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In mezzo alla zizzania «matura il grano dorato». I tesori delle religioni contro l’avanzata fondamentalista

Tratto da: Adista Documenti n° 72 del 08/10/2011

DOC-2382. MADRID-ADISTA. Era, quest’anno, dedicato al fenomeno dei fondamentalismi il tradizionale Congresso di Teologia dell’Associazione di Teologi e Teologhe Giovanni XXIII, svoltosi dall’8 all’11 settembre nella sala conferenze del sindacato di origine comunista Comisiones Obreras a Madrid (una sede diventata anch’essa tradizionale, da quando la gerarchia spagnola ha negato all’associazione ogni spazio in strutture religiose), con la partecipazione di settecento persone «di diversi continenti e di molteplici identità culturali, religiose ed etniche». Dopo il «ritorno alle radici» della fede operato lo scorso anno, quando il Congresso aveva scelto come tema la figura di Gesù di Nazareth - ponendo l’accento, proprio in funzione antifondamentalista, sull’«atteggiamento dialogante, accogliente, pacifico e rispettoso di Gesù rispetto ai dissidenti, agli avversari e persino ai nemici» (v. Adista n. 71/10) - la XXXI edizione del Congresso di teologia ha posto il dito nella piaga di un fenomeno, quello appunto dei fondamentalismi, «sempre più diffuso» e invasivo: «l’espressione più significativa dell’incapacità degli esseri umani di vivere in armonia in mezzo alla diversità», come si legge nel Messaggio conclusivo. Rivolgendo in particolare l’attenzione ai fondamentalismi religiosi, il Congresso ha evidenziato come nella Chiesa cattolica, secondo quanto afferma ancora il Messaggio finale, il fondamentalismo si canalizzi «solitamente attraverso movimenti neoconservatori, impegnati a portare avanti la restaurazione ecclesiastica fino all’estremo, e non poche iniziative intolleranti della gerarchia, che minimizzano, e persino negano, aspetti fondamentali del Concilio Vaticano II e condannano il lavoro dei teologi, delle teologhe e dei movimenti rinnovatori». Iniziative come quelle che hanno avuto luogo in occasione della recente Giornata Mondiale della Gioventù, «che ha offerto un’immagine autoritaria e patriarcale della Chiesa, aliena ai problemi reali dei giovani, favorendo l’esaltazione del pontefice fino alla papolatria, una delle più nitide espressioni del fondamentalismo».

Parole, queste, rispetto a cui non è mancata qualche critica, come quella che lo scorso 11 settembre, nel suo blog, ha espresso il direttore di Religión Digital José Manuel Vidal, definendo il comunicato più «di trincea» che «di frontiera», soprattutto per i suoi riferimenti critici alla Giornata mondiale della Gioventù (ridurla «a una mera espressione di “papolatria” mi pare ingiusto, oltre che semplicistico») e alla negazione di aspetti fondamentali del Vaticano II da parte della gerarchia (fortunatamente, secondo Vidal, vi sono molti esponenti della gerarchia che «restano fedeli al Concilio dell’aggiornamento»). Riferimenti di cui Vidal attribuisce la responsabilità al segretario generale dell’Associazione Juan José Tamayo, che, nel suo intervento sul dialogo interreligioso come alternativa ai fondamentasmi (dialogo che non può certo limitarsi a una coesistenza più o meno pacifica ma è chiamato a fare un passo oltre, verso «la convivenza, la comunicazione fluida, la relazione simmetrica, l’interazione tra le religioni», la loro alleanza in vista della costruzione di una società giusta e fraterna, secondo un principio di massima inclusione), non aveva mancato di denunciare la presenza dei fondamentalismi «ai vertici delle diverse istituzioni, specialmente quelle religiose», evidenziando come, nel cattolicesimo, il papato sia «l’istituzione fondamentalista per eccelenza» e come il Vaticano sia «una delle incarnazioni più patologiche del cattolicesimo nella storia». 

Da qui l’attacco di Vidal a Tamayo, il quale, secondo il direttore di Religión Digital, «non dovrebbe impregnare con le sue posizioni il Messaggio dell’Associazione dei Teologi Giovanni XXIII. Anche solo per fedeltà alla memoria dei suoi ultimi tre presidenti: Enrique Miret, José María Díez Alegría e Julio Lois. Tutti e tre liberi, ma inclusivi».

Di seguito l’intervento tenuto a Madrid da Giovanni Franzoni e, in una nostra traduzione dallo spagnolo, il Messaggio conclusivo del XXXI Congresso di teologia. (claudia fanti)

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