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Verso il referendum P. Carsetti: «Per l’acqua, una battaglia di civiltà»

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 31 del 16/04/2011

In vista del referendum che si celebrerà i prossimi 12 e 13 giugno, Adista propone ai lettori uno spazio di approfondimento sui quattro quesiti in oggetto (due sulla privatizzazione dei servizi idrici, uno sul nucleare e uno sul legittimo impedimento), insieme ad alcuni protagonisti in prima linea nelle battaglie referendarie. In questa puntata di “Verso il referendum”, Adista ha intervistato Paolo Carsetti, rappresentante del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua (www.acquabenecomune.org).

 

Un commento sulla manifestazione del 26 marzo scorso.

La manifestazione è stata un punto molto alto del percorso che il movimento per l’acqua ha compiuto in tutti questi anni, a dimostrazione di una crescita progressiva del ruolo del movimento e del suo peso nella società e nella politica, oltre al fatto che è stato evidente a tutti che il movimento è una realtà diffusa e strutturata praticamente in ogni territorio del Paese. La partecipazione – 300mila persone hanno sfilato da piazza della Repubblica a San Giovanni –, di molto superiore a quella dell’anno scorso (20 marzo 2010), è un elemento molto importante ed è di buon auspicio rispetto alla campagna referendaria che ci condurrà al voto del 12 e 13 giugno.

 

Non ti pare utopico l’obiettivo di portare 25 milioni di italiani al voto?

La campagna referendaria per l’acqua bene comune ha già raggiunto due primati: il primo consiste nel fatto che è la prima volta che dei referendum sono promossi da realtà sociali e culturali e non da forze politiche; il secondo riguarda la straordinaria campagna di raccolta firme svoltasi nella primavera scorsa durante la quale oltre 1.400.000 persone hanno sottoscritto i quesiti referendari, primato assoluto nella storia della Repubblica italiana. Insomma sono due dati che fanno ben sperare e creano i giusti presupposti per il raggiungimento del quorum e la conseguente vittoria dei sì. E, come si suol dire, «non c’è due senza tre»!

 

Che sta succedendo in quei comuni italiani dove la privatizzazione è già una realtà?

I processi di mercificazione dell’acqua e di privatizzazione del servizio idrico hanno comportato strutturalmente effetti negativi dal punto di vista della qualità del servizio. L’esperienza di quindici anni di gestioni privatistiche dimostra come l’efficienza dei privati sia una mera illusione: negli ultimi dieci anni, infatti, sono aumentate le tariffe (+60%), è diminuita ed è stata precarizzata l’occupazione, sono stati fortemente ridotti gli investimenti (-66%), mentre i consumi d’acqua sono stimati in crescita di più del 15% nei prossimi 20 anni. Il drastico peggioramento della qualità del servizio è dimostrato da questi dati, estratti da diverse relazioni elaborate da studi di settore, basate sulle informazioni fornite dagli stessi enti gestori. Due esempi emblematici sono la gestione dell’Ato 4 Toscana-Alto Valdarno, affidata a Nuove Acque Spa, e la gestione dell’Ato 9 Sicilia, affidata a Girgenti Acque Spa.

 

Ma, allora, cosa cambierebbe con la sconfitta del referendum?

L’art. 15 del decreto legge 135/09 (meglio noto come Decreto Ronchi), il quale ha modificato l’art. 23 bis della L. 133/08, prevede una forte accelerazione nella privatizzazione della gestione dei servizi idrici e di altri servizi pubblici locali, considerando come ordinario l’affidamento attraverso gara o attraverso società a capitale misto pubblico-privato; e la decadenza delle gestioni a totale capitale pubblico entro il 31 dicembre 2011 a meno che non cedano il 40% delle azioni in mano agli Enti Locali. Pertanto se al primo quesito referendario i sì fossero sconfitti verrebbe sancita la totale e definitiva privatizzazione dell’acqua potabile in Italia.

 

Cosa accade nel resto d’Europa?

In Europa c’è un ripensamento generale sull’affidamento a privati della gestione dell’acqua. Ad esempio, la Municipalità di Parigi, a partire dal 1 gennaio 2010, ha ripubblicizzato la gestione del servizio idrico integrato “mandando a casa” le due più grandi multinazionali al mondo dell’acqua, Veolia e Suez. A Berlino, invece, a metà febbraio un referendum popolare ha bocciato l’affidamento a privati dell’acqua. In sostanza in Europa si sta invertendo la rotta rispetto a decenni di privatizzazione.

 

Quali sono secondo te le ragioni principali che “spingeranno” alle urne gli elettori?

La torsione economicistica della gestione dell’acqua comporta la sua trasformazione da bene comune a bene economico da valorizzare unicamente in termini di redditività.

L’acqua è un diritto umano universale, un bene essenziale che appartiene a tutti. Nessuno può appropriarsene, né farci profitti. L’attuale governo e altri in passato hanno invece deciso di consegnarla ai privati e alle grandi multinazionali. Gli elettori sono coscienti del pericolo e lo dimostreranno votando 2 sì il 12 e 13 giugno.

 

La campagna referendaria per l’acqua bene comune rappresenta forse la più importante mobilitazione popolare dal basso della storia repubblicana. Cosa sta cambiando – anche grazie a questa battaglia – nell’opinione pubblica italiana? E come si collocano invece i partiti tradizionali nella campagna?

Il nucleo fondamentale della battaglia sull’acqua è rappresentato dal Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, una rete formata da diverse centinaia di comitati locali e da diverse decine di reti, associazioni ed organizzazioni nazionali. Una reticolare e diffusa esperienza di resistenze territoriali alle privatizzazioni e, nel contempo, un luogo capace di far divenire l’acqua una forte vertenza nazionale.

Con l’esperienza referendaria, il sostegno alla battaglia per l’acqua si è ulteriormente ampliato: la raccolta delle firme ha visto la costruzione di un Comitato Promotore nazionale, Comitato Referendario 2 Sì per l’Acqua Bene Comune, al cui interno è venuta delineandosi la più grande coalizione sociale dal basso nata in questo Paese, che raccoglie il mondo del cattolicesimo sociale, le voci dell’ambientalismo, le realtà sindacali di base e confederali, il mondo associativo altermondialista, le esperienze del terzo settore, della cooperazione e dell’altra economia, le associazioni dei consumatori. Oltre a centinaia di enti locali che si sono costituiti in coordinamento nazionale per l’acqua pubblica. Culture e storie differenti ma con un unico obiettivo: restituire il bene comune acqua alla gestione partecipativa dei cittadini.

Le forze politiche che hanno a cuore la tutela del bene acqua possono sostenere i referendum entrando a far parte di un Comitato di Sostegno. Anche il loro contributo è importante nella consapevolezza che si tratta di una battaglia trasversale che non ha colore politico.

 

Cosa rispondi a chi denuncia di “politicizzazione” la campagna, come se si trattasse solo dell’ennesimo tentativo, da sinistra, di spallata al governo?

Risponderei di guardare con attenzione il Comitato Promotore dove troveranno tante realtà che politicamente fanno capo al centrodestra e altrettante al centrosinistra. In sostanza, si tratta di una battaglia di civiltà. Nessuno si senta escluso.

 

Si sente sempre più spesso parlare degli aumenti di arsenico nell’acqua potabile. C’entra qualcosa questo indicatore sul fatto che l’acqua sia pubblica o privata?

La mappa dei Comuni in cui è stato superato il limite di legge dell’arsenico nell’acqua potabile coincide con quella delle gestioni private in Italia. La flessione degli investimenti comporta una diminuzione della qualità dell’acqua, per cui il caso dell’arsenico scoppiato negli ultimi mesi in Italia è la dimostrazione del fallimento della privatizzazione dell’acqua.

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