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Quelle speranze che attendono conferme

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 29 del 28/07/2012

Il Concilio di Firenze, che nel luglio del 1439, al termine di lunghe riflessioni e con il contributo di padri conciliari di notevole valore aveva solennemente proclamato il ristabilimento della comunione fra la Chiesa greca e la Chiesa latina, può essere considerato come un vero Concilio ecumenico, alla pari di quelli che lo avevano preceduto nel primo millennio, e le sue decisioni avrebbero dovuto essere tradotte in atto sia in Oriente che in Occidente. Di fatto, una solenne promulgazione della bolla conciliare nella chiesa di Santa Sofia di Costantinopoli confermò la piena adesione della Chiesa greca alle conclusioni del Concilio.

Tuttavia, passata la generazione dei padri che vi avevano partecipato, un’interpretazione alquanto distorta si impose progressivamente sia in Oriente che in Occidente. In Oriente, dove si diffuse la falsa convinzione che le sue conclusioni fossero state sottoscritte dagli orientali soltanto a causa dell’urgenza di ricevere un aiuto dagli occidentali per la difesa di Costantinopoli; e in Occidente dove si diffuse un’interpretazione secondo la quale l’Oriente non aveva sottoscritto le conclusioni del Concilio su un piano di parità, ma si era semplicemente sottomesso a Roma. La conseguenza fu che le decisioni dell’assemblea non trovarono applicazione concreta, e che nella memoria delle Chiese il Concilio di Firenze venne gradatamente oscurato.

L’impegno con il quale il popolo cristiano cattolico nelle sue diverse componenti e con diverse iniziative vuole celebrare il cinquantenario del Vaticano II si deve spiegare proprio alla luce di quanto è successo al Concilio di Firenze: non accada che, passata la generazione di coloro che vi hanno partecipato o che hanno vissuto da vicino la svolta epocale da esso decisa per la vita della Chiesa, la sua memoria venga gradatamente offuscata e che interpretazioni meno corrette abbiano a sminuire il valore dei nuovi orientamenti da esso offerti alla Chiesa cattolica.

Perché se è vero che il Vaticano II è in piena continuità con la fede e la vita della «grande Chiesa cattolica e apostolica», per usare il linguaggio dei primi secoli, tuttavia è anche vero che esso ha risposto con le sue decisioni ad attese spasmodiche presenti nella comunità cristiana, per cui molto spesso e con ragione lo si è accostato al concilio di Gerusalemme (Atti degli Apostoli, capitolo 15). Come il Concilio di Gerusalemme ha consentito alla Chiesa apostolica di aprirsi all’accoglienza dei pagani e dei credenti provenienti da tutte le nazioni, riconoscendo che la fede in Gesù Cristo e il battesimo erano sufficienti per l’appartenenza alla Chiesa e per la salvezza, così il Vaticano II, dopo duemila anni nel corso dei quali il cristianesimo si era sostanzialmente identificato con la cultura europea (incarnandosi nella filosofia greca, nel diritto romano, nelle tradizioni germaniche), apriva infine la Chiesa a una piena incarnazione nella vita e nella cultura di tutti i popoli, restituendole un’autentica cattolicità e rendendola veramente universale: piena continuità con il passato, con la fede apostolica trasmessaci attraverso le diverse generazioni, e insieme nuovi decisivi orientamenti nei confronti degli ebrei, dei cristiani non cattolici, dei credenti delle altre religioni, ma anche all’interno della comunità cristiana per quanto concerne la liturgia, la centralità della Scrittura, la collegialità e la sinodalità, il riconoscimento del valore e della centralità della persona umana e della sua coscienza.

Le decisioni del Concilio Vaticano II vennero accettate abbastanza pacificamente all’interno della comunità cattolica, ma esse non vennero conosciute e meditate a sufficienza, come mostra lo stupore ogni volta che si tiene un corso sui documenti del Concilio nei confronti della straordinaria ricchezza delle affermazioni in essi contenute. Proprio gli attuali tentativi di relativizzare il Concilio o di svalutarlo come Concilio puramente pastorale (espressione che in realtà mostra come esso volesse riguardare tutta la vita e la missione della Chiesa, con un atteggiamento non condannatorio ma dialogante e benevolo dei confronti di tutti) possono costituire l’occasione provvidenziale per riprendere in mano quei documenti e per recepirlo in una maniera nuova e più consapevole da parte di tutta la comunità cristiana. Anche l’incontro previsto per il 15 settembre a Roma [v. Adista Notizie n. 19/12] si inserisce in questa prospettiva, in piena sintonia con il cammino che tutta la comunità cristiana compie per rispondere, in continuità con il Concilio, alle nuove e grandi sfide del nostro tempo.

* Prete, docente di Ecclesiologia all'Istituto San Bernardino di Venezia, animatore della Fraternità degli Anawim

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