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Giovanni Paolo II santo per miracolo

Tratto da: Adista Documenti n° 29 del 09/04/2011

DOC-2344. ROMA-ADISTA. Un milione? Due milioni? È difficile prevedere il numero di persone che invaderà la Città Eterna per la beatificazione di Giovanni Paolo II, ma saranno giorni di fuoco per i romani: il 30 aprile, è programmata (ore 21-22,30) la “veglia di preparazione” al Circo Massimo. Organizzata dalla diocesi di Roma, sarà guidata dal cardinal vicario Augusto Vallini, in collegamento video con Benedetto XVI; domenica 1° maggio (ore 10) «celebrazione della beatificazione», presieduta dal papa; il 2 maggio, ancora in San Pietro (ore 10), la messa di ringraziamento, con il segretario di Stato card. Tarcisio Bertone. Per tutta la domenica, inoltre, dopo la cerimonia e fino ad esaurimento del flusso dei fedeli, saranno esposte nella basilica vaticana le spoglie del defunto davanti l’Altare della Confessione.

Fu vera santità?, ci si potrebbe chiedere parafrasando il Manzoni alla morte di Napoleone. Il poeta lasciava «ai posteri l’ardua sentenza», dunque alla Storia. Nel caso di Wojtyla i posteri si sono espressi in men di 6 anni: il processo per la causa di beatificazione è iniziato praticamente subito dopo la morte di Giovanni Paolo II – sull’onda di quel «santo subito!» ritmato dalla folla ai suoi funerali – e per dispensa pontificia, dato che la normativa vigente prevede che non si dia avvio ad esso prima che siano trascorsi cinque anni dal decesso. Lo scorso 19 dicembre, papa Benedetto già autorizzava la promulgazione del Decreto sull’eroicità delle virtù. L’11 gennaio di quest’anno la Congregazione per la Causa dei Santi emetteva unanime sentenza affermativa, ritenendo miracolosa la guarigione dal Parkinson di suor Marie Pierre Simon, che aveva fortemente invocato il defunto papa.

 

Indiscutibile?

Il processo canonico, ha detto il 25 febbraio scorso mons. Slawomir Oder, postulatore della causa di beatificazione, è stato una «conferma della totale trasparenza della sua vita come uomo e come sacerdote», una «conferma certa della fonte della sua coerenza, energia, entusiasmo, profondità e naturalezza» che è «l’incontro con Dio, il suo essere innamorato di Cristo e sentirsi amato da Lui». Come risulta da più testimonianze, per Giovanni Paolo II «il primo compito del Papa verso la Chiesa e il mondo è quello di pregare», in coerenza con un «percorso mistico» che, ha spiegato Oder, «si è profilato come un progressivo fare di se stesso un anawim, il “povero d’Israele” che non ha altra speranza e altro punto di riferimento se non Dio». Questa «libertà interiore» che gli rendeva possibile il distacco dai beni materiali si esercitava anche nei confronti degli altri: «Sapeva ascoltare e accettare la critica, prediligendo la collaborazione»: senza rinunciare a «prendere posizioni difficili e scomode» per timore «delle reazioni delle autorità ostili alla Chiesa negli anni in Polonia» o per «l’incomprensione dell’opinione pubblica predominante negli anni del suo Pontificato». D’altronde non mirava al «proprio successo» ma ad «annunciare la verità del Vangelo e difendere la verità sull’uomo», a «portare il più grande numero di persone alla santità». Il popolo dei devoti, ha concluso, «non ha dubbi sulla singolarità del suo esempio».

 

Discutibile?

Ma non è convinzione unanime che la vita di Wojtyla costituisca un esempio da seguire per un cristiano che voglia “vivere il Vangelo”. Basti pensare a quell’Appello alla chiarezza firmato nel dicembre 2005 (v. Adista nn. 87/05 e 89/06) da teologi di diverse nazionalità che elencava alcuni «punti» da valutare «criticamente» nel processo di beatificazione di Giovanni Paolo II (accanto agli aspetti positivi del suo pontificato, quali «l’impegno per la pace o il tentativo di ammettere le colpe storiche dei figli e figlie della Chiesa nel passato»): «La repressione e l’emarginazione esercitate su teologi, teologhe, religiose e religiosi»; «la tenace opposizione a riconsiderare – alla luce del Vangelo, delle scienze e della storia – alcune norme di etica sessuale»; «la dura riconferma del celibato ecclesiastico obbligatorio», «ignorando il concubinato fra il clero di molte regioni e celando, fino a che non è esplosa pubblicamente, la devastante piaga dell’abuso di minori da parte di ecclesiastici»; «il mancato controllo su manovre torbide in campo finanziario» dell’Istituto Opere di Religione (la banca vaticana); «la riaffermata indisponibilità» ad aprire un «serio e reale dibattito sulla condizione della donna nella Chiesa»; «il rinvio continuo dell’attuazione dei principi di collegialità nel governo della Chiesa romana», malgrado le delibere del Concilio Vaticano II»; «l’isolamento ecclesiale e fattuale in cui la diplomazia pontificia e la Santa Sede hanno tenuto mons. Oscar Arnulfo Romero» e «l’improvvida politica di debolezza verso governi – dal Salvador all’Argentina, dal Guatemala al Cile – che in America Latina hanno perseguitato, emarginato e fatto morire laici, uomini e donne, religiosi e religione, sacerdoti e vescovi che coraggiosamente denunciavano le “strutture di peccato” dei regimi politici dominanti».

Ognuno di questi punti è stato documentato da Adista – «anno per anno, nome per nome…», scrivevamo – nel numero 76 del 2003 (25 ottobre), pubblicato in occasione dei 25 anni di pontificato di Giovanni Paolo II. Perché la voce della storia non vada perduta nel frastuono delle celebrazioni incensanti del 1° maggio, abbiamo scelto di replicare quella raccolta di eventi che iniziano nel 1978, aggiornandola al 2 aprile 2005, momento della scomparsa, e accompagnandola con alcuni approfondimenti.

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