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L’ALTERMONDIALISMO SI TINGE DI AFRICA. XI FORUM SOCIALE MONDIALE

Tratto da: Adista Documenti n° 20 del 12/03/2011

DOC-2335. DAKAR-ADISTA. L’XI edizione del Forum Sociale Mondiale, la seconda in terra africana, è caduta in un buon momento per le lotte popolari: il Forum di Dakar è iniziato (il 6 febbraio) sulla scia dell’entusiasmo per la caduta del dittatore tunisino Ben-Ali e si è concluso (l’11) con la notizia della rinuncia del presidente egiziano Hosni Mubarak. Tra l’uno e l’altro evento - a cui è stato dato ovviamente grande rilievo - il Forum ha mostrato  però qualche ombra di troppo.

L’aspetto più positivo è venuto senza dubbio dalla partecipazione popolare - soprattutto da quella delle donne  -, sicuramente più consistente di quella al Forum di Nairobi, nel 2007 («La società civile in Africa occidentale - ha spiegato Alex Zanotelli, presente a Dakar - è molto più viva che nel resto del continente»). Nei giorni precedenti, non a caso, una carovana promossa dai movimenti sociali aveva percorso diversi Paesi della regione, dal Benin al Senegal, passando per Togo, Burkina Faso e Mali, per un totale di 3.377 chilometri, portando tra la gente le istanze del Forum Sociale Mondiale. In tal senso, il Forum di Dakar ha rappresentato indubbiamente un passo avanti significativo per i movimenti sociali africani.

La calda accoglienza del popolo senegalese – la famosa teranga (termine wolof che si può tradurre come ospitalità ma che in realtà esprime tutta la gioia di ricevere un ospite nella propria casa) – ha reso più sopportabile il tremendo caos organizzativo, dovuto al cambio della direzione dell’Università Cheikh Anta Diop, sede dei lavori (a causa del rifiuto del nuovo rettore di sospendere le lezioni, gran parte delle attività si è svolta in maniera improvvisata in spazi resi noti all’ultimo minuto). Se il caos non ha certamente agevolato le attività, non è stato questo, però, il limite più profondo di questa edizione: l’intellettuale messicano Raúl Zibechi denuncia su La Jornada (11/2) il ruolo assunto da governi e ong a scapito dei movimenti sociali, individuando l’ostacolo principale per il Forum nella confusione, presente peraltro «in tutta la sinistra e in buona parte dei movimenti sociali», su quali siano i soggetti dei cambiamenti: «Molti intellettuali, dirigenti politici e leader di movimenti sostengono che ora sono i governi i soggetti incaricati di costruire un mondo nuovo o l’altro mondo possibile».

 

Se la star diventa Lula

Di certo, a Dakar sembra essere saltato l’equilibrio faticosamente raggiunto nel 2009 a Belém nel rapporto tra movimenti e governi, tra potere popolare e Stato: un dialogo senza sconti con i governi più aperti alle istanze dell’altermondialismo, lasciando chiaramente inalterata l’autonomia dei movimenti popolari e continuando a porre l’accento sulla necessità di rafforzare in primo luogo la lotta del popolo organizzato (v. Adista n. 20/09). Non è un caso che l’apertura del Forum sia stata affidata agli interventi del presidente boliviano Evo Morales e del ministro brasiliano Gilberto Carvalho. E non è un caso, soprattutto, che sia stato l’ex presidente Lula (il quale a Belém non era stato neppure invitato all’incontro tra i movimenti e i presidenti progressisti latinoamericani) la figura più acclamata. Secondo il sociologo brasiliano Emir Sader, «Lula, prima oggetto di grandi critiche, appare come un grande leader dei popoli del Sud del mondo, impegnato nella costruzione di un mondo multipolare, nella critica dura alla dominazione del mondo da parte delle potenze tradizionali, nella denuncia della responsabilità dei Paesi del centro del capitalismo nella crisi attuale» (Carta Maior, 9/2). Eppure, come giustamente evidenzia Zibechi, se riconducessimo tutti i mali del mondo ai Paesi del Nord come fa Lula, passeremmo sotto silenzio «nientedimeno che il modello estrattivista, che è la forma che assume oggi il neoliberismo», trascurando «problemi come lo sfruttamento dell’Amazzonia da parte delle nostre multinazionali e dei nostri governi» attraverso progetti come quelli delle centrali idroelettriche di Belo Monte e del Rio Madera. Progetti di cui nessuno, a Dakar, ha chiesto conto al «grande leader dei popoli del Sud». Così come nessuno, di fronte all’invito rivolto da Lula agli africani a seguire un cammino simile a quello del Brasile, puntando sullo sviluppo agricolo come via per garantire la sicurezza alimentare, ha avuto alcunché da dire rispetto alla chiara opzione preferenziale, da parte del suo governo, per l’agrobusiness e per il latifondo.

La sensazione di un certo logoramento del processo del FSM, insomma, non si può certo dire che sia stata superata a Dakar. Se Zibechi è drastico nell’affermare che «la professionalizzazione dei forum sociali mondiali li ha trasformati in spazi mediatici che poco hanno a che vedere con le preoccupazioni e le necessità quotidiane dei movimenti di base», viene da pensare che la discussione sulla reale capacità di incidenza, oggi assai limitata, del FSM - annosa questione legata al dibattito sulla natura del Forum, che gli uni vogliono mantenere come spazio aperto di diffusione di idee e di scambio di esperienze e gli altri vorrebbero trasformare in una forza unitaria in grado di assumere decisioni concrete - dovrà prima o poi portare da qualche parte. Tra la Scilla della “Woodstock sociale” e la Cariddi della nuova Internazionale, secondo l’efficace formula di François Houtart, la soluzione indicata da molti, ma ancora tutta da definire, è quella della convergenza - anziché unificazione - dei movimenti, nel rispetto delle diversità, al fine di superare la frammentazione delle lotte e proporre alternative realizzabili.

In ogni caso, più di 20 piani d’azione, elaborati dalle assemblee di convergenza, sono stati presentati alla chiusura del Forum per i prossimi due anni. Tra i tanti appuntamenti in agenda, si distinguono una giornata mondiale di solidarietà con la rivolta dei popoli arabi e africani, il 20 marzo, e una giornata di azione globale contro il capitalismo, il 12 ottobre. Di seguito la Dichiarazione finale dell’Assemblea dei movimenti sociali che conclude tradizionalmente il FSM. (claudia fanti)

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