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TRA IL COME E IL PERCHÉ

Tratto da: Adista Documenti n° 47 del 18/06/2011

MARCELO GLEISER: (…) È importante fare una distinzione tra ciò che può e ciò che non può trattare la scienza. Uno dei punti importanti di tale discussione è che esiste una grande differenza tra il “perché” e il “come”,  e la scienza si occupa molto bene del “come”. (…). Com’è che il Sole esercita un’influenza sui pianeti di modo che essi si muovono e restano stabili nella loro orbita? Newton lo ha spiegato nel 1686 affermando che la forza di gravità diminuisce con l'inverso del quadrato della distanza. Di fatto, se si fanno i calcoli usando questa forza, si vede che le orbite sono proprio ellittiche, come gli astronomi già sapevano dall’epoca di Keplero, all’inizio del XVII secolo. Questa è la tipica spiegazione del “come”. Ma se si domanda come mai il Sole generi questa forza (e i pianeti anche, come tutto ciò che ha una massa), la scienza non ha niente da dire. Quello che abbiamo è una descrizione operativa di come il mondo funziona. Una domanda operativa che non racchiude il senso di – c’è quella parola inglese – purpose.

WALDEMAR FALCÃO: Di scopo. (…) O di intenzione, forse?

MG: Di intenzione, di intenzionalità, esatto. E la scienza non ha a che fare con questo, è una narrativa che spiega come funziona il mondo, e non perché il mondo funziona.

WF: È qui che percepiamo che esiste una differenza – nello stesso tempo in cui cogliamo somiglianze – tra la scienza e la fede, nella misura in cui entrambe tentano di avere una comprensione più ampia dell’Universo in cui viviamo. In questo punto, esiste una differenza tra i due campi, giacché la scienza non si occupa del “perché”. (…). E in un certo modo la religione cerca questo “perché”.

FREI BETTO: Ma la religione non può avere la pretesa di spiegare il “come”. (…). La scienza può anche domandare: come avviene una resurrezione? Io credo nella mia, nella vostra, nella resurrezione di tutti, ma non so e non ho il minimo interesse a sapere come, e che non mi si presenti alcuno scienziato che abbia la pretesa di dare questa risposta. Faccio un’analogia con l’amore: ha senso riunire un gruppo di scienziati per dimostrare scientificamente a Giovanni che sbaglia ad amare Maria, che chi deve amare è Susanna? (…).

MG: Tornando alla questione del “come” e del “perché” e di Hawking (il riferimento è all’affermazione di Stephen Hawking secondo cui la scienza dimostrerebbe che Dio non è necessario), è importante che le persone sappiano che esistono da parte di alcuni scienziati delle esagerazioni retoriche che qualche volta sono… infelici. (…). L’affermazione di Hawking è una di queste. Il punto è che la scienza attuale, ossia il modo in cui conosciamo il mondo oggi, la questione dell’Universo, dell’espansione dell’Universo, mostra che l’Universo ha una storia. E, se ha una storia, ci si può chiedere: “Questa storia è iniziata in un momento del passato?”. E questo momento del passato è quello che chiamiamo Big Bang, la grande esplosione  che, in realtà, neppure è stata un’esplosione, ma questo è un altro discorso e possiamo tornarci più tardi. Esiste una grande confusione in relazione a ciò, a questo momento iniziale, al principio del tempo. Le persone dicono: “Ma, se esisteva questo momento iniziale, cosa avveniva prima di questo momento?”.

FB: S. Agostino ha una risposta logica.

MG: Mi pare che nelle Confessioni, non ricordo esattamente in che punto, alla domanda su che faceva Dio prima di creare il cielo e la terra, Agostino risponde: «Preparava l'inferno per quelli che fanno domande così». Ma poi dice: (…) Quello che sto dicendo è che il tempo e lo spazio sono sorti con la Creazione». Non ha senso, cioè, parlare di un “prima”, perché non esisteva “prima”, non esisteva tempo, non esisteva spazio. In un certo modo, è ciò che più o meno sta avvenendo con la fisica moderna, nel senso che, se ripercorri il tempo a ritroso, arriverai a un momento in cui le teorie attuali della fisica smettono di avere senso: è quello che viene chiamato singolarità. E Hawking ne parla negli anni ’60 insieme a Roger Penrose, professore dell’Università di Oxford, mostrando come tornare indietro nel tempo porti obbligatoriamente a questa singolarità, perché tutto arriva ad un punto che ha energia e densità infinite.

FB: La famosa “zuppa quantica”.

MG: Si tratta dei “problemi della singolarità”. Essi hanno dimostrato che le teorie classiche, come la teoria della relatività generale di Einstein, che è una teoria che descrive la gravità come curvatura dello spazio, smette di avere senso presso una singolarità. È come se l’Universo diventasse un grande buco nero. (…). La questione è sapere cosa è avvenuto in questa transizione dall’Universo classico all’Universo quantistico. Poiché in questo Universo quantistico, che in un certo modo precede il tempo - se è possibile esprimersi così - non esisteva il passaggio omogeneo del tempo né la configurazione stabile dello spazio. È bene menzionare che la meccanica quantistica è la scienza che studia il comportamento degli atomi e degli oggetti molto piccoli (…) e quello che è strano è che nel mondo del molto piccolo le regole sono molto diverse da quelle del nostro mondo. Per esempio, (…) un elettrone non è mai quieto, si muove sempre, è sempre agitato. È molto diverso da un bicchiere: tu metti un bicchiere sul tavolo e il bicchiere resta fermo. Pertanto, il bicchiere ha energia zero; l’elettrone no, è sempre in movimento. Questa agitazione quantistica fa sì che nulla abbia energia zero, perché qualcosa si sta muovendo, ha energia cinetica. Quando si trasferisce questo concetto al tempo e allo spazio, cosa succede? Avvicinandoci al tempo zero, l’Universo è così piccolo che bisogna usare la meccanica quantistica. Tempo e spazio iniziano a fluttuare in maniera aleatoria come l’elettrone nel suo zigzagare. Qualcosa di incredibile. E allora che avviene? Il tempo, invece di fluire come un fiume, che la nostra esperienza qui, nel momento iniziale può andare avanti, può andare indietro, può non andare, può andare lentamente: il concetto di tempo in sé non ha senso. In questo caso, neppure il concetto di storia ha senso, non si può seguire una freccia nel tempo. Secondo la teoria moderna, quella di cui Hawking sta parlando, all’inizio esisteva un’entità atemporale che era, diciamo così, il vuoto quantistico, il niente da cui tutto viene, e questo niente, malgrado abbia in media energia zero, poiché nel mondo quantistico nulla ha esattamente energia zero, presentava fluttuazioni, e forse il nostro Universo è una di queste fluttuazioni. Tale fluttuazione, quando cresce un pochino, passa a diventare un oggetto classico e ad avere allora una storia in cui il tempo fluisce, determinando così la transizione dal quantistico al classico. Problemi: non abbiamo la minima idea di come ciò avvenga, non sappiamo trasformare queste strutture spaziali e temporali, cioè la teoria della relatività generale, in una teoria quantistica della gravità. Esistono varie proposte, ma non sappiamo quale sia quella giusta; e l’altro punto – un punto un po’ più profondo – è che, anche nel caso si abbia una spiegazione scientifica dell’origine dell’Universo, tale spiegazione scientifica è basata su una serie di supposizioni. Per esempio, perché si scriva questa teoria, bisogna usare la teoria della relatività generale di Einstein, il principio di indeterminazione, la legge di conservazione dell’energia e una serie di principi correlati. È legittimo allora chiedersi: da dove viene tutto ciò, da dove sono venute tutte queste leggi? Abbiamo bisogno di una teoria che descriva perché il nostro Universo abbia le leggi che ha e non altre. E questa “teoria delle teorie” è qualcosa di molto distante nell’orizzonte scientifico.

FB: Ma partiamo dal principio induttivo: questo vuoto, che è il nulla che precede la storia, il tempo e lo spazio, ha una logica. Possiamo non avere la teoria capace di descriverlo, ma ha una logica interna.

MG: Sì, segue, cioè, certi principi.

FB: Esattamente, c’è una fisica teorica, virtuale o latente, che sarebbe capace di descriverlo. (…).

MG: La questione è: perché questa logica? (…). Oggi ci chiediamo: “Questo Universo in cui viviamo può non essere l’unico Universo esistente”. Se esistono molti Universi, abbiamo bisogno di una teoria che selezioni, tra questi molti, questo Universo. Questa metateoria che in un certo modo mostri come, tra i molti Universi esistenti, questo nostro sia un Universo speciale, ancora non esiste e non so – nessuno lo sa – come creare questa metateoria al momento. Questo problema della descrizione scientifica della Creazione, dell’origine dell’Universo, è un problema estremamente antico che Betto deve conoscere bene, il problema della Prima Causa. (…). Da dove viene la Causa di tutte le cause? Noi, esseri umani, abbiamo molta difficoltà in relazione a tale questione della Prima Causa. Sento persone che dicono: «Finché la fisica non spiegherà l’origine dell’Universo, ci sarà sempre uno spazio per Dio».

FB: No, da questo Dio io mi chiamo fuori.

MG: Questo Dio non ha alcun senso. (…).

FB: Preferisco restare con il Dio dell’amore piuttosto che credere in questo Dio che viene a sostituire il professore di fisica che non è venuto a lezione (…). Con tutto il rispetto per l’immagine di Dio che ogni credente possiede, non c’è nessuno, nessun santo, nessun papa, che abbia un’immagine chimicamente pura di Dio; è necessario depurare, nella misura del possibile, questo rivestimento che, a causa della mancanza di conoscenza scientifica, ha indotto il pensiero religioso a fare di Dio un factotum, uno strumento per molteplici funzioni. La questione di Dio è la seguente: il concetto o l’esperienza che ho di Dio mi rende più umano? (…). Per il mio romanzo Un uomo chiamato Gesù ho scelto come epigrafe questa frase di Leonardo Boff: «Umano come egli fu, poteva esserlo solo Dio».

WF: Questa frase è meravigliosa.

FB: Vuol dire che Gesù non è Dio perché ha smesso di essere umano, all’esatto contrario. È umanizzandoci che ci divinizziamo. E i valori annunciati da Gesù non sono valori cristiani, non sono valori del Vangelo, sono fondamentalmente valori umani che, nell’ottica della fede, acquistano carattere trascendente. (…). Amare, essere solidali, esseri generosi, condividere: tutto questo è umano. (…). È come se Gesù ci dicesse: «Tali valori umani hanno dimensione trascendentale, ci riportano a un’altra dimensione della vita e ci fanno portatori di Dio».

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