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A VALLE DI BELO MONTE

Tratto da: Adista Documenti n° 18 del 12/05/2012

Vivo da dodici giorni a bordo della barca “Teresinha”. Sto visitando le comunità dell’interno di Porto de Moz. Non c’è accesso a Internet e non c’è neppure il telefono. Fa un bene enorme restare di tanto in tanto privi di queste comodità. Si ha l’impressione di vivere su un altro pianeta. Ma le persone care che incontro durante il viaggio, persone che da decenni conosco e amo, sono la prova che mi trovo ancora sul pianeta e sulla “mia terra”, lo Xingu.

La prima volta che ho fatto rotta verso le acque dei fiumi e dei laghi di Porto de Moz è stato nel gennaio del 1968. Ricordo i progenitori delle persone che ora mi abbracciano. Rivedo in molti volti i tratti di quelli dei nonni. Un tempo le famiglie venivano a remi. Oggi la barca a motore riduce i tempi del viaggio. Anche così bisogna affrontare, a volte per ore, un sole bollente o piogge torrenziali.

L’incontro con me, con me in quanto vescovo, segue sempre lo stesso schema. Ha Inizio con abbracci, canti, poesie, applausi. Un ambiente festoso e rilassato, senza formalità, etichette e protocolli. Mi sento a casa. «Voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8). Anche il vescovo è un fratello! È in queste occasioni che mi sento più realizzato come pastore, in mezzo a questa gente che amo e che – lo so  – mi ama. Tutti ci conosciamo. Questa è una delle più belle caratteristiche delle Comunità ecclesiali di base. Non vi sono estranei.

Mi interessa per prima cosa ascoltare il popolo, sentire la sua storia, essere informato sulle speranze e le angosce, sui successi e i fallimenti. Sono racconti allegri, storie di colore, aneddoti che condividono con me, ma anche episodi tristi, esperienze dolorose. È sempre per me fonte di ammirazione che questo popolo, malgrado una vita dura e penosa, non perda mai l’allegria. Che sappia sorridere! E che sorriso limpido, spontaneo, accattivante! Nulla di artificiale, solo per far contento il vescovo. Parlano della sala comunitaria che sono riusciti a costruire, della cappella che hanno pitturato, delle riunioni settimanali, del culto domenicale e della novena che non hanno mancato di celebrare. Riferiscono anche problemi familiari. Qualcuno denuncia l’invasione di barche che rubano il pesce, anche nell’epoca in cui vengono deposte le uova. Qualcun altro riferisce con orgoglio delle esperienze delle Riserve estrattive comunitarie, ma si lamenta dell’Ibama (Istituto brasiliano dell’ambiente, ndt) che fa tanti problemi nel caso venga presa una tartaruga mentre fa finta di niente di fronte allo scandalo del furto di legname e della deforestazione e ad altre aggressioni all’ambiente.

Passo, quindi, dal ruolo di ascoltatore a quello di interrogato. Giovani e adulti mi bombardano di domande di ogni tipo. Questioni interne della comunità, del settore, della parrocchia, ma anche della congiuntura economica e politica. In tutte le comunità, la domanda principale è su Belo Monte. Vogliono conoscere i dettagli, dal momento che il vescovo viene da Altamira, dal centro del mostruoso progetto.

«Vescovo, c’è ancora modo di impedire questa disgrazia? Sentiamo dire che stanno intervenendo a man bassa su Belo Monte. Dicono che il governo ha già speso molto e che l’opera non può essere più fermata».

Cosa devo rispondere? Decido di parlare chiaro, senza mezzi termini: «La verità è che un rullo compressore sta passando su tutti noi. La promessa che Lula mi ha fatto personalmente il 22 luglio del 2009, prendendomi per il braccio e dichiarando “Non imporrò dall’alto questo progetto in nessun modo”, era pura menzogna. Aveva detto questo per “tranquillizzare” il vescovo e liberarsi di questo religioso scomodo che aveva ricevuto in udienza. Eccome se il governo impone dall’alto Belo Monte! Altamira è diventata un caos in tutti i sensi. Nessuna rete fognaria come era stato promesso, che pure era una delle condizioni poste dall’Ibama per autorizzare l’inizio dei lavori. Non ci sono letti negli ospedali né posti a scuola, gli omicidi sono all’ordine del giorno, la prostituzione è alla luce del sole, al centro della città. Gli affitti di una semplice casa sono passati da 300 a 2.000 reais. I prezzi degli alimenti sono triplicati. Il traffico è una calamità. Incidenti ogni minuto. Che altro dirvi? Sono andato varie volte a vedere il cantiere dei lavori, o, piuttosto, avrei voluto vedere, perché non mi hanno lasciato entrare, ma da lontano ho potuto rendermi conto dei danni già irrecuperabili. Ho celebrato la messa con le comunità minacciate di sgombero. I grandi fazendeiros hanno ricevuto indennizzi, ma i piccoli produttori e agricoltori non sanno cosa sarà di loro e delle loro famiglie. Hanno distrutto un intero villaggio, Santo Antônio. Il personale della Norte Energia (la compagnia responsabile della costruzione della diga, ndt) è pieno di arroganza. Se il contadino non lascia la terra, la Giustizia emette ordine di sgombero e manda la polizia, poiché la Norte Energia considera tutta la regione una proprietà sua e gli abitanti, che vivono lì da generazioni, degli invasori».

«E dove va tutta questa gente?», mi chiedono.

«Vorrei saperlo anch’io. Promettono una soluzione, ma non dicono mai di che tipo, dove, quando, in che modo».

«E il popolo di Altamira?».

«Molti hanno il cuore a pezzi. Persino i commercianti e gli imprenditori, che prima incollavano sulle proprie auto adesivi con la scritta “Vogliamo Belo Monte”, oggi camminano a testa bassa. Chi può salvarsi contro la furia della Norte Energia? Ma Norte Energia è lo stesso governo, prima Lula, ora Dilma. Non c’è mai stato dialogo con il popolo di qui, né con gli indios, né con i ribeirinhos, né con gli abitanti della città. Il governo ha tradito il popolo che lo ha eletto e si fa beffe di chi difende gli indigeni, i ribeirinhos, i poveri che vengono colpiti dalla diga. Parla del prezzo da pagare per il progresso. Solo che questo prezzo sacrifica il nostro popolo e non le famiglie dei politici a Brasilia. Un terzo di Altamira verrà sommerso e il resto rimarrà ai margini di un lago putrido e infestato di zanzare portatrici di dengue e di malaria».

«E gli indios? È vero che sono a favore della diga?».

«Non sono a favore della diga. Sono a favore dei regali che ricevono. Moti di loro, che prima vivevano abbandonati dal governo e lasciati alla propria sorte, oggi si vedono pagare tutti i propri conti e ricevono alimenti di base, combustibile e altri benefici. Il governo che ha negato agli indios il diritto di esprimersi in audizioni previste dalla legge, ora si impegna a riempirli di denaro per chiudere loro la bocca. Prima si ingannavano gli indigeni con specchietti e chincaglieria, oggi si fanno piovere milioni di reais sui villaggi per paralizzare la lotta indigena e cooptare i leader. Il prezzo è assai alto. Non si uccide più l’indio a ferro e fuoco. Il denaro in abbondanza è la pugnalata traditrice nel cuore delle culture indigene e della loro organizzazione comunitaria. E il governo afferma a voce alta e con belle parole che nessun villaggio sarà allagato. Lo sarà sì! Quello che fa la Norte Energia è togliere l’acqua agli indios e ai ribeirinhos della Volta Grande do Xingu. E il popolo della Volta Grande vive e sopravvive con la pesca. E c’è altro. Che cosa accadrà a un villaggio a pochi chilometri dal cantiere in cui lavorano migliaia di uomini? È molto triste!».

«E noi? Che ne sarà di noi che abitiamo sotto la futura diga? O, come dice la gente di Brasilia, “a valle”?».

«Voi lo sapete cosa avviene quando si ostruisce un igarapé (corso d’acqua amazzonico, ndt). Sopra l’ostruzione cosa succede?».

«L’igarapé allaga la terra!».

«E sotto l’ostruzione?».

«L’igarapé si prosciuga!».

«Appunto. Il livello delle acque dello Xingu sotto la diga si abbasserà e quello degli igarapés e degli affluenti anche. Vi sono tratti in cui l’Amazonas entrerà nel letto dello Xingu e i nostri pesci che non sono abituati all’acqua argillosa dell’Amazonas moriranno».

Per un bel po’ di tempo il popolo si è limitato ad ascoltarmi senza farmi più alcuna domanda. E io ho cominciato a pensare: tutto va bene per fare affari. Ogni cosa diventa merce da sfruttare, da comprare e da vendere, da esportare e da consumare! Per questo gli esseri umani devastano e bruciano la foresta, sacrificano i fiumi, uccidono gli animali dei boschi, avvelenano le piante e gli uccelli. Gli esseri umani hanno perduto il loro cuore. Sono diventati insensibili, feroci, crudeli. Hanno deciso di assassinare la vita.

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