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L’UNICA VITTORIA POSSIBILE

Tratto da: Adista Documenti n° 47 del 18/06/2011

(…). Da ovunque veniate, qualsiasi sia la vostra tradizione religiosa, che siate ortodossi, cattolici, protestanti o carismatici, evangelici liberi o liberali, conservatori o radicali, tutti siamo qui perché vogliamo essere amici di Gesù, rabbino, profeta e più che profeta. A ognuno di noi dice: «Voi siete miei amici, se farete ciò che vi comando… Questo il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi». Qualcuno da qualche parte è escluso da questo amore? Questa la risposta che Gesù ha dato ai suoi amici: «Avete udito che fu detto: “Ama il prossimo tuo e odia il tuo nemico”. Io però vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano». Così parlò, visse e morì l’Uomo in cui vediamo il volto di Dio (…).

Riuniti a Kingston da ogni angolo della terra, Gesù parla ora, a tutti noi, campione piccolo ma rappresentativo del suo popolo santificato. Vogliamo ascoltarlo? L’esperienza del passato suggerisce che non vogliamo. La maggior parte dei teologi, dei pastori, delle assemblee, fin dall’epoca dell’imperatore Costantino, si è chinata di fronte all’Impero e alla nazione, invece che dinanzi alla nuova umanità a cui nasciamo. Abbiamo stretto un patto con Cesare, con il potere, lo stesso patto che i primi cristiani chiamarono idolatria. (…).

Sotto il segno della Croce, le nazioni cristiane hanno conquistato e ucciso i figli dell’Islam. Nel 1914, mio padre, tedesco, andò in guerra con le parole «Dio è con noi» incise sulla fibbia della sua cintura. I soldati britannici che doveva uccidere, essendo stato addestrato per questo, non avevano alcun dubbio che lo stesso Dio fosse dalla loro parte. Quando, nel 1945, decollò un bombardiere con la prima arma nucleare, una sola bomba che uccise centomila donne, bambini e uomini nella città di Hiroshima, l’equipaggio l’accompagnò con preghiere cristiane. I memoriali di guerra nelle cattedrali e nelle città della cristianità testimoniano che noi, come i nostri fratelli e sorelle dell’Islam, pensiamo che chi è morto nelle guerre delle nazioni abbia un posto assicurato in paradiso. Attualmente, tra costoro, ci sono coloro che tornano dall’Afghanistan nelle bare avvolte nella bandiera a stelle e strisce “sacre”.

A meno che non si cambi, a meno che la Chiesa (…) non arrivi ad essere una società alternativa che dica incondizionatamente no alla guerra, (…) ad ogni alleanza di guerra, ad ogni movimento di liberazione violento, ad ogni causa fondamentalista e, ora, alla guerra contro il terrorismo; finché non getteremo nella pattumiera della storia questa giustificazione della guerra, questa teologia della “guerra giusta”, finché non lo faremo, avremo sprecato il contributo etico unico che l’insegnamento di Gesù può offrire ai sopravvissuti dell’umanità e al trionfo della misericordia.

(…) Il profeta indù Mahatma Gandhi pensava che il cristianesimo avrebbe potuto essere una buona idea, se i cristiani l’avessero applicata. Se avessimo mostrato compassione per coloro che abbiamo buoni motivi per temere, il nuovo mondo che Gesù ha chiamato Regno sarebbe più vicino. È nelle nostre mani, è possibile. (…).

Questa assemblea non è ancora il Concilio Cristiano Universale per la Pace che sognava Dietrich Bonhoeffer, molto tempo prima che gli obbedienti funzionari di Hitler lo impiccassero. Però possiamo aiutare a spianare il cammino a questo Concilio, un concilio che parli con l’autorità di tutta la Chiesa, se siamo disposti a dire, qui e ora, a Kingston, che non è possibile amare i nostri nemici e ucciderli, che non è possibile onorare la vita ed essere conniventi con il complesso industrial-militare, la macchina di morte che consuma avidamente livelli di ricchezza fuori dalla portata della nostra immaginazione matematica.

La guerra e il commercio di armi che la alimenta non possono rendere più giusta né più sicura la vita degli abitanti del nostro piccolo pianeta. Non si tratta solo del fatto che tutti i belligeranti commettono crimini, quale che sia la guerra. La guerra è in sé un crimine. Solo per prepararla si consumano a livello mondiale cento volte più risorse di quelle che sarebbero necessarie per garantire acqua potabile a tutti i bambini del mondo. (…).

Gesù non era un sognatore idealista. È stato e continuerà ad essere il più grande realista. La sopravvivenza del nostro pianeta richiede né più né meno che l’abolizione della guerra. Albert Einstein, il grande fisico e umanista, lo sapeva già all’inizio del secolo scorso. E soleva ripeterlo con una chiarezza e credibilità che pochi cristiani pacifisti hanno eguagliato.

 

LA GUERRA COME LA SCHIAVITÙ

L’abolizione della guerra è possibile. È possibile come lo fu l’abolizione della schiavitù, che ancora vaga come un fantasma nella storia della Giamaica. (…). Certamente, la schiavitù è stata parte del nostro Dna, ed è stata considerata necessaria per la sopravvivenza economica di ogni società. Le Chiese vi erano coinvolte fino al collo: i vescovi della Chiesa di Inghilterra la difesero all’unanimità. Allo stesso modo, molti cristiani sono legati a una società che non può lasciarsi alle spalle il culto del buon soldato o addirittura del santo guerriero. (…). La schiavitù divenne illegale. I suoi difensori vennero indeboliti. È necessario che questo sia il destino della guerra. (…). Quali sono le nostre chance di vincere questa battaglia? Alcuni diranno: la schiavitù, lo sfruttamento, il traffico di esseri umani continuano ad esistere. È vero, ma è universalmente riconosciuto che sono immorali e illegali. L’approvazione di una legislazione che abolisca la guerra non eliminerà immediatamente la violenza armata. Ma diventerà assolutamente chiaro che risolvere i conflitti con mezzi militari è illegale, e i responsabili saranno giudicati dalla Corte internazionale di giustizia e condannati.

(…) La devozione e il rispetto per la tradizione militare di ogni nazione non soffrono alcun discredito nella Chiesa e nello Stato. Il celebre aforisma romano: “Si vis pacem, para bellum”, “Se vuoi la pace, prepara la guerra”, continua a prevalere. È una convincente menzogna. Tuttavia, coloro che credono in questo aforisma non sono né stupidi né cattivi. Ora, la storia ci insegna che se prepariamo la guerra ciò che otteniamo in definitiva è proprio la guerra. Gesù lo disse con estrema semplicità: «Chi di spada ferisce, di spada perisce».

Se non impariamo a risolvere i nostri conflitti – e di conflitti sempre ne avremo – senza una violenza militarizzata, i figli dei nostri figli non avranno futuro. Amare coloro che ci minacciano, avere cura del benessere di coloro dei quali abbiamo paura, è un segno non solo di maturità spirituale ma anche di saggezza. È egoismo lucido. (…). Se il mio nemico in potenza non ha ragione di temermi, anche io sono più sicuro.

Così, è ora che si prendano sul serio le voci ancora deboli delle Chiese tradizionalmente pacifiste, finora rispettate ma ignorate. Questa è la principale ragione per cui, in qualità di sacerdote anglicano, ho scelto di diventare quacchero, membro della Società Religiosa degli Amici. La storia dei quaccheri, che è una storia di sofferenza, dà testimonianza della prospettiva biblica secondo cui l’amore scaccia la paura. (…).

Attualmente, la gente considera generalmente la guerra, una volta cominciata, onorevole, probabilmente necessaria, e, a volte, lodevole. Il linguaggio occulta la crudele e sanguinosa realtà. Si dice che gli eroi sacrificano la vita per la nazione. In realtà, sono addestrati per cercare di restare vivi e per uccidere i cittadini di altre nazioni. Ci viene detto che gli eserciti esistono per proteggere le nostre donne e i nostri bambini. Nella vita reale, le donne e i bambini sono le prime vittime della guerra e, oggi, le vittime più numerose.

Quando – come è successo poche settimane fa in Inghilterra – un principe ereditario si sposa in una cattedrale cristiana, è previsto che indossi la divisa militare. Questi simboli sono molto potenti. E danno la misura del nostro problema. (…). Sua Santità accetta i rituali militari, come fanno praticamente tutte le nostre Chiese. (…). Ci sentiamo a nostro agio ad avere cappellani militari tra donne e uomini addestrati a uccidere. (…). Li si accoglie con soddisfazione perché rafforzano il morale delle truppe. Le tasse che pago, per quanto una volta abbia cercato senza successo di non farlo, aiutano a finanziare i sottomarini Trident della Gran Bretagna. I marinai a bordo non hanno diritto a disobbedire all’ordine di commettere un genocidio, se fosse loro dato, come potrebbe succedere, dal primo ministro britannico. Sono obbligati a fare l’impensabile in mio nome.

 

UNA PACE PIÙ GIUSTA

Tra poco, non avrete più alcun dubbio sul fatto che questa Assemblea ha come obiettivo quello di esaminare la necessità di una pace giusta. Immagino che sia questo che ci ha portato qui. Tuttavia, sarebbe più rispondente al vero parlare di una pace più giusta. La lotta per una maggiore giustizia continuerà ad essere un compito importante per ogni generazione, finché esisterà la società umana. La nostra fede, la nostra umanità comune, il nostro amore gli uni per gli altri ci obbligano a questa lotta. Tuttavia, non dobbiamo mai cedere, come purtroppo fanno alcuni cristiani, all’errato presupposto che «finché non ci sarà una giustizia perfetta, non potrà esserci pace». Al contrario, la pace, il rifiuto della violenza collettiva, è una condizione preliminare del mondo futuro che avrà sempre bisogno di essere più giusto. Uccidersi l’uno con l’altro non fa che minacciare questo obiettivo. (…).  

Non mi faccio illusioni. Il prezzo da pagare per la resistenza nonviolenta al male è tanto alto che non si può pretendere che qualunque soldato lo paghi. La resistenza nonviolenta al male non può mai essere una soluzione improvvisata. Richiede una grande sofferenza e pazienza. Sarà l’espressione viva del nuovo mondo che ancora non è nato.

(…) Quando rovesciò con rabbia i banchi dei mercanti corrotti nel Tempio, sfidando l’avidità collusa con il potere sacerdotale, quale vita mise in pericolo Gesù con questa dimostrazione personale? Unicamente la sua. Allora, è assurdo che molti cristiani utilizzino questo esempio di rabbia legittima per giustificare la violenza della guerra, quando, di fatto, dimostra esattamente il contrario.

(…) Non sono venuto a Kingston per demonizzare coloro che hanno fatto l’opzione militare. Sono parte di noi, la maggioranza, e noi siamo pochi. Dobbiamo trovare il modo di recuperarli alla lotta pacifica. I critici della nonviolenza radicale non sono né scemi né furfanti. Dobbiamo rispondere loro con saggezza e pazienza. E porranno a ragione molte domande serie a pacifisti come me: per esempio, come si possono rispettare la legge e l’ordine a livello mondiale senza che vi siano nazioni fortemente armate? Su questo punto abbiamo già buone notizie. Tenendo conto della storia dell’ultimo secolo, caratterizzato da una violenza senza precedenti, il diritto internazionale sta spianando la strada per autentiche alternative.

In teoria, la guerra è già stata dichiarata illegale. Esistono tribunali che condannano non solo i crimini commessi durante la guerra ma anche il crimine di guerra in sé. Ma come far rispettare le leggi della pace? È su questo aspetto che ancora si ha poca esperienza. Tuttavia qualcosa sappiamo. Quando si addestrano i soldati sotto il comando delle Nazioni Unite, come pure  la polizia sulle nostre strade, non affinché uccidano il nemico, ma perché impediscano o pongano fine ai conflitti, siamo in cammino verso il nuovo mondo. (…).

Quando, nelle università del mondo, alla disciplina ancora molto nuova degli Studi sulla pace si destineranno le stesse risorse che agli studi sulla sicurezza e la fabbricazione dei sistemi di armamenti, avremo fatto un passo avanti significativo. Quando si darà alle donne, violate e oggetto di abusi in tutte le guerre, uguaglianza di condizioni rispetto a come organizzare le nostre vite, avremo mosso un passo ulteriore. (…).

La cosa più difficile è spodestare il complesso industrial-militare. (…). Questa pace esige un ripensamento totale a livello mondiale. Dovranno concorrervi tutte le discipline: diritto, politica, relazioni internazionali ed economiche, sociologia, studi di genere, psicologia sociale e personale, e last but not least, la teologia, ossia il modo di interpretare la volontà di Dio.

Ci sarà sempre una tensione dialettica tra la lotta per la giustizia e la necessità di garantire una lotta pacifica. Ora sappiamo pure che questo nuovo mondo dipenderà anche dalla nostra volontà e capacità di preservare e proteggere l’ambiente di cui siamo parte. La guerra profana e saccheggia la natura e ne dilapida le preziose risorse.

Un sì alla vita significa un no alla guerra. Uomini umili che non hanno ricevuto alcun premio Nobel hanno preparato il terreno. In mezzo al fervore patriottico, hanno detto semplicemente no. Permettetemi di raccontare la storia di due coraggiosi e saggi agricoltori. Durante la Seconda Guerra mondiale, Franz Jägerstätter disubbidì all’ordine di Hitler di impugnare le armi. «Gesù me lo proibisce», disse. Il suo no lo condusse direttamente in prigione. Un cattolico devoto, il suo vescovo, andò a trovarlo e gli disse: «Franz, se mantieni il tuo rifiuto, sarai giustiziato. Non puoi fare questo a tua moglie e ai tuoi figli». Franz rispose: «Signor vescovo, vuole che uccida mariti e padri russi?». Franz fu giustiziato nel 1944. Sua moglie Franziska rimase con lui fino alla fine. Franz fu praticamente ripudiato dalla sua Chiesa. Due generazioni più tardi, un papa tedesco lo ha beatificato.

L’altro, Archibald Baxter, era agricoltore in Nuova Zelanda durante la Prima Guerra Mondiale. Non apparteneva a nessuna Chiesa, ma aveva letto con attenzione il Nuovo Testamento. Nel 1917 si rifiutò di servire l’esercito. Lo portarono con la forza nelle trincee in Francia, lo torturarono e quasi lo uccisero, facendo tutto il possibile per piegare la sua volontà. Fallirono. Non aveva ricevuto alcuna educazione scolastica, ma la sua autobiografia è un classico della letteratura sulla pace. A difesa del suo rifiuto di uccidere, Baxter così rispose ai suoi critici: «L’unica vittoria duratura che possiamo ottenere sui nostri nemici è farli nostri amici».

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