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Gli incerti passi del processo democratico

- Giampaolo Petrucci intervista p. Loris Cattani

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 5 del 11/02/2012

Ad oltre un mese dalle elezioni nella Repubblica democratica del Congo (v. Adista n. 97/11), la situazione è ancora instabile e i recenti focolai di violenza tra i sostenitori dei due candidati antagonisti (il presidente uscente Joseph Kabila e il candidato delle opposizioni Etienne Tshisekedi) non sembrano ancora sopiti. Intanto, la Chiesa cattolica – cha ha inviato circa 30mila osservatori a controllare lo svolgimento delle elezioni – ha fatto sentire la sua voce: l’arcivescovo di Kinshasa, card. Laurent Monsengwo Pasinya, ha denunciato che i risultati elettorali, pubblicati dalla Commissione elettorale nazionale indipendente (Ceni) e confermati dalla Corte Suprema di Giustizia (Csj), non sono «conformi né alla verità né alla giustizia», lasciando intendere la poca trasparenza e autonomia degli organismi istituzionali. In sostegno al cardinale sono arrivate le parole dei vescovi congolesi che hanno chiesto alle istituzioni del Paese «coraggio e verità» (v. Adista n. 8/12). Sull’instabile scacchiere congolese Adista ha posto alcune domande a p. Loris Cattani, missionario saveriano e animatore della Rete Pace per il Congo (www.paceperilcongo.it).
 
A che punto è il processo di pace nel Congo post elettorale?
Nell’est del Congo, in Kivu, dopo un apparente “tregua” del periodo pre-elettorale, da metà dicembre le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (Fdlr) hanno ripreso gli attacchi ai villaggi con maggiore intensità. A Kinshasa, invece, dopo una prima fase di violenze, sembra che ci sia ora una relativa calma. Si tratta, però, di una calma imposta grazie al dispiegamento delle forze armate in città, soprattutto a Limete, il quartiere di Tshisekedi. Non so sinceramente fino a che punto sia legittima questa pace. E fino a quando potrà durare.

Perché i dati pubblicati dalla Ceni sono stati contestati?
La contestazione dei risultati elettorali, sia delle presidenziali che delle legislative, era inevitabile e legittima, in quanto i risultati pubblicati non corrispondono alla realtà e alla verità delle urne. Due le cause: l’impreparazione tecnica e la frode elettorale.
Nel primo caso si tratta di irregolarità relative all’iscrizione degli elettori (doppioni, iscrizioni di minorenni, di militari e di non congolesi); ai ritardi nella preparazione e nella consegna del materiale elettorale; ai ritardi nell’affissione delle liste degli elettori e dei seggi elettorali (il giorno stesso delle elezioni, molte persone non trovavano il loro nome sulle liste e non sapevano dove andare a votare). Nel secondo caso, la frode elettorale è stata attuata, il giorno stesso delle elezioni, con l’immissione di schede elettorali precompilate e, in seguito, nei Centri Locali di Compilazione dei Risultati, mediante la falsificazione dei verbali dei risultati provenienti dai seggi elettorali, sottraendo voti a un candidato per aggiungerli ad un altro. Questa seconda anomalia è per lo più attribuita alla maggioranza presidenziale uscente.

Eppure gli organismi istituzionali preposti sono indipendenti.
È un fatto innegabile che la Ceni e la Csj abbiano agito sotto pressione della maggioranza di Kabila, che continua ad inviare alla Ceni, anche in questi giorni, liste di partiti e candidati ritenuti “desiderati” o “non desiderati” per la Camera dei Deputati. Il presidente della Ceni, Ngoyi Mulunda, sta addirittura minacciando di dimettersi.

Qual è il ruolo della Chiesa nel processo elettorale?
La Commissione di Giustizia e Pace della Chiesa congolese aveva inviato 30mila osservatori. Sebbene testimoni di irregolarità e frodi, tuttavia, a differenza dei rappresentanti dei partiti politici, per legge non possono disporre dei verbali originali, redatti immediatamente dopo lo spoglio dei voti. Quindi, la Chiesa non dispone di dati ufficiali propri. Le rimane, tuttavia, il dovere profetico della denuncia, come ha fatto il card. Monsengwo, e di esigere dagli organi competenti di ripristinare la “verità delle urne”.

Sembra che ognuno abbia la propria “verità” e, alla fine, si proclami presidente…
In tale situazione di irregolarità, non c’è da stupirsi se un candidato “perdente” si autoproclama “Presidente eletto”. Il problema è su quale base egli possa farlo: lo straordinario successo popolare dopo il suo ritorno dall’estero? L’innegabile mobilitazione dei seguaci scesi numerosi in strada? La constatazione unanime di irregolarità e brogli? Le proiezioni fatte a partire da un campione di risultati ottenuti in alcuni seggi elettorali? In realtà, senza avere il quadro completo dei “veri” risultati, è difficile sapere chi ha vinto e chi ha perso. L’unica soluzione è il riconteggio dei voti.
Intanto, il 20 gennaio, Tshisekedi ha affermato di assumere le funzioni di Presidente della Repubblica, ha dichiarato nulle le elezioni legislative, ha annunciato la formazione di un suo governo e che governerà per decreti legge fino alla formazione di un nuovo Parlamento mediante nuove elezioni legislative, da effettuarsi dopo un censimento generale della popolazione e dopo le elezioni locali.

Che scenari si profilano dopo questa decisione?
Se Tshisekedi intende dichiarare nulle le legislative, per coerenza, dovrebbe dichiarare nulle anche le presidenziali, perché entrambe si sono svolte nello stesso giorno. Inoltre, bisognerà attendere la reazione dei candidati dell’opposizione alle legislative, soprattutto quelli del partito di Tshisekedi (l’Udps), ma anche quelli di altri partiti che hanno appoggiato la candidatura di Tshisekedi. Visto che alla Presidenza c’è ancora Kabila, questi neoeletti saranno disposti a rinunciare al loro seggio in Parlamento per fedeltà a Tshisekedi? Anche fosse, la prospettiva di un governo Tshisekedi senza Parlamento, costretto a governare per decreti legge e senza il sostegno di un esercito, non è certo rosea.

Quali vie d’uscita? Cosa farà la differenza?
C’è un elemento nuovo di cui tenere conto: la diaspora congolese sparsa in tutto il mondo. Per essa, in generale, Kabila è il segno dell’occupazione ruandese e dello sfruttamento illegale delle risorse naturali, che hanno provocato grandi tragedie nell’est: stupri, omicidi, miseria ed ogni tipo di violazioni dei diritti umani. Inoltre Kabila è colui che oggi ha rubato i voti del popolo. Quindi, deve assolutamente lasciare il potere, prima di esserne privato con la forza, allo stesso Tshisekedi. La diaspora ha scelto come strategia di lotta le manifestazioni di piazza in molte città del mondo, cercando di fare pressione sui governi dei Paesi in cui è presente, affinché abbandonino Kabila. La diaspora sogna una rivoluzione congolese ispirata alla “primavera araba” che ha coinvolto il Nord Africa, ma non può contare sul sostegno dell’esercito (come in Egitto), o della comunità internazionale (come in Tunisia e Libia).

Perché questo silenzio della comunità internazionale?
Rispetto alle elezioni del 2006, sembra che la comunità internazionale abbia lasciato correre. Gli esperti degli Stati Uniti, arrivati all’inizio di gennaio per supportare la Ceni nell’elaborazione dei risultati delle legislative, si sono trovati davanti ad una situazione complicata. Hanno preferito ripartire, per non cadere nella trappola della complicità. Comunque, se nessun Paese straniero ha mandato ufficialmente messaggi di auguri al Presidente “rieletto”, è altrettanto vero che nessuno di loro ha ufficialmente riconosciuto la vittoria del candidato “perdente”. Probabilmente, con il suo silenzio, la comunità internazionale ha optato per la continuità e la stabilità, necessarie per continuare un certo tipo di relazioni politiche, economiche e strategiche.
Per quanto riguarda la cosiddetta “stabilità”, soprattutto all’est, c’è un elemento importante da tenere in conto: il Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo, l’ex milizia di Laurent Nkunda che, trasformato in partito politico, è attualmente parte della maggioranza presidenziale. Nell’est del Congo, il Cndp ha condizionato il voto a favore della maggioranza uscente e difficilmente accetterà una “sconfitta” di Kabila, pena un’ennesima “ribellione” a partire dal Kivu.

Data la situazione, cosa speri per il futuro prossimo del Congo?
Qui è in discussione la “legittimità” di un presidente, anche se, per il momento, è difficile tradurla in cifre. Kabila non gode di quel consenso popolare che pensa di avere. Poi c’è il problema delle elezioni legislative di cui la commissione elettorale al momento non ha ancora pubblicato i risultati provvisori. Se i risultati pubblicati saranno vicini alla verità delle urne, si aprirebbe forse uno spiraglio per il futuro, nel senso che almeno ci sarebbe una Camera dei Deputati abbastanza rappresentativa del popolo, con un’opposizione rafforzata dall’ingresso di nuovi deputati vicini a Tshisekedi. Sarebbe già un grande passo avanti rispetto alla precedente legislatura. Potrebbe nascere un governo di maggioranza con la partecipazione anche di alcuni componenti dell’opposizione. Tale governo dovrebbe continuare il processo elettorale (elezioni provinciali, comunali e locali), evitando nuove irregolarità e brogli; dovrebbe poi riformare la Ceni e la Corte Suprema di Giustizia; dovrebbe infine istituire una Corte Costituzionale indipendente e riformare i servizi di sicurezza. In questa prospettiva, la democratizzazione del Paese si inserirebbe in un cammino progressivo e costante che potrebbe portare il popolo congolese fuori dalla crisi.

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