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LA NUOVA UMANITÀ DELL’ERA ECOZOICA. LA RELIGIONE AL TEMPO DELL’EMERGENZA PLANETARIA

Tratto da: Adista Documenti n° 15 del 26/02/2011

DOC-2332. ROMA-ADISTA. Ha raccolto grandi apprezzamenti il numero collettivo sul tema “Ecologia e Religione in questo tempo di emergenza planetaria” pubblicato, nel corso del 2010, da quattordici riviste latinoamericane (Adista ne ha offerto un’ampia documentazione sul n. 29/2010) per iniziativa della Commissione Teologica Latinoamericana dell’Associazione ecumenica dei teologi e delle teologhe del Terzo Mondo (Asett o Eatwot): primo atto di un’originale iniziativa che prende il nome di minga, parola quechua che significa lavoro comunitario o collettivo, su base volontaria (in Brasile, invece, si usa il termine di origine tupi mutirão). L’idea della Commissione, cioè, è stata quella di affidare una serie di articoli sul rapporto tra fede ed ecologia ai teologi e alle teologhe più esperti su tale questione, per inviarli poi alle riviste latinoamericane aderenti all’iniziativa, che li hanno pubblicati, secondo i propri tempi e i propri criteri, durante tutto il 2010. Ed ora la Commissione ha messo a disposizione su Internet tutto il materiale (oltre 300 pagine) utilizzato dalla Minga, attraverso la storica rivista di teologia della Eatwot Voices, che da oltre trent’anni - come ricorda José María Vigil, coordinatore della Commissione teologica internazionale, nella presentazione di questo numero speciale - mette a disposizione i suoi spazi per «ricerche e lotte, riflessioni serene e dibattiti accesi attorno alla liberazione dei popoli» e che ora opta per la via telematica, «più coerente con la sua vocazione che i vecchi cammini di Guttemberg», sempre «più cari, restrittivi, limitati».

 

La ragione del cuore

Che sia un tempo di emergenza planetaria non esiste più alcun dubbio: «Le principali strutture fisico-chimiche che danno forma al pianeta consentendo la vita in tutte le sue manifestazioni – scrive nel suo intervento Juan Antonio Mejía Guerra – stanno subendo drastici cambiamenti, dovuti fondamentalmente, e per la prima volta, alle azioni umane». Così, analizzando punto per punto le questioni dello squilibrio dei sistemi geomorfologici, dell’alterazione delle rotte dei venti, dell’acidificazione degli oceani, del riscaldamento delle acque e dello scioglimento dei ghiacciai, dell’esaurimento delle risorse marine, della deforestazione, dell’avanzata dei deserti e della povertà di un crescente numero di persone nel mondo, Mejía Guerra traccia un quadro spaventoso della malattia del pianeta. E, come se non bastasse, gli esseri umani, non contenti di aver inquinato la Terra, hanno trasformato in una discarica anche lo spazio cosmico circostante: malgrado il pericolo che i rifiuti spaziali (compresi 1.300 chilogrammi di materiale radioattivo) rappresentano per l’umanità, la contaminazione cresce a un ritmo del 5% l’anno.

Non a caso, secondo uno studio condotto da un’équipe di scienziati di diversi centri di ricerca e università dell’Europa sui nove limiti del «campo di gioco planetario» entro cui l’umanità deve circoscrivere la propria azione per evitare la catastrofe (cambiamento climatico, alterazioni del ciclo globale dell’azoto, perdita della biodiversità, acidificazione degli oceani, assottigliamento della fascia di ozono, consumo d’acqua dolce, cambiamenti nel sistema d’uso della terra, concentrazione di aerosoli nell’atmosfera e contaminazione chimica), l’umanità ha già oltrepassato i primi tre, avviandosi a violarne altri (essendo tali limiti fortemente interconnessi, la trasgressione di uno può compromettere la stabilità di tutti gli altri). Ma se tutto ciò è frutto di una determinata concezione della realtà, del modello di comprensione proprio del mondo moderno, la salvezza, per l’umanità, potrà venire solo da un nuovo paradigma, il paradigma ecologico, tale da scardinare l’antica visione -  sottolinea Afonso Tadeu Murad - attraverso tre vie: il superamento dell’antropocentrismo, con cui l’essere umano non si troverà più al centro, ma «insieme agli altri esseri, in cerca di comunione», figlio della stessa Terra «nella sua espressione di coscienza, di libertà e di amore»; una revisione della categoria di soggettività propria della modernità, a partire dai principi della diversità e dell’interdipendenza (i processi evolutivi del nostro pianeta indicano come non siano stati i più forti a sopravvivere, ma quelli che maggiormente hanno stabilito relazioni di cooperazione e di interdipendenza); la messa in discussione della forma dominante di elaborazione della conoscenza, attraverso la valorizzazione, accanto all’utilizzo della ragione strumentale della scienza moderna, della ragione simbolica e cordiale (del cuore).

Ed è proprio alla ragione del cuore che si richiama la proposta, da parte di Leonardo Boff,  di «un’etica della cura», come via che l’umanità è chiamata a percorrere in quella nuova tappa della storia che alcuni hanno chiamato era ecozoica o planetaria. Un’era, come spiega lo stesso Boff in un altro suo articolo (“Una speranza: l’era dell’ecozoico”), in cui l’universo viene compreso come «un insieme delle reti di relazione di tutti con tutti», all’interno del quale le attività umane si armonizzino «con le altre forze operanti in tutto il pianeta e nell’universo, in modo da raggiungere un equilibrio creativo e garantire un futuro comune».

Di seguito, in una nostra tradizione dal portoghese, alcuni stralci del lungo articolo di Boff sulla «ricerca di un ethos planetario» messo a disposizione dalla rivista Voices, rimandando per la lettura dell’intero articolo come degli altri venti interventi che costituiscono il materiale della Minga all’indirizzo www.comision.teologica.latinoamericana.org. (claudia fanti)

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