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Cattolici e politica F. Monaco: «Un balzo indietro “clericomoderato”»

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 70 del 01/10/2011

L’attivismo politico delle gerarchie ecclesiastiche – dal segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone, coadiuvato da mons. Mario Toso, fino al presidente della Cei Angelo Bagnasco (v. Adista nn. 51, 57, 60 e 65/11) – in vista del dopo-Berlusconi insospettisce Franco Monaco, deputato dell’Ulivo dal 1996 al 2006 e già presidente dell’Azione Cattolica ambrosiana e di Città dell’uomo, associazione fondata da Giuseppe Lazzati. «Il carattere politicamente indefinito e la regia ecclesiastica – spiega ad Adista – lo fa assomigliare al vecchio “clerico-moderatismo”, quindi un balzo indietro anziché in avanti. Riscontro uno scarto tra l’ambizione alta di un nuovo protagonismo politico dei cattolici e l’assenza di un qualche pensiero e di un abbozzo di progetto. Così pure rilevo una certa contraddizione tra l’appello al protagonismo e all’iniziativa dei laici cristiani autonomi e responsabili e la loro convocazione da parte di rappresentanti della gerarchia».

 

Tuttavia molti – per lo più esponenti e associazioni dell’area cattolico-democratica – non hanno partecipato a queste iniziative, o perché non hanno voluto o perché non sono stati invitati.

Non so se essi siano stati invitati o no. Certo è significativa ed eloquente la loro esclusione o autoesclusione. Ed è sintomatico che a manifestare entusiasmo siano stati esponenti decisamente lontani dalla sensibilità e dai paradigmi propri del cattolicesimo liberale e democratico, come Buttiglione e Binetti. Ai quali porto rispetto, ma il cui profilo politico-culturale è oggettivamente altro. Non a caso essi sono stati già attori protagonisti di rotture (Buttiglione al tempo dei Popolari) o di congedi (Binetti dal Pd) dal troncone dei cattolici democratici. Differenze che non devono essere demonizzate ma neppure esorcizzate in nome di una unità politica dei cattolici innaturale e coatta.

 

Si parla di irrilevanza dei cattolici in politica...

Il problema è che si misuri la rilevanza del contributo cattolico alla politica con parametri vecchi, partendo dal presupposto che in passato i cattolici fossero più centrali o addirittura egemoni. In verità anche il mezzo secolo segnato dalla Dc ha conosciuto stagioni alte e basse sotto il profilo della qualità cristiana della politica. Così pure nella cosiddetta Seconda Repubblica: Berlusconi, talvolta ricambiato, ha sempre sostenuto che la sua politica è stata conforme ai desiderata delle gerarchie cattoliche; Prodi non si è mai azzardato a rivendicare un’esemplare coerenza della sua azione con una visione cristiana della politica ma avrebbe qualche titolo per sostenerlo. Quindi la questione è controversa. Però trovo superficiale e ingenerosa la liquidazione dell'impegno di quanti, tra i cattolici, ci hanno provato in varie forme. Esprimo un punto di vista “di parte”: ora che il ciclo berlusconiano si sta chiudendo con un bilancio fallimentare, si dovrebbe dare atto a quanti, tra i cattolici, si sono opposti politicamente sempre e a viso aperto, applicandosi a cooperare a quel progetto cui abbiamo dato nome Ulivo-Pd. Sarebbe piuttosto da chiedere conto a quanti hanno disertato quel fronte praticando un comodo terzismo al cospetto di una deriva morale e politica visibilissima per chi non si fosse ostinato a non vedere.

 

E poi c’è Comunione e liberazione...

Che invece è stata tutt’altro che marginale e ha dato organico sostegno alla corrente del partito di Berlusconi, capeggiata da Formigoni. Perché c’è tanta reticenza nel formulare un giudizio critico sul bilancio di quell'investimento politico da parte di un movimento cattolico?

 

Quindi?

Chi auspica un rilancio deve prima operare un onesto bilancio. Oggi, a fronte di uno sfacelo conclamato, dei cumuli di macerie morali e politiche, un nuovo e positivo protagonismo non può essere invocato e tantomeno esercitato senza prima tracciare un rendiconto delle responsabilità, attive e omissive. A che titolo possono proporsi come attori-protagonisti di una impresa ricostruttiva materiale e morale quanti sono stati complici o inerti nel tempo della devastazione? Qui non si tratta di semplici errori ma di vere e proprie gravi responsabilità. Colpe collettive, le definiva Dossetti, non limitate ad attori politici e sociali, ma alla comunità cristiana tutta, a cominciare da chi, in essa, porta le più alte responsabilità di guida, cui spettava un compito, largamente omesso, di discernimento, di illuminazione delle coscienze e di vigilanza cristiana.

 

All’associazionismo invece si riconosce dinamismo e vivacità.

È vero, ma io ho un’opinione opposta: l’associazionismo mi pare sfibrato da sotto e da sopra. Da sotto, dalla corrosione della scristianizzazione per nulla in via di regressione come alcuni uomini di Chiesa si sono raccontati in chiave autorassicurante. Dall’alto, da una verticalizzazione delle dinamiche interne alla Chiesa a discapito dell’autonomia e del protagonismo dei laici cristiani. Alla lievitazione dell'influenza delle gerarchie romane su Parlamento e governo ha corrisposto una mortificazione dell’autonomia responsabile del laicato. Dal Familiy Day al referendum sulla fecondazione assistita mi pare che l’associazionismo si sia attivato solo se convocato dall’alto. La sua ostentata ricomposizione unitaria è stata pagata al prezzo della sua eterodirezione e del depotenziamento di quell’associazionismo, Azione Cattolica in primo luogo, che aveva rappresentato il vivaio delle migliori vocazioni politiche. Per tacere delle storiche espressioni del cattolicesimo sociale, come Cisl e Acli, che non mi pare scoppino di salute se paragonate al loro glorioso patrimonio storico e ideale.

 

Il card. Bagnasco ha aperto la Summer school delle fondazioni Magna Carta (di Quagliariello) e Italia protagionista (di Gasparri), “organiche” al Pdl, con una lectio magistralis su Chiesa e politica. Non le è sembrato inopportuno?

Mi ha sorpreso sia perché in contrasto con la cura per una nitida distinzione tra Chiesa e parti politiche – distinzione che, almeno in punto di teologia e magistero, è patrimonio certo e consolidato – sia perché, in quella stessa sede, il presidente della Cei ha ribadito tale distinzione, sia infine perché mi pare che quella specifica formazione politica, per tacere del suo leader maximo, non brilli per affidabilità ed esemplarità morale. Un tempo, quand’anche si appannava la chiarezza delle distinzioni, quantomeno operava una misura di prudenza, il senso delle opportunità.

 

In quella lectio magistralis, Bagnasco ha bocciato le «mediazioni» e sottolineato di nuovo la centralità dei «principi non negoziabili», che come tali sono sottratti alla mediazione della politica. Non le sembra che così, da un lato, si diminuisca il ruolo dei laici impegnati in politica e dei cattolici-democratici in particolare, che della laicità e della mediazione hanno fatto sempre le loro bussole, e dall’altro si legittimi ulteriormente il centro-destra apparentemente più incline, perlomeno a parole, ad assecondare le gerarchie su questo fronte?

Il rapporto tra principi etici e mediazione politica è complesso. A mio avviso la mediazione, cosa diversa dal compromesso, è attività immanente all’azione politica. La politica è essenzialmente attività pratica, non è disputa intorno alle essenze. È vero tuttavia che, nel concreto delle mediazioni e delle scelte, si può dare un grado maggiore o minore di coinvolgimento dei principi etici. Non credo però che sia un semplice problema di oggetto, di materia. Come se alcune questioni fossero eticamente dense ed altre no. Troppo facile. Il bello e il difficile della politica e dell’etica specificamente politica è coniugare principi e prassi. In concreto fare i conti con il pluralismo delle concezioni etiche che abitano le nostre società, con la laicità delle istituzioni politiche, con la regola del consenso che presiede alle decisioni collettive nei regimi democratici. Il politico non può ridursi a predicatore che si contenta di proclamare i principi nella loro astratta purezza ma deve, per quanto possibile, insediarli nell’ethos della polis. A destra la si fa facile, si fa il verso alla Chiesa, ci si rapporta ad essa in termini strumentali, la si concepisce quale instrumentum regni. A sinistra si deve ragionare e discutere con compagni di viaggio che, su certe questioni, la pensano diversamente. Ma mi pare approccio più serio, più onesto e, a consuntivo, più utile alla politica e alla stessa Chiesa, altrimenti tentata di concepire se stessa come potere tra i poteri e di illudersi che la società sia cristiana. Un’illusione fuorviante, che ne allenta la tensione evangelizzatrice.

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