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“Fuori dal Tempio” Pierluigi Di Piazza: 35 anni dalla parte dei più deboli

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 49 del 25/06/2011

A Zugliano, un paesino alla periferia sud di Udine, c’è un sacerdote che, a buon diritto, può essere considerato un esponente locale della Teologia della Liberazione.

Don Pierluigi Di Piazza è un friulano della Carnia. Gente schiva, montanari di poche parole, molto concreti. Da alcuni anni ha costruito, partendo da una mirabile iniziativa di “economia solidale e sociale”, un centro di accoglienza che ha voluto dedicare ad Ernesto Balducci, anch’egli testimone della liberazione evangelica. «Non è stata una dedica formale – afferma lo stesso don Pierluigi – ma l’assunzione dell’impegno di accoglierne il messaggio, le intuizioni, le prospettive». Quando arriva a Zugliano, don Pierluigi è già un prete scomodo per la gerarchia, più volte allontanato. Riceve un contributo regionale per ristrutturare la casa del parroco (siamo nel periodo del post terremoto friulano). Ma con questo denaro è giusto costruire la villa per il prete? Oppure è più evangelico ricavarne anche un luogo per accogliere chi ha bisogno di un tetto dove poter dormire? Pone la domanda alla sua nuova comunità. Durante la messa. Nasce così il Centro Balducci. In un periodo in cui l’immigrazione è ancora agli albori. Arrivano i primi extracomunitari: dal Ghana. Trovano accoglienza. La vicenda del Balducci di Zugliano conosce un percorso tutto intriso di profonda consapevolezza da parte di don Pierluigi e dei suoi collaboratori e volontari sulla necessità di essere attenti e disponibili alle sollecitazioni e alle richieste di aiuto. Nasce anche un centro culturale. La moltitudine di persone provenienti da tutte le parti del mondo (le “tribù della Terra” di don Balducci), le loro culture, le loro appartenenze, le loro credenze richiedono approfondimenti, riflessioni. Di Piazza verrà accusato, come dice lui stesso, di essere «un prete poco prete». Un «politico».

Recentemente, ha raccontato i suoi trentacinque anni di sacerdozio in un libro: Fuori dal tempio. La Chiesa al servizio dell’umanità (Laterza, 2011). La narrazione di un impegno civile, politico e religioso. Schierato con i bisognosi. Concreto. Animato da una forte carica emozionale. Per i benpensanti, probabilmente un prete fuori scala. «Mi definisco laico. […] Laici siamo tutti, per una comune condizione di partenza, senza pregiudiziali ipoteche ideologiche, religiose, confessionali». E l’essere prete non vuole configurare una presa di distanza. Anzi. Al contrario «è espressione di un servizio, di una funzione che non potrebbe esistere a prescindere dall’essere uomo laico e credente». Le sue prese di posizione, anche sui temi cosiddetti eticamente sensibili, sono improntate alla comprensione, alla riflessione. Il capitolo dedicato alla “Chiesa dell’accoglienza”, ad esempio, lo introduce con un passo del vangelo di Giovanni: «Amatevi gli uni gli altri».

«Un prete schierato – si definisce Di Piazza – e non neutrale, perché la neutralità, anche quella della Chiesa e dei preti è una finzione». Un prete di parte. Ma quale parte? «Sono dalla parte di chi nella vita fatica, soffre, è povero, è spogliato di diritti e di dignità». La sua adesione al «Vangelo di Gesù di Nazareth», scrive con una forte connotazione storica, è un punto di riferimento centrale. «Ritengo che proprio il Vangelo – che dovrebbe essere sempre guida per i sacerdoti – possa essere riconosciuto come ispirazione nelle mie scelte». Un tentativo (sempre imperfetto) di tradurlo in una quotidianità fatta anche di piccoli gesti. Un libro coraggioso. Scritto da un uomo ed un prete coraggioso. E pienamente appartenente alla Chiesa intesa come comunità di fede.

La Chiesa in cui afferma di credere è universale, «umile e forte della forza dello spirito», povera, essenziale, sobria; pluralista, libera dai titoli nobiliari (Eminenza, Eccellenza, Monsignore…), una Chiesa che nelle celebrazioni non esibisce una solennità fine a se tessa, la Chiesa dei martiri e dei profeti che non ha paura della verità. «Spesso rifletto con inquietudine, sofferenza, interrogandomi su come sia stato possibile a partire da Gesù di Nazareth costruire nella storia un apparato religioso di potere e di sacralità che solo in modo vago, intermittente, sfuocato e distorto si riferisce a lui, di fatto oscurando e tradendo la sua persona e il suo messaggio rivoluzionario, nel senso più profondo e completo della parola». Parole schiette e consapevoli. Ma non solo. La riflessione alla quale invita don Pierluigi è ancora più profonda. E riguarda il volto di Dio, non sempre coerente con quello presentato da Gesù di Nazareth. Com’è possibile, si chiede, che «coesistano altri dei in una sorta di politeismo e di drammatico relativismo proprio riguardo a Dio»: il Dio dei potenti e quello dei poveri, il Dio dei razzisti e quello degli accoglienti, il Dio dei mafiosi e quello di coloro che vengono uccisi dalle mafie?

* Pubblicista, già collaboratore del settimanale diocesano di Trieste, “Vita Nuova”; autore-curatore del volume “Per un cristianesimo adulto” (Abiblio, 2009)

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