa chiesa cittadina, legittimando di fatto le posizioni di certi gruppi. Ma siamo preoccupati per lo spazio che questi spesso trovano e amareggiati per non aver sentito finora una parola forte e ufficiale contro le offese che i nostri fratelli di altre confessioni cristiane subiscono. L'atteggiamento di lasciar correre ci pare molto rischioso perché sottovaluta l'influenza che può avere sulla coscienza dei cattolici, favorendo un atteggiamento dogmatico e di chiusura”. Minacciosa la replica di uno dei coordinatori del Comitato, Maurizio Ruggiero: “È uno scandalo che ci sia stata negata la basilica. Bisognerà adottare le giuste misure nei confronti di questo clero progressista, di questi pastori luterani travestiti da preti, peggiori dei luterani stessi. Vanno messi nelle condizioni di non nuocere”.

 

La “santa” alleanza

In questi anni di guerre di religione, sembra essersi fortemente compattato il sodalizio di forze reazionarie come l’ex-atea Lega Nord di Umberto Bossi, la stampa “laica” di centrodestra e i movimenti cattolici, lefebvriani e negazionisti. Il 9 settembre scorso, ad esempio, il quotidiano Libero così faceva da sponda alla crociata contro i luterani: “Verona è diventata la roccaforte del Luteranesimo europeo che ha installato, colmo dei paradossi, il suo santuario proprio nella chiesa simbolo della città scaligera”. Il giornale, sulla scorta del Comitato, ribadiva poi lo “scandalo della Verona cattolica e fedele perché proprio” in quel luogo sacro per la città si sarebbero potute “celebrare le prime unioni tra gay e lesbiche in Italia”. Sentenza dai toni inquisitori che ricordano quelli utilizzati dai lefebvriani veronesi. Tutta colpa dell’attuale e del precedente vescovo, incalzava ancora il giornale diretto da Maurizio Belpietro, che hanno regalato “la chiesa madre della città a degli eretici che vorrebbero mettere il papa sul rogo”. Una gravissima responsabilità, quella dei vescovi Giuseppe Zenti e Flavio Roberto Carraro, affondava, anche alla luce del fatto che la chiesa del martire non è stata “liberata” nemmeno quando in Svezia i luterani ordinarono la loro “papessa”, Eva Brunne, peccatrice non solo perché lesbica e sposata con un’altra pastora, ma anche perché “politicamente di sinistra e sedicente ammiratrice del presidente Barack Obama”. (giampaolo petrucci)

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