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I COMMENTI AL DISCORSO DI S. AMBROGIO: LA LAICITÀ SI “SCOLA” IN UN SORSO

Tratto da: Adista Notizie n° 46 del 22/12/2012

36973. MILANO-ADISTA. Ovvio che un discorso come quello pronunciato per Sant’Ambrogio dal cardinale di Milano Angelo Scola, che ribalta totalmente il tradizionale concetto di Stato laico, abbia suscitato reazioni sia in ambito cattolico, che evangelico e laico.

Partiamo dalla base ecclesiale. Per Vittorio Bellavite, portavoce nazionale di Noi Siamo Chiesa, «la linea esposta da Scola è quella che è stata elaborata e praticata, dall’inizio ad oggi, nell’ambito di Comunione e Liberazione». Il cattolicesimo democratico e la sinistra cristiana, invece, avevano «imparato analisi diverse sulla democrazia, sul “mondo” e sulla nostra presenza in esso dalla riflessione del cattolicesimo democratico, in particolare da Giuseppe Lazzati». «Sapevamo – afferma Bellavite – che la neutralità dello Stato è un valore anche “cristiano” e permette ad ogni essere umano, singolarmente o in modo comunitario, di aprirsi al trascendente, a maggior ragione perché in una cultura della libertà di coscienza e di religione. Sappiamo dalla storia quanto la Chiesa debba riconoscersi debitrice nei confronti dell’Illuminismo sul riconoscimento dei diritti umani (tanto a lungo avversato) e nei confronti di chi aprì la breccia di Porta Pia . Avevamo letto la Gaudium et Spes con le parole di fiducia e di apertura al “mondo” del suo famoso incipit e con il suo capitolo IV sulla “Vita della comunità politica”». Piuttosto, «semmai dovessimo approfondire le caratteristiche della presenza concreta, nella società italiana, della Chiesa nella sua dimensione istituzionale bisognerebbe parlare delle compromissioni, sia recenti che antiche e a senso unico, col potere politico nel nostro Paese e ancora di più nella nostra regione e della sua permanente azione di lobby nello stoppare, nel chiedere, nell’organizzare troppo su troppe questioni, sia in modo pubblico sia in modo non trasparente».

Le valutazioni della segreteria tecnica delle Comunità Cristiane di Base si concentrano invece su altri aspetti sollevati dal discorso di Scola: tra questi, «l’associazione, storicamente assai discutibile, fra la promulgazione dell’Editto costantiniano del 313 con l’inizio della libertà religiosa»: una circostanza, affermano le CdB, smentita dalle «persecuzioni cristiane inferte alle religioni tradizionali dell’Impero romano cosiddette pagane, per proseguire poi contro le fedi indigene dei mondi nuovi dall’America all’Africa e, perfino a Roma e fino all’Ottocento, in tempi di papa re, le conversioni coatte dei bambini ebrei sottratti alle famiglie d’origine». Altra questione, quella «forse quella politicamente più rilevante», riguarda «un’interpretazione assai capziosa della laicità dello Stato identificata dal cardinale Scola in una “cultura dominante” che diffonderebbe una “visione secolarizzata dell’essere umano e del mondo”»: «Eppure – affermano le CdB – in tutti gli Stati moderni siamo ancora ben lontani da una prassi di laicità degli Stati e dei governi; dette per di più nel contesto italiano, le parole dell’arcivescovo ambrosiano suonano a protezione delle opere e della loro “Compagnia”, soprattutto quando si evoca “il cattolicesimo popolare ambrosiano” e le sue reti».

Chiamata alle armi contro lo Stato laico

Critiche al discorso di Scola sono però piovute anche dalle altre confessioni cristiane, a partire dalla Chiesa evangelica. Paolo Naso, coordinatore della Commissione studi della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (Fcei) ha detto che le parole dell’arcivescovo di Milano lasciano «sorpresi e sbigottiti perché aggrediscono quel principio di laicità che costituisce, oltre che un caposaldo della nostra Costituzione, l’architrave di ogni modello di convivenza tra fedi diverse nello spazio pubblico». L’obiettivo sembra preciso: «Richiamare il suo gregge al fatto che il pastore è cambiato, che il tempo di Martini e Tettamanzi è ormai finito e con esso quello spirito di pluralismo, di laicità e di dialogo che per una lunga stagione hanno caratterizzato il cattolicesimo ambrosiano. Ruvidamente, come ruvide sono state le parole udite dalla Cattedra di Sant’Ambrogio, potremmo definirla “restaurazione”».

Anche per il pastore valdese Eric Noffke (Nev, 12/12) quello di Scola non è altro che l’«auspicio a tornare al confessionalismo di Stato; il suo riferimento ad un presunto modello americano (che, è stato fatto notare correttamente, in quei termini oggi non esiste neanche più) sembra più uno specchietto per le allodole che una proposta seria. In realtà, in prossimità della campagna elettorale, Scola ha voluto mandare ai milanesi tutti, a cominciare dal loro sindaco, il chiaro messaggio che le cose, nell’arcidiocesi di Milano, sono cambiate». Tutto questo «ripropone la domanda se una certa gerarchia cattolica voglia davvero porsi come interlocutrice in un dialogo pubblico». A tutta prima, a leggere le parole di Scola, sembrerebbe, dice Noffke, di poterle intendere come «una chiamata alle armi contro lo Stato laico; d’altra parte tutto il lavoro di Comunione e Liberazione non esprime proprio questo progetto?»

Libertà religiosa, dono dell’Illuminismo

Tra gli intellettuali cattolici, Vito Mancuso, su Repubblica, si concentra invece sull’affermazione di Scola secondo la quale occorre «ripensare il tema della aconfessionalità dello Stato», facendo in modo che lo Stato passi da una visione pluralista a una visione culturalmente in grado di sostenere le «dimensioni costitutive dell’esperienza religiosa: la nascita, il matrimonio, la generazione, l’educazione, la morte». «Insomma – sintetizza Mancuso – i cosiddetti valori non negoziabili tanto cari a Benedetto XVI, cioè vita, scuola, famiglia, da intendersi alla maniera del Magistero cattolico attuale (che non è detto coincida con il vero senso del cristianesimo). Prova ne sia proprio il tema della libertà religiosa, la quale, se è giunta a essere un patrimonio della Dottrina sociale della Chiesa, è solo grazie alla lotta in favore dei diritti umani da parte della laicità illuminista. La libertà religiosa è stata il dono della laicità al cristianesimo. Senza lo Stato laico, senza la sua volontà di rispettare le minoranze come quelle dei valdesi e degli ebrei dando loro gli stessi diritti della maggioranza cattolica, la Chiesa non sarebbe mai giunta al documento Dignitatis humanae del Vaticano II che apre finalmente la gerarchia cattolica alla libertà religiosa, dopo ben 1.573 anni (distanza temporale tra la Dignitatis humanae del 1965 e l’ultimo decreto di Teodosio del 392)! Per rendersene conto è sufficiente leggere i documenti pontifici che durante la modernità condannavano aspramente la lotta dei laici e di alcuni teologi a favore della libertà religiosa, come per esempio le parole di Gregorio XVI che nel 1832 bollava la libertà religiosa come deliramentum o le parole di Pio IX nel 1870 o quelle di Leone XIII nel 1888».

Tra gli studiosi laici, Stefano Rodotà (Repubblica, 13/12) critica la ricostruzione storica fatta dal card. Scola, sostenendo che si è costruito un «modello di comodo», pieno di omissioni, funzionale a qualcosa di più che ad una «una ripulsa della laicità». Secondo Rodotà dietro le parole di Scola «vi è la negazione della libertà della coscienza e l’affermazione che la definizione dell’antropologia del genere umano è prerogativa della religione. Non siamo di fronte a una discussione dei temi complessi della secolarizzazione, ma al programma di una restaurazione impossibile, dunque destinato non a promuovere dialogo, ma conflitti intorno alla ritornante affermazione di valori “non negoziabili”». (valerio gigante)

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