L’INFALLIBILITÀ FALLIBILE. DUE GESUITI CRITICANO IL MAGISTERO PONTIFICIO SUL SACERDOZIO ALLE DONNE
Tratto da: Adista Notizie n° 44 del 04/06/2011
36172. ROTTENBURG-ADISTA. Sono in molti, ormai, i cattolici impegnati che non comprendono più gli argomenti della Chiesa cattolica contro l’ordinazione femminile, soprattutto ora che le donne rappresentano la maggioranza dei cattolici osservanti e compiono gran parte del lavoro volontario nella Chiesa; di conseguenza, a fronte di una sempre più grave carenza di sacerdoti, non si esclude che un giorno vi saranno donne prete, anche se non per il momento: «Probabilmente, nella mia vita non le vedrò». Lo ha affermato, in un’intervista al quotidiano tedesco Ludwigsbürger Kreiszeitung (20/5), il vescovo di Rottenburg-Stuttgart mons. Gebhard Fürst, e visto quanto è accaduto al vescovo australiano di Toowoomba, mons. William Morris, per aver espresso soltanto la sua apertura al tema (v. Adista nn. 37, 39 e 41/11), non ci si dovrebbe stupire dell’adozione di misure disciplinari anche nei suoi confronti.
Di certo, la vicenda che ha colpito mons. Morris ha riaperto il dibattito sulla definitività o meno del magistero di Giovanni Paolo II sul divieto del sacerdozio femminile nella lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis del 1994, in cui si dice che «la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa». Sono in molti a rimettere in discussione l’infallibilità di quel documento, visto che il Codice di Diritto Canonico afferma, al canone 749, paragrafo 3, che «nessuna dottrina si intende infallibilmente definita se ciò non consta manifestamente».
Che si tratti di una questione «estremamente complessa» lo afferma il canonista gesuita p. Ladislas Orsy sulle pagine del settimanale cattolico statunitense National Catholic Reporter (23/5), che ha dedicato molto spazio al tema, prendendo nettamente posizione. Il teologo gesuita p. Francis Sullivan afferma che la Chiesa, in ogni caso, sta presentando la dottrina come infallibile, cosa evidente anche nelle parole di papa Benedetto XVI che, nella lettera al vescovo Morris, afferma che la decisione della Chiesa è «infallibile e irrevocabile». Ma Giovanni Paolo II, si legge in un articolo del Ncr (che ha dedicato anche l’editoriale al tema), non ha formulato quell’insegnamento ex cathedra né definendolo infallibile. Ciononostante, è vero che negli anni ’90 Wojtyla e Ratzinger cercarono di «rafforzare il livello di autorità del magistero ecclesiale esercitato dal papa su questioni di fede o morale»: ne è un esempio il Responsum ad Propositum Dubium del ’95, in cui Ratzinger affermò – e Wojtyla approvò – che l’insegnamento sulle donne prete «richiede un assenso definitivo poiché, fondato sulla parola scritta di Dio, costantemente preservato e applicato fin dall’inizio nella tradizione della Chiesa, è stato stabilito infallibilmente dal magistero ordinario e universale». L’infallibilità, osserva il Ncr, non deriva da un giudizio o da un decreto del papa, «ma dal magistero universale di tutti i vescovi del mondo». E che i vescovi siano tutti contrari all’idea dell’ordinazione femminile «è almeno discutibile».
In conclusione: «La Congregazione per la Dottrina della Fede – si legge sul Ncr – può prendere decisioni definitive riguardo alla dottrina e alla vita della Chiesa, ma va oltre la sua autorità determinare quali insegnamenti della Chiesa siano infallibili e quali no. Solo un papa parlando chiaramente ex cathedra o un Concilio ecumenico dei vescovi di tutto il mondo può deciderlo». Ciò che è in gioco qui, dunque, è proprio quella che Morris stesso definisce «infallibilità strisciante»: «un documento papale che non ha reclamato la propria infallibilità elevato al livello di infallibile dalla dichiarazione di una Congregazione che non ha la competenza di farlo». (ludovica eugenio)
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