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Dopo il voto, la ricostruzione

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 19 del 19/05/2012

Il giorno le elezioni si ripete il solito cliché, con le consuete parole: disfatta, crescita, vittoria, boom, voto di protesta, voto politico o antipolitico, crisi di fiducia, stanchezza, astensionismo; e a seguire minuziose analisi delle percentuali, lette vuoi in positivo vuoi in negativo, a seconda della convenienza o della cecità partitica. Nulla di nuovo sotto il sole. Anche dopo questa tornata elettorale.

Lascio ai politologi veri e presunti le analisi. Nonostante tutto, a me pare che in realtà ben poco sia cambiato. Non che mi aspettassi chissà che. Gli eletti espressione dei “vecchi” partiti sono e restano espressione di una vecchia e logora politica di pura gestione del potere e di coagulo di interessi lobbistici; dei “nuovi” che si affacciano sulla scena è certamente apprezzabile la buona volontà, in taluni casi l’entusiasmo, che va ora verificato con precise scelte “politiche”, che costringono necessariamente ad uscire dal “micro” delle singole realtà locali per scontrarsi con il “macro” e con il “globale” che ha profondi riflessi e condizionamenti anche sulle più piccole realtà.

Resta il fatto che quasi ovunque il maggior partito è quello degli astensionisti; che, tra i votanti, la maggior parte si è nuovamente affidata e consegnata ai rappresentanti del partitismo tradizionale; che il “nuovo” (Movimento 5 Stelle) mi ricorda tanto il boom della Lega all’inizio degli anni ‘90: colletta di problemi e temi veri, portavoce però, più che del pensiero delle persone, dei loro movimenti intestinali! Se nella Lega erano prevalenti i temi economici di un particolare territorio, qui si è fatta incetta del malessere e talora dell’odio di tanta gente nei confronti dei partiti politici deludenti e fallimentari, incapaci di dare segnali veri di cambiamento, confinati nel disperato tentativo di sopravvivere entrando nel limbo di un governo di “tecnici”, schermo utile a coprire il loro vuoto di ideali e di idealità, di mancanza di autocritica, di apertura alla società civile di cui non sono più né collante né portavoce né collegamento. Non dirò che è antipolitica, perché da quasi vent’anni la politica è morta; è, di certo, giustificato antipartitismo. Ma né l’autarchia della Lega né la colletta degli “umori” popolari tramite web ritengo possano essere la soluzione. Men che meno il riferimento ad un blogger e istrionico capo-popolo che, sia da attore che da “politico”, ha mantenuto una continuità di proposta caratterizzata dalla capacità di esprimere in modo corrosivo, a volte sguaiato e privo di ogni rispetto per la persona, con l’arma del sarcasmo e dell’ironia, gli stessi contenuti “di pancia” della gente e delle sue chiacchiere da bar. Aspettando la prova dei fatti, cioè la capacità di amministrazione quotidiana di taluni esponenti del Movimento, certamente animati da buona volontà e onestà di fondo, che però si dovrà ora misurare con leggi, regolamenti, problemi concreti delle città.

Per ora si è comunque potuta rilevare la loro afasia sui grandi temi politici che restano comunque la “coperta corta” di ogni impegno politico. Finora si è vista una facile pars destruens, ma resta un fantasma indefinito la pars construens. Né nuovo né di poca importanza è il personalistico potere assoluto del comico sulla sua “formazione politica”: ancora il vecchio già vissuto e drammaticamente sperimentato.

Ma dove era la “gente”, la società civile, nel ventennio appena trascorso? Non è la stessa “gente” che ha trangugiato, sostenuto e spesso invidiato la congerie di scandali, malaffare, sprechi e inefficienze del nostro Paese, che l’hanno ridotto nella palude desolante e disperata di oggi? Chi ha sostenuto i politici al governo e i silenti oppositori? Come mai basta un controllo della Guardia di Finanza per aumentare a dismisura il numero di scontrini e ricevute fiscali? E la pletora di falsi invalidi certificati da medici compiacenti? E le raccomandazioni, i diplomi, le lauree comprate, le docenze universitarie riservate a parenti, amici ed amanti? Quanti hanno guardato con una certa invidia il potere del corruttore di Arcore? Chi ha sostenuto per anni la sua “politica” ad personam, l’insulto dell’avversario, il priapismo intellettuale e culturale, la sua corte di nani, lenoni ed escort? Non era questa la “società civile” certificata dai numeri elettorali?

Ecco, forse il “localismo” può essere l’ultima occasione non tanto per risolvere i grandi problemi globali che rendono impossibile la soluzione dei drammi quotidiani di moltissime persone, ma piuttosto per la prima, più grande e necessaria opera di ricostruzione: ricostruire l’ethos di un popolo che ha lasciato colpevolmente cancellare e dileggiare i valori che l’avevano sorretto e guidato per secoli.

* Parroco a San Giorgio in Castelceriolo (Al)

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