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Politica e partecipazione. Ignazio Marino: Il Pd non tema le primarie

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 13 del 19/02/2011

Lo spazio “Politica e partecipazione” questa settimana parla del Partito democratico e affronta il nodo delle primarie, con un’intervista al senatore Ignazio Marino, fra i più convinti sostenitori di tale strumento come occasione di partecipazione dei cittadini alle scelte e alle decisioni della politica. Nelle precedenti puntate: Sinistra Ecologia e Libertà e le “Fabbriche di Nichi” (Adista n. 96/10), la Federazione della Sinistra (n. 100/10), i cattolici e la politica (n. 4/11). Ulteriori contributi dei lettori (nel n. 9/11 abbiamo pubblicato un testo di Alessandro Santagata su “Fede e chiesa nella narrazione di Vendola”) possono essere inviati a luca@adista.it.

La prima volta fu nell’ormai lontano 2005: oltre 4 milioni di cittadini si presentarono alle urne allestite da quella che allora si chiamava Unione e, in modo massiccio (74% di preferenze), scelsero Romano Prodi come candidato premier del centro-sinistra alle elezioni politiche che si sarebbero tenute di lì a pochi mesi (per la cronaca gli altri contendenti furono Fausto Bertinotti, che ottenne il 14,7%, Clemente Mastella il 4,5%, Antonio Di Pietro il 3,3%, Alfonso Pecoraro Scanio il 2,2%, Ivan Scalfarotto lo 0,6% e Simona Panzino lo 0,5%).
Da allora le primarie hanno conosciuto alterne fortune e vicende: da consultazione quasi farsa per l’investitura plebiscitaria del candidato già prescelto dai vertici del partito, ad elezioni vere in cui a prevalere è stato anche il candidato esterno agli apparati – vedi Nichi Vendola per la presidenza della Regione Puglia – fino al caos napoletano delle scorse settimane in cui sono stati denunciati brogli e votanti fantasma.
Fatto sta che, nonostante tutto, ad oggi le primarie rappresentano l’unica azione messa in campo dal Partito democratico per dare ai cittadini e agli elettori del centro-sinistra la possibilità di partecipare. Ne abbiamo parlato con Ignazio Marino, senatore del Pd, e già candidato alle primarie per la segreteria del partito, poi vinte da Pierluigi Bersani

Senatore Marino, per il Partito democratico, il principale, ma forse anche l’unico, strumento di partecipazione dei cittadini alla vita e alle scelte della politica è costituito dalle primarie per la selezione dei candidati. Cosa ne pensa?
Ho una conoscenza abbastanza precisa delle primarie dei Democratici statunitensi, a cui ho più volte partecipato vista la mia lunga permanenza negli Usa. E proprio per questo credo che avere introdotto anche in Italia le primarie sia stata una grande intuizione, perché sono dell’idea che siano un grande esperimento di democrazia partecipata e, ormai, un carattere distintivo del Partito democratico. Però ritengo che debbano essere regolate con norme diverse e più chiare di quelle attuali, anche per evitare situazioni di forte disagio come quello che è accaduto con le primarie per la scelta del candidato sindaco di Napoli, una vicenda che negli Stati Uniti non si sarebbe mai potuta verificare proprio perché le regole sono diverse.

Quali regole proporrebbe?
Per esempio un albo degli elettori, in cui ciascuno si dichiari elettore del Partito democratico o comunque del centro-sinistra. Solo chi è iscritto a tale albo potrebbe partecipare alle primarie e in questo modo, essendoci una dichiarazione personale scritta di “appartenenza politica”, si eviterebbero situazioni di brogli o di finti elettori. Proprio a questo proposito, ho proposto al segretario Bersani, ed io me ne farei carico, di organizzare una serie di seminari sui meccanismi delle primarie proprio per poter pensare ed elaborare insieme delle regole certe e riuscire a rendere davvero le primarie un meccanismo autentico di selezione della classe dirigente e non un’occasione di conflitto, se non di guerra, fra i diversi gruppi di vertice del Pd e degli altri partiti del centro-sinistra.

Quindi lei è pienamente convinto che le primarie siano un reale strumento di partecipazione per i cittadini?
Assolutamente sì. I cittadini, i nostri elettori, vogliono partecipare e sentirsi coinvolti nella vita e nelle scelte del partito e della politica, e le primarie devono servire proprio a questo: dare alle persone la possibilità di partecipare alla selezione delle classi dirigenti ma anche l’opportunità, per chi vuole, di mettersi in gioco in prima persona, eventualmente candidandosi con un programma da presentare pubblicamente perché sia giudicato, valutato e poi verificato. Per questo credo che le primarie siano insostituibili e proprio per questo sono state inserite nello Statuto del partito. Rinunciare alle primarie sarebbe rinunciare alla vera natura del Partito democratico.

Quali altri strumenti potrebbe o dovrebbe mettere in campo il Partito democratico per favorire la partecipazione dei cittadini, soprattutto in tempi di crisi profonda della politica?
Oltre alle primarie, secondo me bisognerebbe fare anche le “doparie”: ovvero prevedere un sistema per la valutazione di un parlamentare, di un sindaco, di un amministratore locale da parte dei cittadini, verso la parte finale del mandato, per verificare se quel politico ha lavorato bene e con impegno per il Paese, per la Regione, per il Comune… Non credo che la politica, e men che meno il nostro Partito, debba sfuggire a questi due meccanismi: la selezione della classe dirigente esclusivamente su base meritocratica e la valutazione dell’operato degli amministratori al termine del loro incarico.

Però, quando qualche settimana fa Giuliano Pisapia vinse le primarie per la candidatura a sindaco di Milano sconfiggendo Boeri, il candidato “di partito”, per diversi dirigenti del Pd sembrava che non andassero più bene e che sarebbe stato meglio non farle più: non è, allora, che per il Partito democratico le primarie vanno bene solo quando le vince un candidato degli “apparati”?
Sicuramente c’è una parte, credo minoritaria, del partito che vive con grande disagio il passaggio da “primarie plebiscito” gestite dai dirigenti – ovvero che servono solo per investire in maniera plebiscitaria, ma falsamente democratica, il candidato già designato dai vertici del partito – a primarie vere e autenticamente democratiche, in cui i cittadini possono scegliere sul serio e in cui un outsider può vincere. L’accettazione di ciò è un passaggio culturale che deve essere ancora digerito e completato, ma spero che la maggior parte del partito, soprattutto i “nativi” – ovvero quelli che sono nati nel Pd, senza precedenti esperienze alle spalle o tessere di partito in tasca –, lo faccia in tempi brevi.

Vista l’attuale situazione politica italiana, al di là delle alleanze, secondo lei cosa dovrebbe fare il Partito democratico?
Credo che sarebbe opportuno convocare ogni mese un’assemblea tematica per parlare di temi specifici che interessino realmente il Paese: lavoro, scuola e università, diritti civili, ambiente ed energie rinnovabili… In questo modo dovremmo essere capaci di dire quale Italia vogliamo ed iniziare ad immaginare un futuro per il nostro Paese. Mi si consenta la battuta: avremmo bisogno dello “spirito obamiano” del recente discorso del presidente Usa sullo Stato dell’Unione in cui ha chiesto ai suoi concittadini di fare uno sforzo corale per vincere le sfide del futuro e ricreare il sogno americano. Credo che questo sia il compito del Partito democratico: elaborare e costruire una narrazione chiara di dove si vuole condurre il Paese nel prossimo futuro. Mi pare l’unico modo per uscire da questa situazione che mette a disagio tutto il Paese.

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