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Alla sbarra

- Argentina: il vescovo Oscar Justo Laguna a processo per crimini commessi all’epoca della dittatura

Tratto da: Adista Contesti n° 59 del 23/07/2011

Tratto dal quotidiano argentino Página/12 3 luglio 2011. Titolo originale: Laguna procesado por mentir sobre el asesinato de Ponce de León

Figura centrale dell’episcopato cattolico durante l’ultima dittatura militare e i primi anni della transizione, Oscar Justo Laguna è il primo vescovo a processo nell’ambito di una causa derivante dalle violazioni ai diritti umani commesse all’epoca della dittatura. La decisione è stata adottata lunedì scorso (27/6) dal Tribunale di Rosario, i cui membri pensano che Laguna mentì deliberatamente circa l’assassinio dell’ex vescovo di San Nicolás, Carlos Horacio Ponce de León, morto in un finto incidente stradale, l’11 luglio del 1977.
Il nunzio apostolico Pio Laghi inviò Laguna a farsi carico di questa diocesi e a smantellare la pastorale popolare instaurata da Ponce de León, che aveva sostenuto le lotte operaie di quella che i generali Lanusse e Balbín chiamavano la cintura rossa del Paraná, e che era prossimo al Movimento de Sacerdotes para el Tercer Mundo. Laguna è stato amministratore apostolico di San Nicolás dal luglio 1977 al 2 gennaio del 1978; però durante l’interrogatorio,  ha mentito dicendo di aver svolto questo ruolo dal 18 luglio al 18 dicembre del 1978, vale a dire un anno più tardi.
Questo ritardo cronologico gli è utile per tentare di dimostrare che non sapeva nulla circa le minacce ricevute dal vescovo e altre circostanze del crimine, come la scomparsa di documenti e beni di Ponce de León. Il giudice federale Carlos Villafuerte Ruzo ha valutato che si sia trattato di un innocente errore ma il Tribunale di Rosario ha ritenuto il contrario e ha disposto il processo.
Questo costituisce un precedente significativo per l’attuale arcivescovo della Capitale Federale e presidente della Conferenza episcopale argentina, Jorge Mario Bergoglio, citato come testimone nell’ambito delle cause sul sistematico piano di sottrazione dei figli di desaparecidos. Estela de la Cuadra, sorella e zia di due delle vittime di questo piano, sostiene che Bergoglio ha mentito, dichiarando, nella causa sulla Esma, che seppe della scomparsa di bambini dopo la fine della dittatura: alla sua famiglia risulta infatti che già nel 1979 egli era al corrente del loro caso, perché ricevette suo padre e gli consegnò un documento per il vescovo ausiliare di La Plata, Mario Picchi. Quando fu sequestrata, nel 1977 Elena de la Cuadra era incinta. Su richiesta di Bergoglio, Picchi verificò che Elena aveva dato alla luce una bimba, che fu data a un’altra famiglia. «Una buona famiglia e non c’è modo di tornare indietro», disse Picchi ai De la Cuadra.
Le inchieste per gli episodi più gravi che hanno visto coinvolti vescovi cattolici non sono progredite, in alcuni casi perché questi sono morti (come il cardinale Raúl Primatesta, accusato di traffico di bambini nella Casa Cuna di Córdoba sotto controllo ecclesiastico, gli arcivescovi di Paraná, La Plata e Jujuy, Adolfo Tortolo, Antonio Plaza e José Miguel Medina, accusati di complicità nelle torture ai detenuti), in altri casi perché il Vaticano ha fatto in modo di farli uscire dal Paese per sottrarli alla giustizia (come nel caso dell’ex arcivescovo di San Luis, Juan Rodolfo Laise, accusato dal capo militare dell’area, il colonnello Miguel Angel Fernández Gez, di avergli richiesto il sequestro di un sacerdote che si era sposato). Nel settembre del 2003, da Aquisgrana, in Germania, Laguna ha messo in discussione la politica sui diritti umani del governo di Néstor Kirchner: «Non ha senso rimestare nel passato senza avere un'idea precisa di ciò che si cerca», ha detto.

Prerogative
Laguna si è fatto scudo della prerogativa ecclesiastica di poter rilasciare dichiarazioni in forma scritta, a dispetto del fatto che, come vescovo in pensione senza alcuna funzione nella struttura di governo della Chiesa cattolica, non avrebbe potuto. È lo stesso privilegio che invoca ora Bergoglio. Nel caso di Laguna il beneficio gli si è ritorto contro, perché ha reso ancora meno verosimile il fatto di essersi confuso con le date. Ad ogni domanda del pubblico ministero, o del giudice, sulla corrispondenza, il testamento, il portafoglio, le omelie o i beni di Ponce de León, ha risposto che non sapeva nulla, perché era arrivato a San Nicolás un anno dopo la sua morte.
Lo stesso alibi ha usato per giustificare la sua mancata conoscenza delle minacce patite da Ponce de León prima del suo omicidio. Si è persino indignato che si potesse sospettare di lui considerato che, secondo quanto ha dichiarato, sarebbe stato tra i membri fondatori del Cels (il Centro per gli Studi Legali e Sociali, un'organizzazione non governativa attiva dal 1979, concernente la promozione e la tutela dei diritti umani e il rafforzamento della democrazia in Argentina, ndt). La giudice Liliana Arribillaga ha sottolineato che Laguna aveva rettificato la data del suo incarico come amministratore apostolico, ma confermato il resto delle sue affermazioni, che si basano su questa data falsa. Il presunto “errore” sulla data si può spiegare solo come «tentativo di negare o tacere la verità su alcuni fatti o circostanze», in forma contraddittoria con il resto delle prove contenute nel fascicolo Ponce de León.
Secondo Laguna nessuno gli avrebbe parlato di qualcosa di diverso di un incidente causato dalla nebbia. Tuttavia il presbitero José Káraman ha dichiarato che vari sacerdoti informarono Laguna della tesa relazione tra Ponce de León e i capi militari della zona e delle minacce ricevute. Káraman ha menzionato anche altri episodi impressionanti: ha detto che l’episcopato non fece nessuna denuncia per la morte del suo titolare, che la compagnia di assicurazioni accettò di pagare il sinistro senza indagare, che mentre Ponce de León agonizzava nella clinica, «San Nicolás fu circondata in maniera permanente da soldati» e lo stesso avvenne dopo la sua morte durante la veglia nella cattedrale. Ha aggiunto che Laguna venne a cancellare le tracce di Ponce de León, di cui non voleva neppure che i suoi sacerdoti parlassero.
Altri cinque sacerdoti lo hanno confermato: Carlos Antonio Pérez Carignano, vicario generale di San Nicolás, ha detto che Laguna «conosceva benissimo il clima di ostilità nei confronti della diocesi e di Ponce de León»; Marcelo Domenech ha aggiunto che Laguna sapeva tutto però non volle fare nulla, perché fu «una specie di ispettore»; Marcelo Lisandro Sbaffo ha detto che durante la gestione di Laguna si persero mesi preziosi per indagare su quello che tutti credevano fosse un omicidio, come quello commesso a La Rioja contro il vescovo Enrique Angelelli. Ha detto che Ponce de León «era un vescovo minacciato e che fu uno dei pochi a difendere a rischio della vita i suoi sacerdoti di fronte al potere militare»: diversamente anche loro sarebbero stati assassinati.

Il prossimo
L’autista di Ponce de León è uno di coloro che si è ricordato che Laguna parlò durante il funerale del vescovo, che, secondo molti testimoni citati dalla giudice Arribillaga, si è svolto in una cattedrale accerchiata dalle forze militari, in un clima di evidente tensione. Ma al di là della conoscenza diretta dimostrata dai sacerdoti che furono collaboratori del vescovo ucciso, Laguna era già al corrente delle minacce a Ponce de León, perché il diocesano di San Nicolás le aveva raccontate durante la riunione plenaria dell’episcopato nel maggio del 1976, dove è documentata la presenza di Laguna.
Il pubblico ministero Murray ha portato copia delle annotazioni manoscritte del vescovo di Goya, Alberto Pascual Devoto, sulla situazione denunciata in questa assemblea da Ponce de León, Angelelli, Vicente Zazpe e Jaime de Nevares. Il sacerdote Jorge Breazú ha raccontato nella sua testimonianza che al momento dell’omicidio di Angelelli, Ponce de León gli disse «il prossimo sono io» e il suo collega Nicolás Gómez ha detto che Ponce de León gli mostrò una missiva in cui lo minacciavano dicendogli di prepararsi «perché a luglio sarebbe stato giustiziato» e un'altra con il disegno di una bara, riferimento al già assassinato vescovo di La Rioja e la frase «ora tocca a te». La suora e docente Yolanda Filomena Berardi ha raccontato che Laguna allontanò tutte le religiose dalla pastorale diocesana. La giudice ha anche menzionato una nota del capo militare Manuel Saint Amant a Laguna sulle sue «relazioni tese» con la «precedente conduzione della diocesi».
Saint Amant chiese anche a Laguna la rimozione del parroco della cattedrale che veniva dalla gestione di Ponce de León. A queste circostanze si aggiunge un documento dell’archivio del Culto della Cancelleria, in cui Saint Amant analizza con il Direttore del Culto, José Luis Picciouolo, l’allontanamento di Ponce de León dalla diocesi, in cambio della liberazione di uno dei suoi sacerdoti in carcere. La giudice conclude che «contrariamente a quanto dichiarato», Laguna «conosceva le minacce contro Ponce de León», per cui la sua risposta negativa «sembra mendace, dal momento che risulta probabile il contrario». E non crede neppure alle dichiarazioni di Laguna che ha detto di non essere a conoscenza dell’esistenza di archivi che contenessero reclami di Ponce de León alle autorità militari o giudiziali per la persecuzione nei confronti dei suoi sacerdoti. Così come ha detto che il Cels ha negato che Laguna abbia mai fatto parte dell’organizzazione, «cosa che sminuisce quanto detto dall’accusato probabilmente nel tentativo di migliorare la propria situazione processuale».

Mentire per salvarsi
I giudici Fernando Lorenzo Barbará e José Guillermo Toledo hanno aderito alla versione di Arribillaga e hanno ricordato che si erano pronunciati in questo senso anche un anno e mezzo fa, risultando allora in minoranza. Barbará aveva detto allora che il falsamento delle date è stato «il mezzo per nascondere una verità conosciuta» su altri aspetti dell’inchiesta. Per Toledo, Laguna può aver avuto responsabilità per fatti successivi legati all’omicidio. Le sue dichiarazioni sarebbero una mancanza «commessa per cercare di salvarsi».
Hanno aderito alla posizione di Arribillaga  anche i guidici Elida Vidal, Edgardo Bello e Carlos Carrillo. Però dopo aver preso le distanze dalla decisione del giudice Villafuerte Ruzo, Bello e Carrillo hanno votato per affidargli di nuovo il fasciscolo affinché tornasse a pronunciarsi in linea con quanto segnalato dal tribunale. Il potere giudiziario ha mostrato una certa reticenza nell’indagare su questi casi, per cui la decisione del Tribunale  di Rosario segna un’inversione di marcia. L’idea di una dittatura solo militare, senza appoggi né connivenze di altri settori della società non è più sostenibile e, a partire dalla falsa testimonianza, l’accusa a Laguna potrebbe ampliarsi comprendendo anche l’insabbiamento dell’omicidio del suo fratello di sacerdozio che considerava un estremista radicale.
Per questo sarebbe imprescindibile allontanare dalla causa il giudice Villafuerte Ruzo, già ricusato dal pubblico ministero e dai querelanti in altre cause simili, perché sua sorella è sposata con il generale Enrique Bonifacino, dirigente di associazioni come il Circolo Militare e il Centro di Ufficiali delle Forze Armate, che considerano i processi per crimini di lesa umanità come aggressioni alle Forze Armate. Inoltre, Villafuerte Ruzo ha ritardato per 4 anni il processo opponendosi all’incorporazione di prove sulle denunce che aveva formulato Ponce de León alla Conferenza episcopale e sulle minacce che aveva ricevuto, e, in un’altra causa, ha definito questi processi un’ingiustizia che gli era stata imposta chiedendo «il perdono invocato in Cristo», considerazione religiosa che non può opporsi all’attività giudiziaria.

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