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Mediazione non negoziabile

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 83 del 12/11/2011

L’intervento del presidente dei vescovi italiani, il cardinale Angelo Bagnasco, al convegno delle associazioni cattoliche sul futuro politico dell'Italia a Todi lo scorso 17 ottobre, ha riproposto il concetto di «principi non negoziabili» come criterio di orientamento nelle opzioni politiche dei credenti: un criterio che era parso eclissarsi con l'uscita di scena del cardinale Camillo Ruini. Dopo una lunga trattazione dei problemi economici e sociali del Paese, svolta alla luce dei principi di libertà, solidarietà e sussidiarietà, propri dell'insegnamento sociale della Chiesa, il cardinale Bagnasco ha osservato: «Ma la giusta preoccupazione verso questi temi non deve far perdere di vista la posta in gioco che è forse meno evidente, ma che sta alla base di ogni altra sfida: una specie di metamorfosi antropologica.

... Sono in gioco, infatti, le sorgenti stesse dell’uomo: l’inizio e la fine della vita umana, il suo grembo naturale che è l’uomo e la donna nel matrimonio, la libertà religiosa ed educativa che è condizione indispensabile per porsi davanti al tempo e al destino. Proprio perché sono “sorgenti” dell’uomo, questi principi sono chiamati “non negoziabili”».

Il cardinale Bagnasco ha così ripreso e rilanciato l'impostazione dualistica del documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, l'ex Santo Uffizio, allora presieduto dal cardinale Ratzinger: Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica (24 novembre 2002). In quel documento, la Congregazione vaticana affermava che vi sono questioni politiche nelle quali sono in gioco «principi morali che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno», come il caso delle leggi civili in materia di aborto e di eutanasia, di diritti dell'embrione, di promozione della famiglia «fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso e protetta nella sua unità e stabilità, a fronte delle moderne leggi sul divorzio», a cui – precisa il documento – «non possono essere giuridicamente equiparate in alcun modo altre forme di convivenza, né queste possono ricevere in quanto tali un riconoscimento legale». L'elenco dei principi non negoziabili prosegue col richiamo della libertà educativa e della tutela dell'infanzia da violenze e prostituzione. Più sfumato si fa il riferimento a «un’economia che sia al servizio della persona e del bene comune, nel rispetto della giustizia sociale», mentre quando affronta «il grande tema della pace», il documento prende le distanze dalla tentazione dell'«irenismo» e dal rischio di dimenticare «la complessità delle ragioni in questione».

Questa “asimmmetria” magisteriale tra questioni “negoziabili”, per così dire consapevoli della complessità della traduzione storico-politica dei principi evangelici, e questioni «non negoziabili», apparentemente da affermarsi in presa diretta tra etica (o addirittura religione) e politica, può risultare utile a proporre o promuovere un’opzione di schieramento (nei fatti, in tutto l'Occidente, verso il centrodestra), ma risulta assai più difficile, sia da vivere concretamente nell'agire politico, sia da fondare teoricamente. Difficile infatti capire quali effetti pratici concreti si proponga, sul piano politico-legislativo, l'elenco di principi non negoziabili riproposto dal cardinale Bagnasco. Escludendo la revisione della legge 194 (intenzione negata a suo tempo dallo stesso cardinale Ruini) o quella sul divorzio, resta in campo la faticosissima (e allo stato ricchissima di potenziali effetti indesiderati dal punto di vista cattolico) elaborazione (negoziazione...) della legge sul fine-vita, o il fuoco di sbarramento contro ogni forma di riconoscimento dei diritti delle famiglie di fatto (ma comunque non delle persone che ne fanno parte...). Un po' poco per configurare un vincolo di schieramento dei cattolici.

Ma è sullo stesso versante teorico, teologico-filosofico, che il concetto di «principi non negoziabili» appare di difficile fondazione. Non a caso, nel suo ammirato intervento al Reichstag (Berlino, 22 settembre 2011), lo stesso Ratzinger che aveva firmato la Nota del 2002, divenuto nel frattempo Benedetto XVI, ha osservato come «ciò che in riferimento alle fondamentali questioni antropologiche sia la cosa giusta e possa diventare diritto vigente, oggi non è affatto evidente di per sé. Alla questione come si possa riconoscere ciò che veramente è giusto e servire così la giustizia nella legislazione, non è mai stato facile trovare la risposta e oggi, nell’abbondanza delle nostre conoscenze e delle nostre capacità, tale questione è diventata ancora molto più difficile». Meglio, molto meglio, sia sul piano teorico che su quello pratico, una trasparente e responsabile mediazione, consapevole della complessità, portatrice di un sano e fecondo pluralismo.

* Senatore del Partito Democratico, già presidente nazionale della Fuci e vicepresidente del Meic

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