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SE DAVIDE AFFRONTA GOLIA SENZA LA FIONDA. IL CANTIERE DEL CIPAX SULLA NONVIOLENZA IN PALESTINA

Tratto da: Adista Documenti n° 24 del 26/03/2011

DOC-2341. ROMA-ADISTA. Nella versione più aggiornata dello scontro tra Davide e Golia, Davide è un pacifista palestinese senza neppure una fionda da opporre al gigante israeliano: le uniche forze su cui può puntare sono quelle della resistenza nonviolenta e nessuno scommetterebbe un solo euro sulla sua vittoria. Se Golia è israeliano, tuttavia, non tutti gli israeliani fanno il tifo per lui: ve ne sono alcuni, anzi, che non si differenziano in nulla dal Davide palestinese. È proprio su questo scontro ad armi impari, talmente impari che solo una delle parti è armata, che si è soffermato l’incontro svoltosi il 9 febbraio scorso, presso la Comunità di San Paolo, sulle “Esperienze di nonviolenza tra israeliani e palestinesi”, quarto incontro del Cantiere del Cipax su “La pace in cammino. Attualità di maestri, esperienze e metodi”.  «La nonviolenza è un’arma che disarma, contro cui nessuno può niente, più forte di tutto e di tutti», ha affermato Anna Raisa Favale, che ha trascorso nove mesi in Palestina nell'ambito del Progetto Go’el, lavorando per l’Aic (Alternative Information Center), una ong israelo-palestinese. A impugnare quest’arma sono, ogni giorno, ragazze, ragazzi, uomini, donne e bambini coinvolti in innumerevoli forme di resistenza non violenta, raccontate, durante l’incontro, da Anna Raisa Favale, Luisa Morgantini e Luigi Sandri: i comitati popolari palestinesi in lotta contro il Muro; i “combattenti per la pace”, costituiti da ex soldati israeliani che non vogliono combattere e da ex militanti palestinesi usciti dal carcere; i bambini che hanno manifestato alzando cartelli con la scritta «per favore, arrivate in orario per non farci perdere ore di scuola», rivolgendosi ai militari che li “scortano” fino all’unica scuola, distante oltre un’ora di cammino; i gruppi di acquisto israeliani che vanno nei villaggi palestinesi a comprare la frutta e la verdura che i contadini non possono più vendere in Israele; i partecipanti al progetto “Beautiful resistance”, nato in uno dei campi profughi di Betlemme come forma di resistenza attraverso l’arte; i Rabbini per l’Ulivo, che, dopo l’abbattimento di mezzo milione di ulivi, hanno raccolto soldi perché i palestinesi potessero comprare nuove piantine; i Parents Circle, associazioni dei familiari delle vittime israeliane e palestinesi che, di fronte al palazzo dell’Onu a New York, hanno esposto 200 bare vuote, con le bandiere israeliana e palestinese, chiedendo alla comunità internazionale di contribuire attivamente alla chiusura definitiva del cerchio infernale delle vendette.

Ma qual è il peso reale – si è chiesto Luigi Sandri – di tutte queste forme di resistenza nonviolenta? Perché, al momento delle elezioni politiche, «è come se non ci fossero»? Non a caso, ha affermato, alcuni israeliani ritengono che queste esperienze siano romantiche: «nobili, commoventi,  meravigliose ma tali da non modificare lo status quo». Sicuramente, ha sottolineato Sandri, se un giorno si dovesse arrivare ad una pace giusta, è grazie ai semi gettati da queste persone che sorgerebbe un consenso etico. Ma, «allo stato dei fatti, la situazione è drammatica»: il numero degli insediamenti non fa che aumentare, Gerusalemme est è sempre più ebraicizzata e tutto quello che rimane sono statarelli disseminati sul territorio di Israele, senza alcuna continuità territoriale. «L’opinione pubblica è convinta che il processo di pace vada avanti, ma, in realtà, il processo è morto». E, a giudizio di Sandri, ai cristiani tutta questa situazione pone un problema in più: quello del modo in cui rispondere al male. «Perdonare i nemici? Come fa un palestinese a perdonare un soldato israeliano? In tutto il mondo, la cosa oggi più difficile eticamente, moralmente,  spiritualmente, esistenzialmente è essere un cristiano a Gerusalemme». Di certo, ha sottolineato Luisa Morgantini, «questo movimento non può vincere senza un intervento preciso da parte

della comunità internazionale: è dall’‘80 che gli europei usano la parola d’ordine “due popoli, due Stati”, ma da allora l’unica cosa che abbiamo visto è stato l’aumento del numero di insediamenti». A suo giudizio, «la società israeliana è marcia, spaccata,razzista al proprio interno. E deve essere salvata da se stessa. Come afferma Grossman, “siamo diventati una pianta carnivora, stiamo divorando noi stessi”».

Di seguito, alcuni stralci dell’intervento di Luisa Morgantini e il testo della lettera - diffuso, come è tradizione del Cantiere, al termine dell’incontro - rivolta ai cristiani palestinesi che hanno firmato il documento “Kairos-Palestina”, l’appello di un gruppo di leader cristiani di diverse confessioni per costruire, da subito, la pace nella regione (v. Adista n. 6/10). (claudia fanti)

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