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L’altra verità

- Tibhrine: due nuove testimoni accusano i servizi segreti algerini della morte dei monaci trappisti

Tratto da: Adista Contesti n° 75 del 15/10/2011

Tratto dal settimanale cattolico francese La vie (15 settembre 2011). Titolo originale: Tibhirine: de nouvelles révélations accusent les services secrets algériens

È l’ultima immagine del film Uomini di Dio: i monaci di Tibhirine che si confondono con l’oscurità e la neve. Sono appena stati prelevati da un gruppo armato. È la notte tra il 26 e il 27 marzo del 1996. I media evocano subito la pista islamica, ma chi sono veramente i rapitori? Cosa è successo fino al ritrovamento delle loro teste il 30 maggio? Il giornalista Jean-Baptiste Rivoire, redattore capo aggiunto del programma Spécial Investigation su Canal +, ha prodotto due nuove testimonianze che accreditano la tesi di un coinvolgimento diretto dei servizi segreti algerini e mettono in dubbio l’ipotesi di abuso militare che si è imposta da due anni a questa parte. L’insieme delle indagini è presentato in un libro intitolato Le Crime de Tibhirine, révélations sur les responsables (La Découverte, in libreria dal 22 settembre). Una lunga inchiesta giudicata seria da p. Armand Veilleux, numero due dell’ordine dei trappisti, dal quale dipendevano i monaci all’epoca della tragedia, che ha deciso di diffonderla in occasione del capitolo generale del suo ordine, ora in svolgimento a Roma.

 

Perché si è imposta la tesi di un abuso?

Il 25 giugno del 2009, il generale François Buchwalter, addetto militare di Francia in Algeria all’epoca dei fatti, confida quest’ipotesi al giudice Marc Trévidic, incaricato del caso. Buchwalter ha raccolto l’informazione da un amico ufficiale algerino, che l’ha avuta da suo fratello, pilota dell’esercito che avrebbe partecipato all’operazione. In occasione di un’esercitazione in elicottero, i militari avrebbero visto un bivacco in una zona off limits. Ne avrebbero dedotto che si trattava di un gruppo armato e avrebbero aperto il fuoco. I soldati sarebbero poi atterrati per recuperare i corpi, e li avrebbero quindi decapitati per far credere a una strage di matrice islamica. Destinata a rimanere confidenziale questa testimonianza appare su Le Figaro.  La tesi scuote seriamente l’ipotesi ufficiale dell’assassinio da parte di islamici fino ad allora in vigore. Il film Uomini di Dio vi fa allusione, con una scena che mostra alcuni militari sorvolare il monastero di Tibhirine in elicottero. Questo scenario permette di spiegare perché i corpi dei monaci non sono stati ritrovati: avrebbero rivelato tracce dei colpi di mitragliatrice.

 

Quale tesi sostiene questo documentario?

Il gruppo di rapitori sarebbe stato diretto da agenti dei servizi segreti algerini infiltrati in seno al movimento islamista. Il commando si componeva di una maggioranza di “veri” islamisti, che non venivano dalla regione di Tibhirine, ma guidato da agenti infiltrati dell’esercito. Questa tesi è suffragata da due nuove testimonianze di ex agenti della polizia politica algerina (Drs) secondo i quali questo falso “rapimento islamista” sarebbe stato ordinato dai generali Mohamed Médiène e Smaïn Lamari, all’epoca a capo dei servizi segreti. Un’operazione volta a spaventare i monaci per indurli a lasciare il Paese, a screditare al contempo gli islamisti, mirando anche a ottenere il sostegno del governo francese facendo credere che le autorità militari algerine avevano liberato gli ostaggi. Questo era il piano di partenza.

 

Chi sono questi due nuovi testimoni?

Il primo, Karim Moulaï, era un agente informativo con base a Ben Aknoun. Egli afferma di avere i nomi degli agenti dei servizi di informazione che hanno ucciso i monaci, perché all’epoca lavorava con loro. Nel documentario parla a viso scoperto. Esiliato dal 2002, attualmente vive a Écosse, lontano da sua moglie e dai suoi figli che non sono stai autorizzati a lasciare l’Algeria. Si è espresso pubblicamente per la prima volta su un canale salitellitare in arabo, nel 2010, per riferire delle circostanze della morte per mano dei servizi segreti del rettore di una facoltà algerina. Non è che in un secondo tempo che si è messo a raccontare ciò che sapeva sui monaci. Il secondo testimone avrebbe addirittura fatto parte del gruppo di rapitori. Ha fornito dei dettagli sui primi giorni di prigionia. La sua testimonianza appare nel documentario sotto forma di ricostruzione perché ha voluto rimanere anonimo.

 

Questa tesi è nuova?

È stata già sostenuta in un parere concesso a Libération, nel 2002, dal maresciallo Abdelkader Tigha. Questo ex membro dei servizi di informazione, rifugiato in Olanda, affermava che il rapimento dei monaci era stato «organizzato al Centro territoriale di ricerche e indagini (Ctri) di Blida, alle dipendenze della Direzione del controspionaggio». Le due testimonianze evidenziate dal documentario confermano questa dichiarazione, con una leggera differenza. All’epoca, Abdelkader Tigha aveva precisato che i monaci avevano passato la prima notte a Blida, cosa che i due nuovi testimoni invece escludono. L’ipotesi di un coinvolgimento dei servizi segreti algerini è stata evocata anche in una nota redatta il 24 marzo del 1996 dal generale Rondot. Il numero due della Dst (Direzione di sorveglianza del territorio) si interroga a mezza bocca su una possibile manipolazione del Gruppo islamico armato (Gia). «Per troppo tempo  -  e per delle ragioni di ordine tattico - Djamel Zitouni [il responsabile islamista, probabile agente infiltrato, che deteneva i monaci] e i suoi gruppi hanno beneficiato di una relativa tolleranza da parte dei servizi segreti algerini». Su richiesta del giudice Marc Trévidic, questa nota è stata declassificata (resa pubblica), ma solo l’anno scorso.

 

Quale era lo scenario previsto inizialmente?

Secondo Karim Moulaï, si trattava di riprodurre quello che era avvenuto tre anni prima con gli sposi Thévenot. Al momento del loro rapimento, il 24 ottobre del 1993, i media francesi avevano immediatamente accusato gli islamisti. Tre giorni dopo Alain Juppé esprimeva il suo sostegno ai generali di Algeri, senza dubbio sotto la pressione dell’allora ministro dell’Interno Charles Pasqua. Il 31 ottobre la coppia veniva liberata con un assalto delle forze dell’ordine, secondo la versione ufficiale. Un’operazione di comunicazione speditamente condotta a beneficio delle autorità algerine.

 

Perché i servizi segreti avrebbero deciso di uccidere i monaci?

Fin dai primi giorni i media e il governo francese si interrogano su una possibile manipolazione. Di fronte agli scarsi progressi dell’inchiesta condotta dalle autorità algerine, la Dgse (servizi informativi francesi) invia il 25 aprile uno dei suoi rappresentanti per negoziare con Djamel Zitouni, senza sapere che si tratta di un agente infiltrato. Secondo Karim Moulaï, i suoi capi dell’intelligence non sapevano più che fare con i monaci. «Se li avessero lasciati ai servizi segreti, rischiavano di essere scoperti, se li avessero lasciati con Zitouni, la Dgse avrebbe rischiato di negoziare con lui», con l’inconveniente di scoprire il suo doppio gioco. Inoltre, i suoi capi si lamentavano che i frati cominciavano a dubitare del fatto che i rapitori fossero islamisti. Secondo Karim Moulaï i frati sarebbero stati uccisi «il 26 o 27 aprile», un mese prima del ritrovamento delle loro teste. È la prima volta che viene ipotizzata questa data.

 

I frati sono stati torturati?

Karim Moulaï lo dice esplicitamente nel documentario. L’esecuzione sarebbe stata affidata a un gruppo specializzato nella sparizione di ostaggi, i cui membri «bevevano e facevano uso di droghe» prima di portare a termine la loro «missione». Avrebbero dunque torturato i monaci prima di ucciderli. «È l’unico testimone a dire questa cosa», riconosce Jean-Baptiste Rivoire. «Ma ho voluto lasciare questa informazione, perché permette di capire che i corpi dei monaci non sono stati ritrovati, avendo i servizi segreti algerini un modo di torturare facilmente riconoscibile».

 

Quale peso dare a questa tesi?

Il caso dei monaci di Tibhirine ha già conosciuto diversi colpi di scena e la prudenza è quindi doverosa. Secondo gli elementi raccolti da Jean-Baptiste Rivoire, sembra accertato che i due testimoni abbiano fatto parte dei servizi segreti. Con la testimonianza di Abdelkader Tigha, sono ormai in tre a sostenere la stessa cosa. Tutti e tre sono stati impegnati nella lotta contro i fanatici islamici, facendo anche del lavoro sporco. Grazie ai loro vecchi lavori hanno imparato a mascherare la verità. Spiegano il loro desiderio di testimoniare con il disgusto per ciò che gli è stato chiesto di fare. Tigha et Moulaï corrono un rischio personale a mostrarsi. Allora errore o coinvolgimento diretto? Secondo l’avvocato delle famiglie, Patrick Baudouin, nessun elemento permette ancora di sbilanciarsi a favore di una o dell’altra ipotesi. Unica certezza ai suoi occhi: «La conferma della poca credibilità della versione del governo algerino incentrata sull’esecuzione dei monaci da parte degli islamisti».

 

Quali conseguenze sulla procedura giudiziaria in corso?

«Mi sembra che l’inchiesta che il giornalista Jean-Baptiste Rivoire ha condotto con ostinazione e coscienza vada di pari passo con l’indagine del giudice Trévidic e che l’una e l’altra si completino», confida Élisabeth Bonpain, sorella di fratel Christophe. «I pezzi del puzzle si aggiustano poco a poco. Dopo 15 anni, le lingue si sciolgono, molte persone coinvolte non ci sono più. Che ci sia un sussulto di coscienza?». Per la nipote di frate Paul, Françoise Boëgeat, «la stampa può aiutare a far emergere la verità, anche se ai nostri occhi il lavoro del giudice resta prioritario». Da quando Marc Trévidic ha ripreso il caso, nel 2007, dopo Jean-Louis Bruguière del polo antiterrorismo, si sono registrati notevoli progressi. Per due volte ha ascoltato il maresciallo Tigha. La logica vorrebbe che faccia lo stesso con Karim Moulaï. Secondo le informazioni di cui La Vie è in possesso, quest’ultimo è pronto a rispondere. L’audizione del secondo testimone “anonimo” risulta più complicata, poiché rischia di essere arrestato per aver partecipato al rapimento.

Inoltre, il giudice ha appena presentato una nuova richiesta di desecretazione delle note confidenziali. Spera di ottenere i rapporti quotidiani effettuati ad Algeri dalle autorità francesi. E in particolare quello relativo all’incontro tra l’emissario degli islamisti venuto a portare la cassetta attestante che i monaci erano ancora in vita. Secondo le informazioni in nostro possesso, Marc Trévidic progetta di riunire, in ottobre, dopo il rientro di p. Armand Veilleux da Roma, le famiglie dei frati uccisi. Vuole fare il punto sull’inchiesta e comunicargli la sua volontà di andare in Algeria in autunno. Un cambiamento che rischia di scontrarsi con l’inerzia delle autorità algerine. L’avvocato Baudouin spera che mutamenti futuri nel Paese permetteranno di accedere un giorno a nuove fonti di informazione. «Ciò che conta è che il dossier rimanga aperto fino quando non emerga la verità».

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