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SOLIDARIETÀ INFINITA: IL SENSO DEI SIRIANI PER LA PACE

Tratto da: Adista Notizie n° 28 del 21/07/2012

36795. DAMASCO-ADISTA. Forse è stato il timore – anzi il terrore – di una “libizzazione” del conflitto a convincere le parti che si fronteggiano in Siria a stringere per una soluzione fondata sul dialogo: se, da una parte, si può sperare che sia finalmente fecondo di pacificazione l’incontro del 9 luglio fra il presidente del Paese Bashar Al Assad e Kofi Annan in qualità di mediatore Onu e Lega Araba - entrambi l’hanno definito «franco e costruttivo» perché latore di «un nuovo approccio» che sarà sottoposto ai ribelli armati -, dall’altra, è possibile leggere nella stessa direzione la conversazione che una delegazione dell’opposizione siriana ha avuto a Mosca con il ministro degli Esteri Sergej Viktorovič Lavrov, denunciando come ormai il loro Paese sia diventato «l’arena di un conflitto internazionale» e come sia la violenza ad impedire qualsiasi colloquio fra governo e opposizione. Nel tutto, il presidente russo Putin ha fatto la voce grossa esprimendosi contro interventi esterni e diffidando l’Occidente dall’esportare la «democrazia dei missili e delle bombe»; ma l’ha al contempo mitigata asserendo che «non verranno siglati nuovi contratti per la fornitura di armi finché la situazione non si calmerà».

Intanto, a pagare il prezzo pieno sono stati i siriani. E «i siriani sono indignati». Sono indignati, afferma il responsabile per la sezione Asia-Africa di “Aiuto alla Chiesa che soffre”, p. Andrzej Halemba, perché «credono che l’Occidente insegua unicamente i propri interessi»: quando i siriani «leggono le notizie riportate nei nostri Paesi si sentono ingannati e usati». Ne riferisce l’agenzia Zenit (9/7) che afferma che un membro del clero locale, che vuole rimanere anonimo, ha affermato che i mezzi di comunicazione sono autori di «sfacciate manipolazioni»: «assistiamo a volgari falsificazioni che, senza vergogna, trasformano piccole proteste in numerose manifestazioni con centinaia, se non migliaia di dimostranti» e le immagini fornite sarebbero spesso fotomontaggi di materiale relativo alla guerra in Iraq.

Opporre solidarietà e riconciliazione

Indignati sì, ma anche molto decisi nella loro azione di resistenza alla guerra. Scrive l’agenzia Fides del 5 luglio che «una larga parte della società siriana rifiuta la guerra civile», tanto che «uomini e donne di buona volontà, di ogni etnia e religione», respingono «il settarismo e la logica perversa di un conflitto che ha costretto oltre due milioni di siriani ad abbandonare le loro città e villaggi e a cercare rifugio in zone più tranquille». È sorprendente «lo straordinario spirito di aiuto reciproco tra le differenti comunità che compongono il mosaico della società siriana. Famiglie cristiane, sfrattate dalle loro case a causa della violenza, sono accolte da famiglie musulmane; famiglie musulmane sunnite sono rifugiate in casa di alawiti; famiglie alawite e musulmane sono ospitate da cristiani. Valori come solidarietà e ospitalità prendono il sopravvento su violenza e odio». All’interno della società siriana, riferisce ancora la Fides basandosi su fonti locali, «sono nate iniziative spontanee di solidarietà verso le vittime del conflitto. Nella provincia di Damasco abitazioni private appartenenti a famiglie benestanti sono state immediatamente rese disponibili per gli sfollati. Moschee, chiese, sale di comunità hanno aperto le loro porte. Comitati popolari composti da volontari stanno lavorando duramente al servizio degli sfollati. Le barriere, anche quelle fra “governo e opposizione”, spesso enfatizzate dai mass media stranieri, sono saltate. In alcune aree i comitati popolari della Mezzaluna Rossa siriana, fedeli allo Stato, lavorano con i volontari dei comitati di coordinamento della rivoluzione, senza alcuna distinzione di religione, comunità o appartenenza politica. Gli aiuti raccolti da associazioni musulmane sono distribuiti ai cristiani e gli aiuti raccolti da associazioni cristiane sono distribuiti ai musulmani. Il dolore e la sofferenza unisce la Siria e la riporta alla sua struttura sociale originaria: quella basata su un patto sociale che trascende la configurazione politica».

Ed è proprio questo il clima che ha reso possibile la formazione del “Mussalaha”, il movimento interreligioso di riconciliazione nato in alcune città su iniziativa della società civile (v. Adista Notizie n. 25/12) e in crescita nella considerazione del Paese e della politica. Non a caso, 300 combattenti delle diverse fazioni armate dell’opposizione siriana a Homs hanno accettato di cedere le armi, di entrare sotto la tutela del Comitato popolare interreligioso “Mussalaha” e di continuare una “opposizione politica non armata”, riuscendo anche ad ottenere, agli inizi di luglio, un incontro con il ministro per la Riconciliazione nazionale, Ali Haidar, socialista e proveniente dal partito di opposizione Syrian Social Nationalist Party. Vi hanno partecipato, stando alle informazioni della Fides, «il governatore di Homs, Sheikh Ahmad, diversi leader tribali, rappresentanti di tutte le etnie e religioni, leader delle comunità arabe, personalità civili della città di Homs, leader della società civile, fra i quali Akram Qalish, il sacerdote siro-cattolico p. Michael Naaman, lo sceicco Habib Fendi, professionisti e semplici cittadini di buona volontà». È stato chiaramente affermato il rifiuto del settarismo e della violenza, e l’urgenza di promuovere un’opera di riconciliazione e di ricostruire il tessuto sociale basandosi sul perdono e la comprensione. Haidar ha risposto loro di voler mantenere «le porte aperte» a «tutti i siriani» e di aver pronta una strategia per la riconciliazione che presto sarà resa pubblica. (eletta cucuzza)

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