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La Costituzione e il manganello

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 29 del 28/07/2012

Lo Stato, e ancor più lo Stato democratico, è nato per disciplinare l’uso della forza, controllarlo e inserirlo in un percorso che rispetti criteri definiti di elaborazione e approvazione delle norme, processi trasparenti di attribuzione delle responsabilità (civili, penali e amministrative); metodi umani di esecuzione delle pene e riabilitazione dei condannati. Senza lo Stato, prima, era la legge del più forte a governare, e la vendetta il metodo più comune per farsi giustizia. Quello del controllo e della messa in regola della forza – insieme all’equilibrio dei poteri e al suffragio universale del voto per la scelta dei rappresentanti – è uno dei pilastri di ogni civiltà democratica. Che è venuta clamorosamente a mancare nel luglio del 2001, a Genova, in occasione del G8, quando le forze di Polizia si accanirono in maniera brutale su decine di inermi cittadini, italiani e stranieri, che – senza commettere reati – stavano manifestando il loro dissenso sulla manifestazione internazionale in corso. Giovani e meno giovani furono percossi, torturati, malmenati, insultati e umiliati. Per ore e ore, nella scuola Diaz e nella caserma dove furono poi condotti in stato d’arresto. Furono poi costruite prove false per tentare di motivare quell’azione di forza. Fu, come disse Amnesty International, «la più grande sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale, dal dopoguerra in poi».

Giorni fa la Corte di Cassazione ha definitivamente mandato in giudicato la sentenza di Appello, che riconosce le responsabilità di alcuni dirigenti di Polizia (per aver falsificato le prove) e sancisce la prescrizione del reato di lesioni gravi (ma non dei fatti) per gli agenti che quelle azioni hanno materialmente compiuto. La stessa Cassazione, dimostrando di non seguire alcun teorema politico, ha poi, in un altro processo, confermato la dura condanna di alcuni responsabili di devastazioni e saccheggi che nel frattempo avevano ricostruito su basi legali la loro vita e che invece dovranno scontare la pena.

Le vittime dell’aggressione nella Diaz (c’è chi ha gravi e permanenti problemi fisici a causa di quelle violenze), si ritengono parzialmente soddisfatte. Ed è chiaro: la verità giudiziaria è stata acclarata, sì, ma quella politica rimane un mistero. è possibile che le forze di Polizia abbiano agito in totale autonomia, senza una mente responsabile della strategia complessiva? Senza un comando superiore? Lo capiremo solo se qualcuno avrà il coraggio di dire tutta la verità.

Resta il fatto che l’immagine dell’istituzione Polizia è segnata in maniera profonda, negli stessi giorni in cui altri drammatici fatti (Aldrovrandi, Cucchi, Uva, solo per citare alcune persone indifese che negli ultimi anni, fermate da agenti hanno perso la vita in modo tragico e violento) fanno fatica ad emergere in pienezza di verità e giustizia.

Diciamolo con chiarezza: non può esistere un Paese civile in cui le Forze dell’ordine facciano paura ai cittadini, o, peggio, siano macchiate da ombre pesanti di illegalità violenta. Per questo le parole di solidarietà verso le vittime delle violenze della Diaz, e insieme di condanna di chi ha pensato e attuato quei pestaggi, devono essere di assoluta fermezza. Senza se e senza ma. Perché della Polizia abbiamo bisogno tutti, in particolare i più deboli, i meno garantiti, chi non può difendersi da solo contro ogni sopruso, nei fatti di grande criminalità come in quelli di ordinaria infrazione delle leggi.

La Polizia, ancor più dopo queste sentenze, deve recuperare un rapporto sano con i cittadini. Si organizzino incontri diffusi nelle scuole; corsi di formazione, dibattiti, interviste, campagne non finte o di puro marketing, ma reali e concrete, per far capire che l’istituzione (perché di questo si tratta) è sana e non può e non deve rappresentare uno spauracchio per la gente onesta.

Non si può accettare per definitiva una sorta di tenaglia che vede da una parte le aggressioni a poliziotti da parte di bande vestite di nero o di presunti tifosi esagitati, e dal lato opposto cittadini inermi che hanno paura, anche quando non hanno fatto niente, solo perché vedono una paletta alzata o un’auto a sirene spiegate.

Attribuzione di colpe e responsabilità siano più nette proprio perché parliamo di tutori dell’ordine. Ma ugualmente siano più intense le cure, l’attenzione, i percorsi di recupero del dialogo, della civiltà, della tutela dei diritti e persino della cortesia umana.

Anche su questa differenza di atteggiamento, penso, si debba giudicare ancora la distanza tra destra e sinistra in un Paese civile: tra chi vuole le Forze dell’ordine, e non solo in casi eccezionali, libere dai vincoli della legalità per incutere timore e rispetto – volenti o nolenti – e chi, invece, le vuole ancora più aderenti a quel giuramento ai principi della Costituzione, che, proprio nel nome della divisa che portano e s’impegnano ad onorare sempre, le mette al servizio dei cittadini e dello Stato.

* Giornalista

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