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DALLA PARTE “GIUSTA”, AL MOMENTO GIUSTO. LA CARRIERA DI TREMONTI

Tratto da: Adista Notizie n° 53 del 09/07/2011

36214. ROMA-ADISTA. Un po’ tecnocrate, un po’ politico, senza una reale base elettorale, ma con un potere che negli anni è cresciuto al punto tale da farne il vero uomo forte del governo. Tutti i ministri devono chiedere a lui il permesso per qualsiasi provvedimento che implichi stanziamento di fondi; addirittura - lo denunciava il ministro Galan alcuni mesi fa - accade che decreti usciti dal Consiglio dei Ministri vengano pubblicati in Gazzetta Ufficiale modificati nella sostanza, oltre che nelle cifre, all’insaputa degli stessi capi dei dicasteri; lo stesso Berlusconi sembra non avere reale autonomia di manovra se lui, Giulio Tremonti, non dà il suo benestare ad ogni atto di governo.

Ministro dell’Economia e delle Finanze, Tremonti da anni assomma sulla sua persona prerogative e funzioni derivanti dall’accorpamento di potenti Ministeri: quelli del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica e delle Finanze. Se è evidente l’enorme potere raggiunto da Tremonti negli ultimi 25 anni, meno evidenti sono le basi su cui questo potere poggia. Tremonti non è un leader di partito, né tantomeno un “colonnello”, perché in Forza Italia e nel Popolo della Libertà non ha mai guidato una sua corrente, né ha mai goduto di grande popolarità. Tanto da guardare più alla Lega che al partito berlusconiano. «Un leghista con la tessera di Forza Italia», amavano definirlo a via Bellerio (ma anche il Carroccio, dopo le ultime vicissitudini elettorali, è più diffidente nei confronti del “caro amico” Giulio). Per la verità, Tremonti non ha nemmeno il carisma del leader di piazza. Punta piuttosto sulle influenti relazioni. Quelle politiche, certo. Ma anche quelle con il mondo economico-finanziario. Che gli hanno consentito di contrapporsi all’asse Letta-Geronzi nella designazione dei vertici di grandi aziende a partecipazione statale, come Eni, Enel, Finmeccanica, Terna, Poste, Rai. Aziende che fatturano una consistente quota del nostro Pil. E che quindi costituiscono il “potere reale” del Paese.

Inoltre, il ministro dell’Economia è sempre stato molto abile a scegliere il “cavallo” giusto. Originario di Sondrio, di famiglia liberale, da giovane si avvicina agli ideali socialisti, ed entra nel Psi. Vicino alla sinistra lombardiana, negli anni ’80 collabora con il manifesto scrivendo articoli con lo pseudonimo di lombard (riferimento territoriale, forse, ma anche alla corrente politica alla quale aderiva). Il suo ingresso ufficiale nella politica che conta avviene alle politiche del 1987, quando venne eletto nelle liste del Psi (in quota Gianni De Michelis). Poi, per un breve periodo, nel dopo Tangentopoli fece parte di Alleanza Democratica, per aderire subito dopo al movimento politico fondato da Mario Segni, il Patto Segni, con il quale venne eletto deputato nel 1994. Ma appena eletto, Tremonti fu tra quei senatori centristi che cambiarono immediatamente casacca, consentendo a Silvio Berlusconi di varare il suo primo governo. Lui votò la fiducia. Altri 4 (tutti provenienti dal Ppi: Vittorio Cecchi Gori, Tommaso Zanoletti, Stefano Cusumano e Luigi Grillo) uscirono dall’aula al momento del voto.

Dopo soli 9 mesi, ci fu il “ribaltone” e Tremonti passò all’opposizione del governo Dini, per poi essere rieletto alla Camera dei deputati nel 1996 e di nuovo nel 2001 nelle liste di Forza Italia. Fu chiamato nel II governo Berlusconi alla guida del neonato Ministero dell’Economia e delle Finanze. E di nuovo ministro, dopo due brevi parentesi - quella delle sue dimissioni a causa del duro scontro con Fini, nel 2004, e quella del II governo Prodi, tra il 2006 e il 2008 -, a partire dal 2008. (valerio gigante)

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