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IL RITORNO DI WOJTYLA. PER ESORCIZZARE LA CRISI

Tratto da: Adista Notizie n° 5 del 29/01/2011

35958. ROMA-ADISTA. Nonostante l’“intoppo” legato all’amicizia con Wanda Poltawska che ne aveva frenato (a marzo 2009, v. Adista n. 64/09) la corsa agli altari, da quando nelle scorse settimane era divenuto chiaro che la Chiesa avrebbe riconosciuto ufficialmente il miracolo riguardante una suora francese, suor Marie Simon Pierre, che sarebbe guarita dal morbo di Parkinson, della beatificazione di Wojtyla si attendeva solo la conferma ufficiale. Che è arrivata l’11 gennaio scorso: Giovanni Paolo II sarà elevato agli altari il 1.mo maggio 2011, giorno in cui per la Chiesa ricorre la festa della Divina Misericordia (istituita, peraltro, proprio dal defunto pontefice), certo; ma anche giorno in cui il movimento operaio celebra la Festa dei Lavoratori. Un modo per sottolineare, ancora una volta, quell’aurea di campione della lotta al comunismo di cui il papa venuto dall’Est si era sempre ammantato.

Per accelerare la beatificazione di Wojtyla, Benedetto XVI ha deciso che si poteva derogare dalla norma che prevede l’attesa dei cinque anni per l’inizio del processo canonico. La rapida approvazione del miracolo, scelto tra le tantissime segnalazioni di presunti prodigi compiuti dal defunto papa dal 2005 ad oggi, ha completato il rapidissimo iter. Del resto, con la beatificazione di Wojtyla la gerarchia celebra se stessa. Perché Wojtyla è stato papa; perché lo è stato per ben 27 anni; perché lo è stato immediatamente prima del pontefice che ha decretato la sua canonizzazione (un fatto che non accadeva da mille anni); perché, soprattutto, Giovanni Paolo II ha avuto al suo fianco gran parte di quella gerarchia che ora ne celebra l’apoteosi, primo fra tutti l’attuale pontefice, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede dal 1981 fino alla morte di Giovanni Paolo II e suo più stretto collaboratore.

Collaborazionismo o denuncia?

Nel raccontare, dalle colonne dell’Osservatore Romano (16/1), le fasi del processo canonico che hanno portato alla firma del decreto pontificio con cui Ratzinger ha dato il via libera alla beatificazione di Wojtyla, il prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il card. Angelo Amato, ha affermato che «i teologi tengono conto di tutti i documenti, ma nel caso di Giovanni Paolo II non è stato trovato niente di problematico». Eppure, durante il suo pontificato e anche dopo la sua morte, papa Wojtyla è stato spesso oggetto di critiche da parte degli intellettuali cattolici. Nel dicembre del 2006, autorevoli esponenti del mondo teologico e del cattolicesimo di base hanno messo per iscritto le loro obiezioni alla canonizzazione di Wojtyla, durante il processo avviato subito dopo la sua morte. Argomentazioni che, evidentemente, sono state ignorate, così come l’articolata, e critica, testimonianza resa da Giovanni Franzoni alla Congregazione delle Cause dei Santi nel marzo 2007 (per il testo, www.adistaonline.it/speciali/no_beatificazione.rtf).

I firmatari di quel documento (oltre a Franzoni, Jaume Botey, José María Castillo, Giancarla Codrignani, Rosa Cursach, Casiano Floristán, Filippo Gentiloni, Giulio Girardi, Martha Heizer, Casimir Martí, Ramon Maria Nogués, José Ramos Regidor, Juan José Tamayo,  Adriana Zarri, Vittorio Bellavite, v. Adista n. 87/05)) mettevano in particolare evidenza la sistematica repressione di coloro che – preti, vescovi, teologi, religiose e religiosi, docenti nelle Facoltà teologiche, leader dell’associazionismo laico – non si erano uniformati alla rigida visione ecclesiale, teologica, pastorale, politica imposta dal Vaticano; ma sottolineavano anche la ferma opposizione di Giovanni Paolo II a riconsiderare alcune normative di etica sessuale; la mancata vigilanza sulle operazioni finanziarie dello Ior; l’indisponibilità ad aprire un serio e reale dibattito sulla condizione della donna nella Chiesa cattolica; la mancata attuazione dei princìpi di collegialità nel governo della Chiesa romana; l’isolamento ecclesiale in cui era stato tenuto mons. Oscar Arnulfo Romero, nonché «l’improvvida politica di debolezza verso governi, dal Salvador all’Argentina, dal Guatemala al Cile, che in America Latina hanno perseguitato, emarginato e fatto morire laici, uomini e donne, religiose e religiosi, sacerdoti e vescovi che coraggiosamente denunciavano le “strutture di peccato” dei regimi politici dominanti e dei poteri economici loro alleati».

La riproposizione, a 5 anni di distanza, di quel documento ha creato però, all’interno della stessa area che lo ha prodotto, qualche distinguo. Sul manifesto (15/1), Enzo Mazzi, storico animatore della Comunità dell’Isolotto di Firenze, pur criticando fermamente la decisione di beatificare Wojtyla, «in tutta fretta» e in una data, per di più, «laicamente sacra per il mondo del lavoro a livello mondiale», ha manifestato al tempo stesso perplessità per quegli esponenti «del progressismo cattolico aperto, fra cui alcuni e alcune di cui – ha precisato – ho molta stima», che hanno sottoscritto il documento contrario alla beatificazione di Wojtyla. Si tratta, a detta di Mazzi, di «forme di collaborazionismo verso il sistema della santificazione», che crea figure «isolate da quella che consideriamo la palude amorfa dei comuni mortali», decontestualizzate e idealizzate. «La santificazione è fondamentalmente distruttiva perché soddisfa e alimenta il nostro bisogno di separarci e allontanarci dalla miseria della vita reale, favorisce la divaricazione fra il sogno e la realtà, indirizza la nostra ricerca di senso verso la emersione individuale contrapposta alla convergenza e alla socialità, ignora o sottovaluta i processi profondi, frantuma il divenire storico». Inoltre, “crea sensi di frustrazione morale di fronte a modelli di santità irraggiungibile, genera sensi di colpa, produce personalità insicure, dipendenti e quindi inclini alla eterodirezione e alla ubbidienza. Ecco il motivo profondo della santificazione: favorire il dominio».

«Se ci poniamo su un piano ideale – è stata la replica di Giovanni Franzoni dalle colonne di Confronti (febbraio 2010) - le ragioni di Mazzi sono cento più una; se però ci poniamo sul piano pastorale e su quello pragmatico, ritengo plausibile che una discussione aperta circa le virtù eroiche di Wojtyla sia stata considerata da alcuni di noi come un’opportunità per violare l’omertoso silenzio sulle ombre di quella vita che adesso si vuole strumentalmente esaltare».

 

Nel segno dell’autoritarismo

Ma nel cattolicesimo di base la mobilitazione contro la beatificazione di Wojtyla è comunque ripartita. Per il Movimento Internazionale We Are Church, il papato di Giovanni Paolo II è stato attraversato da una profonda contraddizione, che sta «nel divario tra il suo impegno per la riforma e il dialogo nel mondo e il suo ritorno all’autoritarismo all’interno della Chiesa». Nella sua versione spirituale, tale autoritarismo «ha contribuito alla più grande tragedia del suo mandato come papa: l’abuso sessuale su migliaia di bambini a livello globale. Tenendo la gerarchia ecclesiastica fondamentale al di sopra dei bisogni della gente, Giovanni Paolo II ha contribuito a mantenere nella Chiesa un clima nocivo, che ha permesso a sacerdoti, spesso ripetutamente, di compiere abusi”, consentendo che questi restassero segreti, per «preservare a livello dell’opinione pubblica l’immagine di una leadership incontaminata». Una delle più efficaci prove di questo atteggiamento «sta nel solido rapporto di Giovanni Paolo con i Legionari di Cristo e il suo fondatore Marcial Maciel». Ed è stata quella stessa ossessione di Giovanni Paolo II per il controllo gerarchico «a portare anche alla costrizione della teologia». In particolare, «il suo tentativo di screditare la teologia della liberazione ha lasciato migliaia di persone che si battevano per la liberazione dei popoli senza quel pieno supporto teologico ed ecclesiale che meritavano, mentre pativano sotto brutali regimi politici».

Stesso discorso per la parità di genere: l’azione di Giovanni Paolo II «ha privato il mondo cattolico dei doni che le donne avrebbe potuto portare alla leadership della Chiesa». «La sua posizione contro lesbiche, gay, bisessuali e transgender lo pone in complicità con le Chiese locali e governi che continuano a negare l’uguaglianza morale e civile delle persone Lgbt». «Il Movimento Internazionale Noi Siamo Chiesa crede che la beatificazione e, infine, la santità non devono essere misurate con l’attribuzione di un "miracolo" a una determinata persona; piuttosto, dal fatto che la vita di qualcuno incarna perfettamente i valori di Cristo, che ha cercato, non il potere, ma il benessere del popolo di Dio». (valerio gigante)

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