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BASTA CON LA GUERRA. LA «DEGNA RABBIA» DEL MESSICO CHE NON NE PUÒ PIÙ

Tratto da: Adista Notizie n° 39 del 21/05/2011

36147. CITTÀ DEL MESSICO-ADISTA. Il vaso è colmo: “Estamos hasta la madre”, non ne possiamo più, è stato il grido di migliaia e migliaia di messicani che si sono dati appuntamento l’8 maggio scorso nella Plaza del Zócalo della capitale, dove si è conclusa la Marcia Nazionale per la Pace convocata dal poeta Javier Sicilia per dire basta alla guerra «mal progettata, mal diretta e mal eseguita», scatenata dal presidente Felipe Calderón contro il narcotraffico (v. Adista n. 11/11). Partita il 5 maggio da Cuernavaca - dove il 28 marzo scorso è stato assassinato, all’uscita da un bar, il figlio del poeta, insieme ad altri sei giovani: uno degli innumerevoli casi di violenza contro cittadini innocenti - la marcia, organizzata dal Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità, di cui fanno parte oltre 100 organizzazioni della società civile, si è svolta per 90 chilometri in silenzio, perché, come ha sottolineato Javier Sicilia, «il nostro dolore è così grande e così profondo, e l’orrore che ne deriva così immenso, che non vi sono parole per dirlo». Ed è attraverso questo silenzio, ha proseguito, che «noi diciamo, e lo diciamo a quanti hanno la responsabilità della sicurezza di questo Paese, che non vogliamo nessun altro morto». E, in positivo, che è possibile promuovere, attraverso la mobilitazione della società civile, una politica di lotta al crimine centrata sul rispetto dei diritti umani, fermando la carneficina messa in atto dal 2006 dal governo Calderón e dai gruppi del crimine organizzato, con un bilancio provvisorio di più di 38mila vittime, accompagnata dalla militarizzazione del Paese, dalla criminalizzazione della protesta sociale, dal controllo di consistenti fasce del territorio nazionale da parte dei cartelli della droga, dalla violazione generalizzata delle garanzie individuali e dalla crescente ingerenza degli Stati Uniti. «Con la nostra presenza – ha dichiarato Javier Sicilia – stiamo dando un nome a questa infame realtà che la classe politica, i cosiddetti poteri di fatto e i loro sinistri monopoli, le gerarchie economiche e religiose, i governi e le forze di polizia, hanno negato e continuano a negare. Una realtà che i criminali, nella loro demenza, cercano di imporci grazie alle omissioni di quanti esercitano una qualche forma di potere».

L’indice è puntato in particolare contro i partiti politici che, ha affermato il poeta, «indeboliscono le nostre istituzioni repubblicane, rendendole vulnerabili di fronte al crimine organizzato e sottomettendole ai grandi monopoli»; e contro gli Stati Uniti e la loro politica di sicurezza: «Il loro mercato della droga, le loro banche, le loro imprese di riciclaggio del denaro, la loro industria delle armi non solo rafforzano i gruppi criminali, ma li riforniscono di una capacità immensa di morte». Ma la denuncia del poeta non risparmia nessuno: «Dove erano i partiti, i sindaci, i governatori, le autorità federali, l’esercito, le Chiese, gli imprenditori; dove eravamo tutti quando le strade che portano a Tamaulipas sono diventate trappole mortali per donne e uomini indifesi, per i nostri fratelli migranti del Centroamerica?» (nello Stato di Tamaulipas sono stati ritrovati lo scorso 24 agosto i corpi di 72 migranti assassinati, ma sono circa 60mila, negli ultimi 10 anni, i clandestini desaparecidos).

Eppure, secondo Javier Sicilia, non tutto è perduto: «Crediamo ancora nella possibilità che la nazione rinasca dalle sue rovine, nella possibilità di ricostituire il tessuto sociale dei nostri paesi, dei nostri quartieri, delle nostre città». Ed è così che gli organizzatori della marcia hanno presentato, nella Plaza del Zócalo, un elenco di richieste per fermare l’escalation di violenza e rigenerare il tessuto sociale e comunitario del Paese: fare chiarezza sui casi di assassinio e scomparsa forzata e riscattare la memoria delle vittime della violenza; sostituire l’attuale strategia di guerra con una politica di sicurezza cittadina centrata sul rispetto dei diritti umani; contrastare la corruzione e l’impunità; combattere il crimine colpendone i profitti; offrire reali opportunità ai giovani e intraprendere azioni efficaci di recupero del tessuto sociale; migliorare la democrazia rappresentativa promuovendo al tempo stesso una vera democrazia partecipativa.

 

Il sostegno degli zapatisti

Marce contro la violenza si sono svolte anche in molte altre città messicane, a cominciare da San Cristóbal de las Casas, in Chiapas, dove l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, rispondendo all’appello di Javier Sicilia, ha riunito più di 15mila persone delle basi di appoggio zapatiste e della Otra campaña (l’iniziativa politica promossa dall’Ezln per «organizzare la resistenza con quelli che sono in basso, a partire da quelli che sono in basso e per quelli che sono in basso»). Convocati dalla «degna rabbia» dei familiari dei morti, dei feriti, dei mutilati, dei desaparecidos, dei sequestrati e degli incarcerati senza colpa alcuna, se non quella «di essere nati e vissuti in un Paese mal governato da gruppi legali e illegali affamati di guerra, di morte e di distruzione», gli zapatisti hanno voluto esprimere, come ha spiegato il subcomandante Marcos nel suo messaggio, il loro sostegno alla richiesta dei familiari di «pace e giustizia, ossia una vita degna». «Oggi – ha sottolineato Marcos – siamo qui per rispondere all’appello di quanti lottano per la vita. E a cui il mal governo risponde con la morte. Perché di questo si tratta, di una lotta per la vita e contro la morte. Queste persone ci stanno esortando a lottare per la vita. E può esserci vita solo se c’è libertà, giustizia e pace. Oggi siamo qui per dire semplicemente a queste buone persone che in silenzio camminano che non sono sole. Che ascoltiamo il dolore del loro silenzio, come prima la degna rabbia delle loro parole».

 

Contro la violenza. Ma senza autocritica

Un forte richiamo contro la violenza è venuto anche dalla Conferenza episcopale del Messico, che, in un comunicato del 6 maggio, ha esortato tutti i settori sociali a operare per la riconciliazione progressiva della nazione. «Basta con la violenza in Messico, con gli assassinii attribuiti al narcotraffico e al crimine organizzato e mai chiariti, con la corruzione dei funzionari pubblici e dei rappresentanti delle leggi nel nostro Paese! Basta con i sequestri, le estorsioni, le esecuzioni e le vendette! Basta con la paura, l’insicurezza, la violenza e la morte! Basta con la menzogna! Il Messico ha ancora speranza!».

Chiedendo alle autorità di impegnarsi «per raggiungere la pace, per far valere lo Stato di diritto e per favorire una giustizia rapida ed efficace per tutti i messicani», l’episcopato, tuttavia, non ha sentito il bisogno di fare alcuna autocritica. Eppure, nemmeno la Chiesa è sfuggita alla denuncia di Javier Sicilia, il quale, già nel discorso pronunciato il 13 aprile a Cuernavaca, sottolineando le omissioni e le complicità di tutte le istituzioni, aveva ricordato anche le responsabilità ecclesiali: «La Chiesa cattolica, a cui mi riferisco in quanto è la mia Chiesa ed è la Chiesa maggioritaria in questo Paese, è colpevole di omissioni perché, riducendo la vita dello spirito e la marea dell’amore di Cristo a una povera morale sessuale e alla cura dell’immagine già molto deteriorata dell’istituzione, ha trascurato il servizio ai poveri e, al pari della classe sindacale e imprenditoriale del nostro Paese, ha perseguito il potere, il clientelismo politico e la ricchezza, umiliando la Parola. E, preoccupata per la vita nel ventre delle madri – che certo bisogna difendere – si è disinteressata della vita di quelli sono già qui». (claudia fanti)

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