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“PADRE FEDELE”: QUANDO LE DONNE ROMPONO IL SILENZIO. DENTRO E FUORI LA CHIESA

Tratto da: Adista Notizie n° 55 del 16/07/2011

36227. COSENZA-ADISTA. Depone corone di crisantemi davanti al Palazzo di Giustizia che lo ha condannato (perché «la giustizia è morta»), ammonisce le suore che hanno sostenuto l’accusa contro di lui a vergognarsi e a pentirsi, grida davanti a giornalisti e telecamere la sua innocenza; denuncia, è accaduto alcuni giorni prima della sentenza, di sentirsi abbandonato dalla Chiesa e dal suo Ordine, invocando l’intervento del Vaticano. Francesco Bisceglia, già “padre Fedele”, ex frate cappuccino fondatore e per anni direttore dell’Oasi francescana dei Poveri a Cosenza, espulso dal suo Ordine nell’ottobre del 2007, durante il processo a suo carico per stupro nei confronti di una suora, non ha certo optato per un profilo dimesso: all’inizio delle udienze aveva sfilato tra gli applausi nel centro di Cosenza, con la croce sulle spalle, «in nome della fede e della giustizia»; poi si era recato a chiedere «un pasto» davanti a quella che un tempo era la sua struttura, l’Oasi Francescana, teatro delle violenze.

Tutto inutile: il 6 luglio scorso è stato condannato dal tribunale di Cosenza a 9 anni e 3 mesi di reclusione per violenza sessuale. Il collegio dei giudici, presieduto da Antonia Gallo, ha condannato anche il segretario, Antonio Gaudio, a 6 anni e 3 mesi per lo stesso reato. Pene che vanno anche al di là di quanto chiesto dai pubblici ministeri che ritenevano soddisfacente una condanna ad 8 anni di carcere per Bisceglia e 6 anni di reclusione per Gaudio. La corte ha stabilito anche che i due dovranno risarcire la suora che ha subito la violenza ed il Centro contro la violenza sulle donne “Roberta Lanzino”, che si erano costituiti parte civile.

L’ex frate cappuccino era finito in carcere il 23 gennaio 2006, a seguito dell’accusa di cinque episodi di stupro denunciati da una donna dell’Ordine delle Suore Francescane dei Poveri che collaborava nella struttura di accoglienza gestita da Bisceglia. La donna riferì di essere anche stata costretta ad assumere dei farmaci, che l’avrebbero resa completamente succube dei suoi violentatori. Nel corso delle indagini erano emersi altri episodi di rapporti sessuali estorti da Bisceglia a donne immigrate ospiti della sua struttura in cambio di favori da parte dell’ex religioso.

Al di là della sentenza, il processo è stato soprattutto l’occasione per rompere il muro di omertà che spesso circonda gli abusi sessuali di preti e religiosi, e spezzare l’isolamento che le vittime, specie se appartenenti allo stesso contesto religioso, devono subire quando decidono di sporgere denuncia. In questo caso, non solo la suora che ha fatto condannare Bisceglia si è presentata alle udienze, ma è stata accompagnata dalla sua superiora generale. E nel corso del processo diverse consorelle hanno testimoniato a favore della religiosa. Un sostegno prezioso. Anche perché, nelle prime fasi dell’istruttoria, dopo che Bisceglia era stato arrestato il 23 gennaio 2006, nel maggio di quell’anno i giudici del tribunale della libertà avevano dichiarato le accuse della suora come inattendibili. Ma le consorelle, senza lasciarsi intimorire dalla grande risonanza mediatica del verdetto, l’hanno sostenuta, finché la corte di Cassazione non ha annullato la decisione del tribunale della libertà. Il sostegno delle suore francescane dei poveri risulta però ancora più importante se si considera che in quei mesi, dai superiori di Bisceglia come dal vescovo di Cosenza arrivavano dichiarazioni di sostanziale fiducia nei confronti del frate accusato. Mentre sulla suora che aveva denunciato calava un pesante silenzio.

Solo nel 2007 i Cappuccini decisero prima di sospendere a divinis il loro confratello e poi di dimetterlo dall’Ordine. Non fu però, almeno ufficialmente, a causa del reato contestatogli dalla procura di Cosenza, ma in seguito alle ennesime intemperanze dell’ex religioso allo stadio, che frequenta come ultrà del Cosenza Calcio.

Dopo la sentenza, suor Tiziana Merletti, Superiora Generale Suore Francescane dei Poveri, ha voluto scrivere un comunicato ufficiale, in cui, a nome del suo Ordine, afferma che la decisione del tribunale «rappresenta un grande sollievo per la nostra suora e tutte le donne immigrate coinvolte come vittime in questa triste vicenda. È stata un’esperienza molto dura – ha aggiunto – e ciò che ha sostenuto la nostra consorella e tutte noi è stata la fede e anche la fedeltà alla nostra identità di Suore Francescane dei Poveri. Siamo infatti chiamate ad ascoltare il grido dei più vulnerabili, e la nostra suora ha trovato il coraggio di denunciare, proprio a sostegno delle altre donne, che si trovavano nella stessa situazione di abuso. La ringraziamo per questo e per averci messo in contatto, e quindi aperto ancora di più gli occhi e il cuore, sulla drammatica situazione in cui versano tante donne, vittime di violenze di ogni genere».

«Il Tribunale di Cosenza – ha scritto invece il Centro antiviolenza “Roberta Lanzino”, commentando la sentenza – ha aperto una fase nuova che impone ad una città arroccata, durante questi anni, a facili giudizi assolutori in nome della virtuosità e dell’opera meritoria a sostegno dei più deboli, che di certo non riducono né scalfiscono la gravità dei fatti per i quali Bisceglia è stato condannato. Accogliendo con soddisfazione la sentenza non ci esimiamo dal riflettere sul fatto che la ricerca di legalità sia emersa all’interno di un’aula di Tribunale più di quanto non abbia saputo esprimere la società civile cosentina e la stampa». (valerio gigante)

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