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Immigrati tunisini Guantanamo, provincia di Caserta

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 40 del 21/05/2011

«Stanno per arrivare a Caserta, da Lampedusa, mille tunisini!». Con queste parole il questore di Caserta ci ha convocati d’urgenza nel suo ufficio, il 3 aprile, per chiedere la nostra presenza, l’indomani, per il giorno di arrivo del primo gruppo, 470 tunisini (gli altri 531 sarebbero arrivati due giorni dopo).

E quel lunedì mattina c’eravamo a S. Maria Capua Vetere, nell’ex caserma Andolfato, tempestivamente attrezzata a campo-tendopoli di accoglienza e di identificazione. L’impatto è stato duro: un muro alto oltre 5 metri, con sopra cocci di vetro di bottiglia, come una grande corona di spine, circondava la caserma; massiccia la presenza delle forze dell’ordine, del personale della Croce Rossa, a cui era stato dato l’incarico di gestire il Campo.

Nei 12 giorni trascorsi nel campo con i fratelli tunisini abbiamo percepito un desiderio profondo di libertà. Stare in quel campo vedendo quelle mura altissime e quel recinto che delimitava gli spazi ci faceva sentire come se questi amici fossero ancora al di là del Mediterraneo. L’unica possibilità che avevamo per rimanere dentro il campo senza diventare complici di quella prigione era superare il recinto e stare più tempo possibile dentro, dentro i limitati spazi che loro dovevano subire e cercare di stare dentro le loro paure, la loro confusione, dentro la quotidiana domanda: «Sono salvo o mi riportano in Tunisia?». Dentro quel recinto c’era l’umanità, c’erano sogni di libertà. Fuori dal recinto, invece, c’era il nostro mondo, con tutta la sua ipocrisia, i suoi silenzi, la sua indifferenza, la sua violenza, l’incapacità ad ascoltare e accogliere il grido di dignità e di libertà. Non potevamo stare fuori dal recinto, dovevamo stare dentro, con loro, per recuperare la nostra dignità umana.

Ora questi amici sono fuori, con un permesso di soggiorno provvisorio per motivi umanitari. La maggior parte di loro cercherà di raggiungere la Francia, qualcuno già ci è arrivato. Mahmed ha telefonato ieri pomeriggio da Nizza: senza soldi, è partito in treno sabato notte da Napoli, l’hanno fermato e fatto scendere dal treno più volte, fino a Genova dove ha raggiunto un amico e con lui in macchina ha passato la frontiera. Ma un piccolo gruppo di 25 persone, che aveva un vecchio foglio di via, è stato accompagnato in centri d’espulsione presenti sul territorio italiano, senza che gli fosse concessa la possibilità di far domanda di asilo politico.

Lunedì 18 aprile altri 220 tunisini sono giunti al Campo. Erano arrivati a Lampedusa dopo il 5 aprile: una data, questa, che ha il potere di determinare se sarai accolto o escluso. Per tutti loro un’attesa carica di timore. Giorni pesanti da reggere. Nell’incertezza e nella paura, continui tentativi di fuga: brande legate tra di loro e appoggiate alle mura, poi il salto e, per alcuni, il ricovero in ospedale.

Dopo alcuni giorni, ogni speranza s’infrange contro quel muro. Dalla Prefettura di Caserta riceviamo la notizia-conferma che, con un’ordinanza ministeriale, è piovuta improvvisa dall’alto la decisione di trasformare la tendopoli in un Cie (Centro di identificazione ed espulsione). Una vergogna e un dramma! Eravamo nel campo quel venerdì mattina, 22 aprile, Venerdì Santo. Con noi don Antonello Giannotti, direttore della Caritas diocesana di Caserta, e abbiamo sentito il disperato grido di questi giovani: «È meglio morire qui che essere rimpatriati!». Quel luogo stava divenendo un nuovo Golgota. Un gesto simbolico ecclesiale diventava necessario e urgente: una Via Crucis lungo le mura della caserma, per testimoniare la nostra solidarietà con i circa 230 tunisini, rinchiusi nei nuovi “campi di concentramento” in attesa di rimpatrio forzato, per dire che fare Pasqua è scegliere di stare dalla parte dell’uomo crocifisso, come lo striscione posizionato davanti la caserma: «Non c’è differenza tra il Cristo crocifisso e questi nostri fratelli crocifissi».

Ora la situazione al campo, una Guantanamo di casa nostra, è drammatica: c’è violazione di ogni diritto umano, non tanto per come sono trattati dalle forze dell’ordine, anch’esse in gravi difficoltà, quanto per l’immorale e sconsiderata decisione del governo di far diventare Cie una tendopoli. Nel Centro, di ora in ora, si inventano restrizioni e costrizioni per tenere a bada il centinaio di tunisini ormai rimasto. Dopo l’ultimo tentativo di fuga, tutto è diventato come una prigione, ed elementari diritti umani – come andare al bagno o stare dentro un dignitoso spazio per dormire – sono negati: vanno in bagno solo una volta al giorno, e non secondo il loro naturale bisogno, e sono in 12 per tenda, ammassati sui materassi senza più le brande.

Ora ci rimbomba nella mente la domanda di Pilato a Gesù: «Che cosa è la verità?». Gesù non rispose a Pilato perché la risposta era già nella domanda: l’anagramma di quid est veritas est vir qui adest, cioè «la verità è l’uomo che ti sta davanti», ogni uomo che ti sta di fronte, specialmente l’oppresso!

Salaam malikum! Che Dio vi benedica, fratelli tunisini. E a noi sia dato comprendere.

*Religioso sacramentino, Casa Zaccheo (Caserta). ** Religiosa orsolina, Comunità Rut (Caserta)

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