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15 LEADER CRISTIANI AL CONGRESSO USA: BLOCCATE GLI AIUTI MILITARI A ISRAELE

Tratto da: Adista Notizie n° 39 del 03/11/2012

36907. WASHINGTON-ADISTA. Israele viola i diritti umani dei palestinesi, minando la possibilità di una pace giusta e duratura nella regione, e per questo gli Stati Uniti dovrebbero riconsiderare gli aiuti militari che inviano al governo attualmente guidato da Benjamin Netanyahu. Ad avanzare la richiesta 15 leader cristiani statunitensi che, il 5 ottobre scorso, hanno scritto una lettera ai componenti del Congresso: tra gli altri, Mark Hanson, a capo della Evangelical Lutheran Church in America; Gradye Parsons, della Presbyterian Church; Rosemarie Wenner, presidente del Council of Bishops dell’United Methodist Church; Peg Birk, leader della National Council of Churches; e, per parte cattolica, Kathy McKneely a capo dell’Ufficio Global Concerns di Maryknoll e Eli S. McCarthy, della Conference of Major Superiors of Men (CMSM).

«Per decenni abbiamo sostenuto israeliani e palestinesi nel loro desiderio di vivere in pace», scrivono i 15, e, «attraverso questa esperienza, abbiamo potuto toccare con mano il dolore e la sofferenza causate agli israeliani dai palestinesi e ai palestinesi dagli israeliani». «Purtroppo – proseguono – gli incondizionati aiuti militari degli Usa a Israele hanno contribuito al deterioramento della situazione, alimentando il conflitto e minando le speranze di sicurezza a lungo termine dell’una come dell’altra parte». Accuse che, proseguono i leader cristiani, trovano conferma nel report sui diritti umani prodotto nel 2011 dal Dipartimento di Stato Usa che «descrive le diffuse violazioni dei diritti umani commesse da Israele contro i civili palestinesi, molte delle quali compiute attraverso l’uso improprio di armi fornite dagli Usa».

I 15 lamentano poi che il governo di Israele ha disatteso le politiche Usa che mirano al raggiungimento della pace: «In particolare, le ripetute richieste da parte del governo di fermare gli insediamenti sono state ignorate. Dal 1967, tutte le amministrazioni succedutesi alla Casa Bianca hanno denunciato che gli insediamenti israeliani nei Territori Occupati sono di ostacolo alla pace. Ciononostante, Israele continua a espandersi in Cisgiordiania e a Gerusalemme Est, reclamando territori che per il diritto internazionale e le politiche statunitensi dovrebbero appartenere a un futuro Stato palestinese». «Vogliamo essere chiari», proseguono, «ci rendiamo conto che Israele ha il diritto e il dovere di proteggere il suo territorio e i suoi cittadini. Tuttavia, le misure che mette in campo devono essere conformi al diritto umanitario internazionale».

«È nostra responsabilità morale – scrivono ancora i 15 – mettere in discussione gli incondizionati aiuti finanziari degli Usa al governo di Israele» che servono «solo a mantenere lo status quo e l’occupazione militare israeliana nei Territori Occupati». «Di conseguenza – concludono –, chiediamo un’immediata indagine sulle possibili violazioni da parte di Israele del Foreign Assistance Act (che proibisce aiuti e assistenza a ogni Paese coinvolto in violazioni dei diritti umani) e dell’Arms Export Control Act (che limita l’uso di armi statunitensi per la “sicurezza interna” e la “legittima difesa”) e invitiamo il Congresso a effettuare un controllo accurato per assicurarsi che il nostro aiuto non sostenga azioni del governo israeliano che minano prospettive di pace».

Ma la comunità ebraica statunitense non sembra aver preso tanto bene l’iniziativa. Il 17 ottobre scorso il Jewish Council for Public Affairs e altre sei organizzazioni ebraiche (tra cui l’American Jewish Committee e il Central Conference of American Rabbis) hanno annunciato la cancellazione della consueta tavola rotonda ebraico-cristiana sul dialogo interreligioso – che si tiene dal 2004 – prevista per il 22-23 ottobre scorsi; proponendo al suo posto un incontro ad hoc con i partecipanti che hanno firmato la lettera allo scopo di delineare un percorso più positivo per le rispettive comunità.

«È stato un passo troppo lungo» ha commentato il rabbi Steve Gutow, presidente del Jewish Council for Public Affairs: «La partecipazione di questi leader all’ennesima campagna anti-Israele non può essere considerata estranea al brutale anti-sionismo che è cresciuto incontrollato in alcune di queste Chiese». «L’aiuto statunitense a Israele non è “incondizionato” come dicono. Riflette i valori condivisi da Stati Uniti e Israele e favorisce i nostri obiettivi comuni per la pace e la sicurezza» (Jewish Telegraphic Agency, 9/10). «Mentre il mondo è focalizzato sulla minaccia nucleare rappresentata dall’Iran per il Medio Oriente e il mondo intero, i leader cristiani hanno scelto di sferrare un nuovo attacco a Israele», gli ha fatto eco il rabbi Noam Marans dell’American Jewish Committee. «Mentre la libertà religiosa e la sicurezza dei cristiani in Medio Oriente è minacciata dalle ripercussioni della Primavera araba, questi leader hanno scelto di dare vita a una polemica contro Israele, un Paese che tutela la libertà religiosa di tutti» (Jewish Telegraphic Agency, 9/10).

È stato «un passo drammatico», ha spiegato, auspicando che il dialogo riprenda al più presto, Antonios S. Kireopoulos, del National Council of Churches, ma è «frutto della frustrazione data dal vedere che la situazione non si sta muovendo in modo costruttivo» (The New York Times, 20/10). (ingrid colanicchia)

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