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Il generale e la Chiesa

- L’arresto e l’estradizione di Ratko Mladic gettano nuova luce sui conflitti balcanici degli anni ’90 e sul ruolo della nazionalista Chiesa ortodossa serba

Tratto da: Adista Contesti n° 50 del 25/06/2011

Tratto dal settimanale cattolico inglese The tablet (4 giugno 2011). Titolo originale: The church and the general

Una delle domande che i serbi e molti altri sperano riceverà una risposta al processo di Ratko Mladic è se la potente Chiesa ortodossa di Serbia abbia svolto un ruolo nel proteggere l'ex generale serbo-bosniaco dalla giustizia internazionale. Appena dopo il suo arresto, Mladic, ricercato per il massacro di circa 8.000 uomini e ragazzi nella città orientale bosniaca di Srebrenica nel 1995, tra le altre cose, avrebbe affermato che le autorità ecclesiastiche lo avevano protetto durante i suoi anni di fuga; anni che erano diventati molto più difficili dopo la caduta, a Belgrado, nel 2000, del suo protettore, Slobodan Milosevic. Queste parole, però, non sono state confermate, e possono finire per aggiungersi ad altre storie fantasiose inventate circa l'ex generale, come quella annosa secondo cui si nascondeva in Russia, piuttosto che in un villaggio vicino a Zrenjanin, circa 45 miglia a nord di Belgrado.

Mentre la Chiesa ortodossa è il totem attorno al quale tutti i nazionalisti serbi danzano - la sua ostilità alla lunga lista di nemici della Serbia è un dato di fatto - non erano chiare le connessioni di di Mladic con la Chiesa. Sono certamente meno facili da definire rispetto a quelle del suo superiore politico diretto in Bosnia, l'ex presidente serbo bosniaco, Radovan Karadzic. Per tutto il periodo in cui Mladic era nascosto circolavano voci secondo cui lui, come Karadzic, era stato sistemato in un remoto monastero, Ostrog, in Montenegro, di solito menzionato per entrambi. I media bosniaci hanno sostenuto che i due uomini trascorsero lì il Natale del 2003 in compagnia di altri membri di alto rango del nazionalista Partito Radicale Serbo, all’opposizione. Queste voci fecero sfrecciare molti reporter su per le curve che si arrampicano fino in cima al monastero del XVII secolo, tutti tornati a mani vuote.

Queste voci possono essere state messe in giro intenzionalmente dai custodi di Mladic, ansiosi di depistare i suoi inseguitori. Ostrog si trova nella giurisdizione del Metropolita del Montenegro Amfilohije, un nazionalista serbo della varietà militante. Ma il grande alleato di Amfilohije nella gerarchia serbo-bosniaca del periodo bellico degli anni ‘90 era Karadzic, non Mladic. Recentemente, il vescovo ha ammesso di avergli offerto, dopo che il tribunale per i crimini di guerra dell’Aia lo aveva posto in stato di accusa, nel 1995, un nascondiglio nella sua diocesi.

Mladic e Karadzic non sono mai stati esattamente amici, anche se hanno condiviso lo stesso obiettivo: l'eliminazione dei bosniaci musulmani e dei croati cattolici da tutta o la maggior parte della Bosnia. Idolatrato dalle masse come il salvatore serbo-bosniaco, sembrava che Mladic vedesse Karadzic con disprezzo, come una fastidiosa interferenza.

Anche a livello pubblico erano personaggi molto diversi. Karadzic amava le processioni, discutere le sue convinzioni ortodosse, ricevere le delegazioni di ammiratori ortodossi provenienti da Russia, Grecia e altre parti e indossando le decorazioni ricevute in dono. Sempre pronto a mettere una patina religiosa sopra il suo odio paranoico dei non serbi della Jugoslavia, nel 1995 ha dichiarato a una rivista della diocesi ortodossa che il comunismo jugoslavo è stato un dispositivo utilizzato per islamicizzare e cattolicizzare subdolamente le masse serbe.

Espressioni burocratesi di questo tipo non sono mai uscite dalle labbra di Mladic, che non è stato visto spesso in chiesa: il funerale di sua figlia nel 1994 è stato una notevole eccezione. Il generale non ha adottato la posa di un vendicatore cristiano. Non facevano per Mladic le buffonate pseudo-pie del tardo Zeljko Raznatovic "Arkan", il paramilitare serbo con la faccia da bambino, colpevole di assassinii di massa, che ha spesso baciato vescovi in pubblico e che ha fatto uno show per regalare ai suoi prelati preferiti, Amfilohije soprattutto, i tronchetti di quercia, un gesto tradizionale natalizio serbo-ortodosso.

Come il suo mecenate a Belgrado, Slobodan Milosevic, Mladic è stato allevato da ateo in seno all’establishment comunista jugoslavo; è entrato in contatto con la Chiesa ortodossa più avanti nella vita, quando lo Stato jugoslavo ha cominciato a sfilacciarsi. Come Milosevic, sembra aver considerato la Chiesa come un utile puntello nazionalista, senza dar vita ad alcun particolare collegamento con essa.

Quella lieve aria di reciproco sospetto può in parte spiegare il silenzio della Chiesa - e forse l'indifferenza - nei confronti del suo arresto e dell'estradizione. L'altro fattore che spiega la sua assenza dal dibattito pubblico sulla sorte del generale e dalle proteste di piazza contro il suo arresto, è il cambio al vertice della gerarchia ecclesiastica.

Nel gennaio 2010, dopo la lunga malattia e la morte del patriarca Pavle, la mitra patriarcale è scesa sulla testa del relativamente morbido Irinej, già vescovo di Nis, nella Serbia meridionale centrale. A 80 anni, Irinej non è certo una ventata di aria fresca. Ma come il suo omologo a Roma, ha messo in chiaro che nonostante la sua età avanzata è determinato a tracciare il proprio percorso, nel suo caso distanziando la Chiesa dalla sua associazione con gli elementi più intransigentemente anti-occidentali della Serbia.

In particolare, ha detto che non si sarebbe opposto ad una visita del papa in Serbia: anatema assoluto per gli ultranazionalisti e fanatici ortodossi che riempiono associazioni come Obraz, 1389 e Dveri Srpske, per i quali il papa è il nemico naturale dell'Ortodossia e della Serbia, anche se non certo l'unico.

Alcuni hanno suggerito che la visita potrebbe aver luogo nel 2013, quando Roma celebrerà il 1.700mo anniversario dell'Editto di Milano, quando l'imperatore Costantino concesse la tolleranza ai cristiani, e che potrebbe includere una visita del papa alla ex diocesi di Irinej, Nis, luogo natale di Costantino.

In linea con il suo approccio generalmente meno combattivo nei confronti della Chiesa cattolica, Irinej non ha detto nulla circa la visita del papa in Croazia, che normalmente avrebbe chiamato alle armi alcune teste calde serbe, dal momento che il Vaticano è oggetto di perdurante ostilità tra i nazionalisti per il suo schietto sostegno all'indipendenza della Croazia. Il Patriarca ha anche posto la sua autorità al servizio del governo centrista ai fini dell'adesione all'Unione Europea, un'altra morbida rottura con il passato, dato il sospetto che l’area nazionalista nutre verso l'Unione europea, vista come un club cattolico, così come la sua politica estera russo-centrica.

Solo sulla questione della provincia del Kosovo ormai perduta, Irinej è rimasto ancorato indefettibilmente alla linea vecchia nazionalista. Ma dal momento che la natura eternamente serba del Kosovo è una idea fissa della Chiesa, e visto che anche i serbi moderati sono concordi nel ritenere che il Kosovo sia una parte indivisibile della Serbia e che la sua indipendenza, proclamata nel 2008, sia illegale, la sua rigidità su questo punto doveva essere prevista.

Anche sul Kosovo, Irinej ha aiutato una frazione a spostare i paletti, dopo la rimozione, lo scorso anno, dell’ex vescovo “sputa fuoco” dello Stato conteso, Artemije. Il Santo Sinodo ha messo da parte Artemije soprattutto perché era sospettato di appropriazione indebita di donazioni per la causa della battagliera minoranza serba del Kosovo. Anche così, era chiaro che Irinej si schierava con coloro che contestano debolmente l’abitudine di Artemije di riferirsi agli sponsor occidentali del Kosovo come a "diavoli", così come i suoi gesti plateali, come il rifiuto di incontrare Joe Biden durante la visita del vicepresidente degli Stati Uniti in Kosovo l'anno scorso. Significativamente, il suo successore, Teodosije, insediatosi a dicembre con una cerimonia presieduta da Irinej, utilizza un vocabolario molto diverso.

Ma se Irinej è pronto a traghettare la Chiesa serba verso acque più calme e a porre fine alle associazioni più evidenti di questa con gli uomini della violenza, la giornalista di Belgrado Bojana Barlovac dice che sarebbe un errore ritenere che sia lui il responsabile di una sorta di cambiamento epocale nell'immagine dell’istituzione in generale. «La Chiesa non è cambiata molto dopo l'elezione di Irinej», afferma. «Ha ancora forti legami con gruppi radicali come Obraz. Può sembrare un po' più moderata, adesso, ma riveste ancora un ruolo importante nel mondo dei nazionalisti».

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