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TROPPA DISASTROSA TOLLERANZA: SULLA CHIESA CINESE, LA SANTA SEDE SI DIVIDE

Tratto da: Adista Notizie n° 30 del 16/04/2011

36093. ROMA-ADISTA. Se si alleggerisce nei rapporti fra Santa Sede e Cina, il contrasto sui rapporti cino-vaticani si acutizza all’interno della stessa Santa Sede. A livello di relazione internazionale e interecclesiale si registra un momento di schiarita: il 31 marzo, è stato ordinato vescovo di Jiangmen mons. Paul Liang Jiansen, nominato dal papa e riconosciuto dal governo di Pechino. Circa 1.550 i fedeli presenti nella cattedrale dell’Immacolato Cuore di Maria, dove i concelebranti erano 40 fra vescovi e sacerdoti. La diocesi affidata a mons. Jiansen - classe 1946, battezzato nell’85, sacerdote dal 1991 - era vacante dal 2007 e conta su 20mila cattolici, 7 sacerdoti e 20 religiosi.

È la prima nomina concordata dopo l’ordinazione senza mandato apostolico, dunque con mandato solo governativo, il 20 novembre scorso, di Joseph Guo Jincai alla diocesi di Chendge (v. Adista n. 95/2010), poi eletto segretario generale del Consiglio dei vescovi dall’Assemblea nazionale dei cattolici cinesi (v. Adista n. 97/2010). Alla cerimonia di consacrazione di quest’ultimo avevano partecipato, non propriamente tutti di loro volontà, ma ugualmente in violazione alle leggi canoniche, 8 vescovi di nomina pontificia.

L’evento, pur letto come uno schiaffo al papa, non venne però drammatizzato fino all’interruzione del dialogo tra Santa Sede e Cina. E neanche si ha notizia di scomuniche per i vescovi presenti alla consacrazione. Di questo, e mettendo a nudo il disaccordo esistente all’interno dei palazzi romani, parla con Avvenire (1/4) il nuovo segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli (Cep), l’arcivescovo Savio Hon Tai-Fai, primo cinese ai vertici della Curia romana. «Per chi è stato forzato ad avere un ruolo in questi fatti», ci possono essere degli «elementi attenuanti» ai fini della scomunica e «credo che la Santa Sede stia indagando i singoli casi per verificare queste attenuanti», ma, ammette mons. Hon Tai-Fai, «non tutti i partecipanti erano stati costretti a farlo (…) anche tra quelli riconosciuti da Roma». A Pechino, aggiunge, «non pochi di loro si sono precipitati dal nuovo vescovo di Chengde (…) per congratularsi con lui». «È cresciuto il numero degli “opportunisti”», commenta, e questo a causa, sì, di «una mancanza di formazione adeguata nel clero», ma «anche per qualche lacuna nel discernimento per la scelta dei candidati all’episcopato». «A volte non sono promossi i migliori», è la sua aperta critica ai “colleghi” di Curia (papa in testa, che lo voglia o no l’arcivescovo, visto che ogni nomina porta la sua firma), «ma si sono preferite nomine di compromesso». «Non è solo mia opinione», precisa di fronte alla sorpresa dell’intervistatore. «Spesso in Cina continentale ho sentito lamentele di fedeli e sacerdoti per scelte episcopali di compromesso. Devo aggiungere però che la Santa Sede ha sempre avuto giustamente la preoccupazione di evitare ordinazioni illegittime».

Secondo Hon Tai-Fai, insomma, la situazione della Chiesa cinese è tale da fargli ritenere che «le comunità clandestine hanno ancora ragione di esistere», al contrario di quanto affermava Benedetto XVI nella sua Lettera alla Chiesa in Cina del 2007 (v. Adista n. 51/07, ndr). In essa, il papa - in considerazione dei “positivi sviluppi della situazione della Chiesa in Cina”, e delle “maggiori opportunità e facilitazioni nelle comunicazioni”, nonché delle “richieste che diversi vescovi e sacerdoti hanno qui indirizzato” - revocava tutte le facoltà e direttive pastorali particolari che erano state fino ad allora concesse ai cattolici cinesi perché «la clandestinità non rientra nella normalità della vita della Chiesa».

In questo rilievo, il segretario della Cep si dice d’accordo con il card. Joseph Zen Zekiun (vescovo emerito di Hong Kong, grande conoscitore ovviamente di “cose” cinesi) più che con p. Jerom Heyndrickx, missionario di Scheut, sinologo e consigliere (senza incarico ufficiale) della sua stessa Congregazione (ma Hon Tai-Fai è alla Cep solo dal 23 dicembre scorso). Se egli cita il card. Zen è perché questi e p. Heyndrickx si sono in questi giorni espressi con opposte valutazioni sulla Chiesa cinese.

 

Tolleranza suicida

P. Jerom Heyndrickx, in una riflessione pubblicata sul numero del marzo appena trascorso sul notiziario Ferdinand Verbiest Uptade, aveva affermato che, nonostante “lo schiaffo” di Pechino al papa, occorre proseguire nel dialogo con il governo cinese ed anche non giudicare in modo pesante i vescovi lasciandosi trascinare da «fraintendimenti» sulla loro fedeltà, «nonostante le molte violazioni alle leggi canoniche».

Alquanto contrariato da tanta tolleranza, il cardinale emerito di Hong Kong, ha risposto a p. Heyndrickx dalle pagine di AsiaNews (agenzia di notizie del Pontificio Istituto Missioni Estere-Pime, 1 aprile), condannando in toto la politica di apertura alla Cina, deleteria secondo lui quanto quella portata avanti verso l’allora Est europeo comunista dal card. Agostino Casaroli. «Il dialogo – sostiene il card. Zen – è certamente la via maestra, ma purtroppo qualcuno ha sbattuto la porta del dialogo in faccia all’interlocutore fin troppo conciliante. Il p. Heyndrickx è entusiasta della Ostpolitik del cardinale Casaroli ed afferma che il papa Paolo VI lo aveva fortemente sostenuto. Non so quanto Paolo VI avesse appoggiato la politica di Casaroli per l’Europa dell’Est, ma so, da persona autorevolissima, che quando Giovanni Paolo II divenne papa, disse: “Basta!” a questa politica. Il Cardinale Casaroli ed i suoi seguaci si illudevano di aver operato miracoli, perseguendo una politica di compromesso ad oltranza, in realtà hanno fatto pace, sì, con i governi totalitari, ma causando un disastroso indebolimento della Chiesa».

«Padre Heyndrickx cerca di tirare dalla sua parte papa Giovanni Paolo II», constata il card. Zen ergendosi a difesa del papa-quasi beato, «ma dimentica che è stato proprio Giovanni Paolo II a dare il via per la canonizzazione dei martiri in Cina, sapendo benissimo che avrebbe suscitato le ire di Pechino e, come Padre Heyndrickx stesso riconosce, il Papa non ha chiesto scusa per tale canonizzazione». Oggi - è l’affondo - «la nostra Chiesa in Cina è stata ridotta ad uno stato disastroso proprio perché in questi ultimi anni qualcuno ha ciecamente e cocciutamente perseguito quella stessa politica dell’Ostpolitik contro la direzione data da papa Benedetto nella sua Lettera alla Chiesa in Cina del 2007 (in questo giudizio, differisce l’interpretazione data a questa lettera da Hon Tai-Fai, ndr) e contro l’opinione della stragrande maggioranza della Commissione che il papa ha istituito per dare consigli su come aiutare la Chiesa in Cina». «Ma il triumvirato – prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, un minutante della stessa (l’autore non ne fornisce il nome, ndr) e p. Heyndrickx – credono di saperla più lunga di tutti noi». Manca di coraggio la Chiesa cinese, afferma denigrando l’episcopato locale: «il coraggio non se lo può dare chi non ce l’ha. I nostri vescovi avevano bisogno di essere spronati al coraggio. Invece qualcuno ha sempre mostrato loro una errata compassione che ha finito per sprofondarli sempre di più nella melma della schiavitù». (eletta cucuzza)

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