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ILVA, LETTERA APERTA DI PRETI E LAICI AI VESCOVI PUGLIESI: «DIFENDETE AMBIENTE E SALUTE»

Tratto da: Adista Notizie n° 30 del 01/09/2012

36811. TARANTO-ADISTA. La Chiesa rompa il silenzio ed intervenga sulla questione dell’Ilva di Taranto – l’acciaieria a rischio chiusura, per ordine della magistratura, a causa delle emissioni inquinanti che mettono a rischio la salute dei cittadini – invitando «ad uno sviluppo realmente rispettoso dell’ambiente». Lo chiedono, in una lunga lettera aperta indirizzata a mons. Francesco Cacucci, presidente della Conferenza episcopale pugliese, e a tutti i vescovi delle Chiese di Puglia, oltre 40 fra parroci, religiosi, cittadini e associazioni pugliesi, fra cui don Peppino Apruzzi (parroco di San Vito, Brindisi), don Gianluca Carriero (parroco di San Nicola, Brindisi), i francescani Ettore Marangi, Angelo de Padova e Francesco Zecca, Pax Christi Bari, la Commissione giustizia e pace e integrità del creato dei frati minori di Puglia-Molise, l’ordine francescano secolare di Puglia e la sua presidente Maria Ranieri, Chiara Trotta (presidente regionale della Gioventù francescana di Puglia), l’associazione PeaceLink, il magistrato (nonché collaboratore assiduo di Adista) Michele Di Schiena e Salvatore Lezzi (delegato del Meic di Puglia). Forse anche un modo per tentare di spezzare quell’apparente circolo fatto di donazioni dei Riva – i padroni dell’Ilva – alla Curia tarantina durante l’espiscopato di mons. Benigno Papa (dal 1990 al 2011) in cambio del silenzio della Chiesa sulle questioni ambientali che dura da anni e che sta emergendo anche nell’inchiesta giudiziaria di queste settimane (v. notizia successiva). Tanto che l’attuale arcivescovo di Taranto, mons. Filippo Santoro, ha scelto di intervenire sulla questione lo scorso 23 agosto: «Rinuncio volentieri a qualunque forma di donazione dell’Ilva, anche per opere caritative e per la lunga fila di disoccupati e di indigenti, che bussano quotidianamente alle porte della Diocesi. Sarebbe però auspicabile che l’Ilva metta in atto un rapporto positivo con la città, particolarmente a sostegno delle fasce più deboli e meno protette».

Nel messaggio per la Giornata mondiale della pace del 2010, Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato (v. Adista n. 1/10), Benedetto XVI, ricorda il gruppo nella lettera ai vescovi pugliesi, pone «“le minacce originate dalla noncuranza, se non addirittura dall’abuso, nei confronti della terra e dei beni naturali che Dio ha elargito” sullo stesso piano di quelle rappresentate da “guerre, conflitti internazionali e regionali, atti terroristici e violazioni dei diritti umani”», proclamando «necessario» che l’attività economica rispetti maggiormente l’ambiente e che «l’uso delle risorse naturali» sia tale che «i vantaggi immediati non comportino conseguenze negative per gli esseri viventi, umani e non umani, presenti e a venire». Già nel 1989, si legge ancora nella lettera, Giovanni Paolo II, in visita all’Ilva di Taranto, denunciava che, in ordine all’emergenza ecologica, «il campanello di allarme è già scattato, anche qui a Taranto. Occorre ora far sì che le decisioni dei responsabili ne tengano conto, cosicché l’ambiente non venga sacrificato ad uno sviluppo industriale dissennato: la vera vittima, nel caso, sarebbe l’uomo, saremmo tutti noi». Eppure in tutti questi anni, scrivono ai vescovi, la situazione è «non solo notevolmente peggiorata», ma si è «estesa quasi all’intera regione»: «Tre fabbriche pugliesi, l’Ilva di Taranto, la centrale Enel di Cerano e il petrolchimico di Brindisi (in parte dismesso) fanno del Salento la zona che emette il più alto tasso di anidride carbonica in Italia», per non parlare di «polveri sottili e numerose altre sostanze dichiaratamente tossiche, quando non direttamente cancerogene»; «il Salento è responsabile della produzione del 10% della diossina rilasciata in Europa e del 90% della diossina rilasciata in Italia (segno del livello preoccupante raggiunto da questo degrado ambientale è la presenza di diossina nel latte materno)»; «il sistema di smaltimento dei rifiuti è garantito per lo più dall’uso di inceneritori» che «rilasciano nell’aria particolato ultrafine che le più moderne tecnologie fanno fatica a rilevare e che è all’origine di svariate forme di neoplasie (in taluni casi parte degli agenti inquinanti giunge persino a modificare il patrimonio genetico degli esseri viventi)».

«Alla luce di questi elementi – si legge ancora nella lettera aperta – non stupisce il dato secondo il quale in Puglia solamente negli ultimi 10 anni i tumori siano aumentati del 30%» e «a Taranto la perizia epidemiologica ordinata dalla magistratura ha addirittura accertato un eccesso di mortalità per emissioni industriali di 30 unità l’anno, oltre due al mese», come peraltro viene denunciato dalla fine degli anni ’80. L’industrializzazione del territorio, dalla chimica di base alla siderurgia, dall’energia alla farmaceutica, «ha dato lavoro a decine di migliaia di famiglie, quasi tutte provenienti dall’agricoltura e molte con esperienze di emigrazione in Europa centrale, e ne ha profondamente modificato gli stili ed i tenori di vita», e «ha accresciuto la ricchezza ed il prestigio del nostro Paese ed anche il reddito delle nostre province», riconoscono gli estensori della lettera. Ma «nel contempo, spesso in coincidenza di incidenti industriali e della previsione di nuovi impianti, cresceva la consapevolezza che si stava realizzando un impatto negativo non trascurabile sulla salute dei lavoratori» e sull’ambiente. «Diventa pertanto urgente elaborare un modello di sviluppo più consono alle esigenze reali di questa regione che prenda in considerazione anche la dimensione salvifica insita in un modus vivendi che sia francescanamente armonico con il dono della creazione», mettendo in atto alcune «pratiche virtuose»: «Decementificazione», «rimboschimento», «restauro storico-naturale del territorio», «bonifica dagli inquinanti», «sviluppo della raccolta differenziata e azione di smaltimento che consenta di avvicinarsi il più possibile alla meta dei “rifiuti-zero”», «sviluppo di forme di agricoltura incentrate sulle filosofie del biologico», «recupero della biodiversità naturale e agro-pastorale», «promozione della conoscenza partecipata del territorio», «tutela dei beni comuni», «incremento della produzione energetica mediante fonti rinnovabili con implementazioni davvero eco-sostenibili», «risparmio ed efficienza energetica».

Per questo, i firmatari della lettera aperta chiedono ai vescovi pugliesi «di offrire alle nostre Chiese un documento che ci aiuti, mediante l’indicazione di alcune linee pastorali, a rispondere in modo efficace, sia come comunità che come singoli cristiani, all’appello che Dio ci sta rivolgendo qua in Puglia attraverso il creato il quale “geme – lo percepiamo, quasi lo sentiamo – e attende persone umane che lo guardino a partire da Dio” (Benedetto XVI, Incontro con il clero di Bressanone, 6 agosto 2008)»; «di istituire una specifica commissione, in cui siano presenti esperti della nostra terra da sempre impegnati per la salvaguardia del creato, che possa fornirvi le informazioni di carattere scientifico di cui di volta in volta sentirete la necessità nella lettura della situazione ambientale del nostro territorio»; di sensibilizzare la classe politica pugliese «perché prenda sempre più coscienza della situazione in cui versa questo territorio ed operi scelte sempre più consone ad un sviluppo realmente rispettoso dell’ambiente». (luca kocci)

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