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«ALLA GIUSTIZIA NON CREDIAMO PIÙ». IN BRASILE UNA COMUNITÀ INDIGENA A RISCHIO STERMINIO

Tratto da: Adista Notizie n° 38 del 27/10/2012

36893. VÁRZEA GRANDE-ADISTA. Per la comunità guarani kaiowá di Pyelito Kue/Mbarakay, nello Stato brasiliano del Mato Grosso do Sul, non deve essere sembrato mai così remoto il mito guarani di una terra senza mali: di fronte al decreto di espulsione dalle sue terre ancestrali emanato dalla magistratura  federale di Navirai, organo di “giustizia” di una terra che di mali appare invece ricolma, la comunità indigena ha detto basta, annunciando, in una drammatica lettera, la decisione di andare incontro collettivamente alla morte sulla terra dei propri antenati. «Abbiamo ormai perduto la speranza di sopravvivere in maniera degna e senza violenza nel nostro antico territorio», scrive la comunità, di cui fanno parte 100 adulti e 70 bambini. «Alla giustizia brasiliana – aggiunge – noi non crediamo più. Se è la stessa giustizia federale che alimenta le violenze contro di noi, a chi potremmo mai denunciare gli attentati commessi contro le nostre vite?».

Accampata da oltre un anno ai margini del fiume Hovy, nei pressi del territorio tradizionale Pyelito Kue/Mbarakay, la comunità, che ha già sofferto la morte di quattro persone, due per suicidio e due in seguito alle violenze dei pistoleiros, denuncia nella lettera la mancanza totale di assistenza, l’isolamento a cui è condannata, l’impossibilità di mangiare più di una volta al giorno, le aggressioni delle guardie private assoldate dai latifondisti, e tutto ciò nella speranza di recuperare il proprio territorio tradizionale, dove sono custoditi i resti degli antenati. Una speranza andata ora definitivamente in frantumi con il decreto di espulsione sollecitato e ottenuto dai fazendeiros della regione di Iguatemi, tanto più grave in quanto – come denuncia il Consiglio di Aty Guasu (Assemblea Generale Guarani) – l’accampamento indigeno si trova al di fuori del territorio della fazenda. «Moriremo tutti in poco tempo», scrivono gli indigeni: «Non abbiamo e non avremo alcuna prospettiva di vita degna e giusta, né qui, ai margini del fiume, né lontano da qui». Ed è per questo che chiedono al governo e alla magistratura federale di sostituire l’ordine di sgombero con un «decreto di sterminio»: «È questa – scrivono – la nostra richiesta ai giudici. Decretino la nostra morte collettiva e ci seppelliscano qui, dal momento che siamo unanimemente decisi a non uscire da qui né vivi né morti». 

In tanti si sono attivati per scongiurare il rischio di questo «martirio collettivo», come lo ha definito Egon Heck, coordinatore del Consiglio Indigenista Missionario (Cimi) del Mato Grosso do Sul nel suo appello per un’ampia mobilitazione che obblighi il governo a intervenire per impedire questa e altre  tragedie, adottando «misure urgenti per risolvere la questione della demarcazione delle terre indigene». «Non possiamo tacere – dichiara il missionario – di fronte al clamore della comunità kaiowá guarani», già «profondamente ferita, fin dagli anni ’80, da innumerevoli suicidi rituali di giovani e adolescenti».

Quello degli indigeni, si legge in una lettera del Centro di Studi biblici (Cebi) del Mato Grosso, è «un ultimo grido di disperazione», lanciato da chi ritiene preferibile una morte collettiva nella terra degli antenati piuttosto che una morte lenta «nella miseria e nella solitudine in una periferia urbana». A quasi 40 anni di distanza dallo storico documento “L’indio, colui che deve morire”, diffuso il 25 dicembre del 1973 da un gruppo di vescovi e di missionari per denunciare lo sterminio dei popoli indigeni condotto negli anni della dittatura militare, il Cebi chiede «all’attuale governo democratico e alla magistratura federale di adottare ogni misura per porre fine all’etnocidio, poiché “i popoli indigeni devono vivere”». Sta al governo e alla magistratura, prosegue la lettera, «optare per lo sterminio o per la dignità del popolo originario. E l’unico modo per evitare lo sterminio è quello di demarcare urgentemente e definitivamente i suoi territori». (claudia fanti)

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