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INSIEME, CONTRO L’OCCUPAZIONE

Tratto da: Adista Documenti n° 24 del 26/03/2011

(...) Voglio parlare di quella speranza per l’umanità che viene dalle esperienze straordinarie in corso in Palestina e in Israele. (...). I palestinesi e gli israeliani che oggi si incontrano lo fanno per cambiare insieme la situazione con una scelta molto precisa e consapevole: quella della resistenza nonviolenta per porre fine all’occupazione militare. Non ci si incontra più solo per capire le ragioni dell’uno e dell’altro: vi è una maturazione molto netta nei gruppi israeliani che si trovano a fianco dei palestinesi. Si tratta di una generazione di giovani israeliani che amano Israele ma che non vogliono vivere in un Paese che ne occupa militarmente un altro. Un ebreo italiano mi spiegava: noi siamo in realtà divisi tra quelli che dicono, come me, “persecuzione mai più contro nessuno”, e quelli che dicono “persecuzione mai più contro di me”, per i quali è come se non esistesse un popolo palestinese. Questa generazione di giovani israeliani, ragazzi e ragazze, vuole unicamente non essere complice di un sistema che viola costantemente i diritti umani.

C’è un’esperienza in particolare di cui voglio parlare: quella dei Comitati popolari per la resistenza nonviolenta. In Palestina, in realtà, resistenza nonviolenta vi è sempre stata, come vi sono sempre stati gruppi estremisti (soprattutto nella seconda Intifada, con il tentativo di lotta militare da una parte e la devastante scelta degli attacchi suicidi dall’altra), Ma quello che si è registrato sei anni fa è stata la nascita su un piano teorico e organizzato di comitati popolari costituitisi per lottare contro la costruzione del Muro e la prosecuzione degli insediamenti. Il primo villaggio in cui è nato tale movimento è stato quello di Belain, dove il Muro ha sottratto ai palestinesi il 65% della terra coltivata: è qui che un gruppo di giovani palestinesi e di vecchi contadini ha deciso di intraprendere una lotta nonviolenta. All’inizio era molto difficile per loro usare la parola nonviolenza, perché all’epoca - si era ancora nel 2005 - molti temevano di essere accusati di tradimento, ma poi, poco per volta, hanno cominciato a parlarne e a riflettere in modo più ampio. Si tratta quindi di un movimento che esiste ormai da 6 anni, e che ogni venerdì manifesta davanti al Muro, in compagnia di israeliani e internazionali, tutti insieme contro l’occupazione militare. Questo movimento, però, non è rimasto limitato a un solo villaggio. Il tentativo portato avanti, con successo, da Belain in questi anni è stato quello di espandere la stessa forma di lotta in altri paesi, in altri villaggi, con una scelta sempre più chiara di azione nonviolenta.

Straordinaria è stata anche l’esperienza di resistenza di giovani sia israeliani che internazionali ad At-Tuwani, un villaggio a sud di Hebron, nella zona C. Con gli accordi di Oslo, il territorio palestinese venne diviso in tre zone: A, B e C. La zona A è quella delle città palestinesi in cui sia l’amministrazione che la sicurezza dovrebbero essere interamente nelle mani dei palestinesi, ma riguarda appena il 6% dei territori occupati. La zona B è quella dei villaggi intorno, in cui l’amministrazione è in mano all’Autorità palestinese mentre la sicurezza è israeliana. Le zone A e B, insieme, costituiscono il 14-15% dei territori occupati. La zona C, infine, è completamente in mani israeliane. In questa zona, che abbraccia la percentuale più grande del territorio della Palestina, i palestinesi non hanno alcun potere, neanche quello di costruire case e scuole o di usare i pozzi.  Nella Valle del Giordano, nella zona C, vivevano nel ‘67 320mila palestinesi: oggi ce ne sono appena 56mila. L’espulsione di massa della popolazione è avvenuta sia attraverso l’esproprio della terra che a causa del fatto che i palestinesi non possono costruire case e le poche che costruiscono vengono demolite. È allucinante che nei villaggi i tubi dell’acqua passino sotto le case palestinesi ma questi non possano accedervi, perché quell’acqua, che peraltro viene dalle sorgenti del Giordano, va direttamente negli insediamenti, per i palmeti o addirittura le piscine. Nella zona C l’Autorità palestinese non ha alcun potere anche se il governo di Salam Fayyad – sottolineo questo perché a volte si critica indistintamente tutta l’Autorità palestinese, senza conoscere quello che si sta cercando di fare sul territorio – ha scelto in modo molto preciso di non riconoscere gli accordi di Oslo, definendo come territorio occupato tutte e tre le zone e rivendicando il diritto del governo palestinese di intervenire in esse. E si tratta un po’ della fatica di Sisifo, perché i palestinesi costruiscono una strada e gli israeliani vanno e demoliscono, aprono un pozzo e gli israeliani lo distruggono, portano l’elettricità e gli israeliani la tagliano. Ma almeno rappresenta una sfida continua. Tutto ciò è noto perché è scritto ovunque, ma non viene mai detto in maniera esplicita e soprattutto non viene detto dai nostri giornali e dal corrispondente della Rai a Gerusalemme Claudio Pagliara, il quale, oltretutto, rivela anche una scarsa conoscenza dei luoghi e dei fatti.

At-Tuwani è un paesino della zona C in cui il comitato popolare è riuscito a costruire una scuola, naturalmente sotto minaccia costante di demolizione. Così i bambini dei villaggi vicini vanno a scuola lì. Il problema è che gli israeliani hanno creato insediamenti in quell’area, tra un villaggio e l’altro - perché è questo lo scopo degli insediamenti: distruggere la continuità del territorio palestinese -, e si tratta di insediamenti abitati da persone che sono andate di proposito in quei luoghi, ritenendo che quella terra sia loro per diritto divino. Dagli insediamenti di questi timorati di Dio escono dunque gruppi di coloni che aggrediscono i bambini che passano per quella strada per andare alla scuola di At-Tuwani, obbligandoli a percorrere una strada lunghissima per non passare accanto alle colonie. Allora i giovani dell’Operazione Colomba, i peacemaker e altri giovani israeliani hanno deciso di accompagnare i bambini a scuola, per difenderli dagli attacchi dei coloni, e lo hanno fatto per molto tempo, finché un giovane volontario internazionale è stato ferito gravemente, è stata aperta una causa e il giudice ha deciso che i bambini dovessero essere accompagnati a scuola dai soldati. Potete immaginare cosa significhi per questi bambini venire accompagnati da soldati che sono gli stessi che arrestano i loro padri e che demoliscono le loro case.

Il lavoro dei giovani dell’Operazione Colomba, prevalentemente delle ragazze, è fantastico, perché vivono nel villaggio insieme ai contadini e portano avanti un lavoro di accompagnamento, di sorveglianza, di monitoraggio. Fanno quello che le Nazioni Unite non hanno mai fatto: proteggere la popolazione. 

Un altro esempio molto importante è quello dei combattenti per la pace, costituiti da ex soldati israeliani che si rifiutano di andare a uccidere i civili e da ex militanti palestinesi che hanno passato anni in carcere e che, una volta usciti, si sono uniti ai soldati israeliani che si rifiutano di combattere. Ma sono infiniti i gruppi che mettono in atto forme di resistenza nonviolenta, come ad esempio quelli di israeliani che vanno nei villaggi palestinesi a comprare la frutta e la verdura che i contadini palestinesi non possono più portare e vendere in Israele e costituiscono gruppi di acquisto israeliani.

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