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Tre metri sotto terra

- Nel conflitto globale sull’acqua assumono sempre maggiore centralità i sistemi idrogeologici sotterranei

Tratto da: Adista Contesti n° 12 del 31/03/2012

Tratto dall’agenzia di informazione sull’America Latina Alai-amlatina (16 marzo 2012). Titolo originale: La centralidad del agua en la disputa global por recursos estratégicos

Due visioni opposte si fronteggiano nella disputa globale sull’acqua. La prima, fondata sulla logica della sua mercificazione, pretende di convertirla in una commodity, soggetta a una politica dei prezzi sempre più dominata dal processo di finanziarizzazione e dal cosiddetto “mercato dei features”. Questa visione trova nel Consiglio Mondiale dell’Acqua, composto dai rappresentanti delle principali imprese private dell’acqua che dominano il 75% del mercato mondiale, la sua articolazione più dinamica. Il Secondo Forum Mondiale dell’Acqua (2000) dichiarò, nel documento finale, che l’acqua non è più un “diritto inalienabile”, ma una “necessità umana”. Il che giustifica, dal punto di vista etico, il processo in corso di deregolamentazione e privatizzazione di questa risorsa. L’ultima riunione realizzata con il nome di IV Forum Mondiale dell’Acqua, nel 2009 a Istanbul, ha ratificato questa posizione. Alleato importante del Consiglio Mondiale dell’Acqua è la Banca Mondiale, principale sponsor delle imprese miste, pubblico-private, per la gestione locale di questo bene.

La seconda visione considera l’acqua un diritto umano inalienabile. Questa prospettiva è difesa da un ampio ventaglio di movimenti sociali, attivisti e intellettuali articolati in un movimento globale per la difesa dell’acqua che propone la creazione di spazi democratici e trasparenti per la discussione di questa problematica a livello planetario. Questo movimento, che non riconosce legittimità al Forum Mondiale dell’Acqua, ha elaborato una dichiarazione alternativa alla riunione di Istanbul, rivendicando la creazione di uno spazio di dibattito globale sotto l’egida dell’Onu, riaffermando la necessità della gestione pubblica di questa risorsa e il suo essere diritto umano inalienabile.

L’Assemblea Generale dell’Onu ha approvato nel 2010 la proposta della Bolivia, sostenuta da altri 33 Paesi, di dichiarare l’accesso all’acqua potabile un diritto umano. Come prevedibile i governi di Usa, Canada, Australia e Regno Unito si sono opposti, il che, per Maude Barlow, ex assessora dell’acqua del presidente dell’Assemblea Generale dell’Onu, fa perdere peso politico e praticabilità a questa risoluzione. Questi Paesi e le loro forze politiche conservatrici sono il grande ostacolo. Il pericolo per gli operatori dell’acqua è grande, certo: un riconoscimento dell’acqua e dei servizi igienico-sanitari come diritto umano porrebbe limiti ai diritti delle grandi corporazioni sulle risorse idriche, diritti consacrati dagli accordi multilaterali di commercio e investimento.

I governi latinoameriani stanno facendo passi avanti nel riconoscimento dell’acqua come diritto inalienabile e nell’affermazione della sovranità e della gestione pubblica di queste risorse. La Costituzione dello Stato Plurinazionale della Bolivia riconosce, all’articolo 371, che «l’acqua costituisce un diritto fondamentale per la vita, nel segno della sovranità del popolo»; stabilendo poi che «lo Stato promuoverà l’uso e l’accesso all’acqua sulla base di principi di solidarietà, complementarietà, reciprocità, equità, diversità e sostenibilità». Certo, la disputa per l’appropriazione e il controllo dell’acqua acquisisce dimensioni che vanno al di là degli interessi commerciali delle imprese transnazionali, ponendosi come elemento fondamentale nella geopolitica mondiale. È chiaro che il pianeta necessita urgentemente di una politica globale per invertire la tendenza del processo di disordine ecologico che, allo stesso tempo, accelera la dinamica di desertificazione in alcune regioni e in altre incrementa i fenomeni di inondazione dei fiumi torrenziali. Le conseguenze devastanti che il degrado dell’ambiente sta provocando e la situazione globale che tende ad aggravarsi mettono in discussione la nozione stessa di sviluppo e civiltà.

Le falde acquifere e la preservazione dell’ecosistema

Da molto tempo, le inchieste idrologiche dei cicli globali dell’acqua hanno dimostrato che il 99% dell’acqua dolce accessibile del pianeta si trova nelle falde acquifere di acqua dolce, visibili nei fiumi, nei laghi e nelle calotte di ghiaccio. Queste acque costituiscono sistemi idrici dinamici e sviluppano propri meccanismi di rinnovamento che dipendono, fondamentalmente, dalle piogge. Parte di queste si infiltra nelle rocce sottostanti e si deposita sotto la superficie, nelle cosiddette falde. Dipendendo dalle dimensioni e dalle condizioni climatiche in cui sono ubicate, il periodo di rinnovamento oscilla tra giorni e settimane (nelle rocce carsiche), o tra anni e millenni se si tratta di grandi conche sedimentarie. Nelle regioni in cui il rinnovamento è molto limitato (come nelle zone aride del pianeta) l’acqua sotterranea può essere considerata come “non rinnovabile”.

Le falde e le acque sotterranee, fanno parte di un ciclo idrologico il cui funzionamento determina una complessa interrelazione con l’ambiente. Le acque sotterraneee sono un elemento chiave per molti processi geologici e idrochimici e hanno anche una funzione rilevante nella riserva ecologica, mantenendo la portata dei fiumi, essendo la base dei laghi e degli stagni e influenzando gli habitat acquatici che vi si trovano. Pertanto i sistemi acquiferi oltre a essere riserve importanti di acqua dolce sono fondamentali per la preservazione degli ecosistemi.

L’identificazione dei sistemi idrogeologici è un requisito di base per ogni politica di sostenibilità e di gestione delle risorse idriche che voglia far sì che il sistema continui a funzionare e, secondo le nostre indagini, è imprescindibile per un’analisi geopolitica che cerchi di porre in evidenza elementi strategici nella disputa per il controllo e l’appropriazione delle acque.

Là dove ci sono grandi riserve idriche come la conca del Congo, l’Amazzonia, la falda del Guaraní o i grandi laghi dell’Africa centrale vivono popolazioni in crescita e ci sono forti conflitti etnici e religiosi. Inoltre molti Paesi di queste regioni si trovano sotto la pressione del sistema finanziario internazionale che cerca di instaurare una gestione neoliberista delle risorse idriche e che considera le strutture di trattamento dell’acqua, di riciclaggio e di costruzione di sistemi che evitino la contaminazione delle falde, spese superflue. Si tratta di un processo violento di espropriazione e privatizzazione della risorsa naturale più importante per la vita. Oltre alla centralità dell’acqua potabile per il consumo umano, è necessario sottolineare anche l’importanza vitale di questa risorsa per l’agricoltura, che influenza direttamente la sovranità alimentare, e per il processo industriale.

Le maggiori falde d’Europa si trovano nella regione euroasiatica: si distingue per le sue dimensioni la conca russa, più vicina alla regione polare. L’Europa occidentale ha solo la conca di Parigi, di media portata. In quasi tutti i casi, le riserve d’acqua d’Europa hanno problemi di qualità, cosa che ha incrementato drasticamente il consumo di acqua in bottiglia divenuta un bene obbligatorio nel paniere del consumo familiare. L’Europa, in proporzione, registra il tasso più alto a livello mondiale di estrazione d’acqua per consumo umano: sul totale che estrae più del 50% è utilizzato dalle comunità municipali, circa il 40% si destina all’agricoltura e il resto si consuma nel settore industriale.

L’Asia dipende dalle grandi falde acquifere del nord della Cina e della Siberia. Uno dei casi più gravi è l’India che insieme agli Stati Uniti ha uno dei tassi più alti di estrazione di acqua sotterranea del mondo.

L’America del Sud ha tre grandi falde acquifere: la conca dell’Amazzonia, la conca del Marañón e il sistema acquifero Guaraní che sembra un “mare sotterraneo” di acqua dolce che si estende sotto la superficie di quattro Paesi del Cono Sud: Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay. Per il volume delle riserve di queste falde e per la capacità di rinnovamento di queste acque, l’America del Sud rappresenta la principale riserva di acqua dolce del pianeta.

Le regioni più critiche, a causa del fatto che hanno un rinnovo limitato di acque (meno di 5 mm di piogge all’anno), sono il nord Africa, nella regione desertica del Sahara, l’India, l’Asia centrale, gran parte dell’Australia; la frangia desertica che va dalla costa peruviana fino al deserto di Atacama, in Cile;  la regione nord del Messico e gran parte della regione centro-ovest degli Stati Uniti. In queste zone, l’acqua può essere considerata una risorsa non rinnovabile. L’Africa subsahariana, il sudest asiatico, l’Europa, i Balcani, la regione nord dell’Asia e la regione nord occidentale dell’America del Nord registrano livelli moderati di rinnovo dell’acqua, tra i 50 e 100 mm all’anno. La regione di maggior rinnovo è l’America del Sud dove in quasi tutto il territorio subcontinentale si registrano precipitazioni di 500 mm all’anno, cosa che costituisce il principale fattore di approvvigionamento dei sistemi acquiferi della regione. Questa altissima capacità di rinnovamento delle acque superficiali e sotterranee è fondamentale non solo per il rifornimento di acqua dolce, ma anche per la preservazione e la riproduzione dei sistemi ecologici e di biodiversità della regione.

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