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Una storia sacra che abbraccia l’universo. Il dialogo necessario tra scienza e fede

Tratto da: Adista Documenti n° 5 del 09/02/2013

DOC-2502. SANTIAGO DE COMPOSTELA-ADISTA. Che, da Galileo in poi, il rapporto tra scienza e fede sia stato quantomeno problematico - tra aperti conflitti, tregue più o meno prolungate e persistente diffidenza reciproca - è a tutti noto. Tuttavia, tra i due opposti fuochi del fondamentalismo biblico («nella sua versione classica del cosiddetto “creazionismo” e in quella moderna del “disegno intelligente”») e del riduzionismo scientifico, è senz’altro possibile «una relazione fondata sul riconoscimento espresso da entrambe le parti dei propri limiti, su un attento e reciproco ascolto, su un mutuo arricchimento e, chissà, su un qualche tipo di integrazione». È con questa convinzione che Ramón Cao Martínez ha aperto, il 27 ottobre scorso, i lavori della XXVII edizione del Forum promosso da Encrucillada, “Rivista gallega di pensiero cristiano” (www.encrucillada.es), quest’anno centrato sul tema “Scienza e fede, il dialogo necessario”, a cui hanno preso parte Camino Cañón, direttrice della cattedra di “Scienza, tecnologia e religione” della Pontificia Università di Comillas di Madrid, il teologo Andrés Torres Queiruga e il fisico Carlos Pajares Vales, docente di Fisica Teorica all’Università di Santiago de Compostela.
«La fisica, la biologia, la cosmologia – ha proseguito Ramón Cao Martínez – ci consentono di vedere l’universo e noi stessi in modo inedito, ponendoci dinanzi alla prospettiva di una distanza temporale, di un’estensione spaziale e di una complessità insondabili». Una complessità così profonda che, in base alla teoria quantistica, neppure il vuoto è tale, presentando fluttuazioni energetiche come un liquido in perenne ebollizione (Leonardo Boff immagina questa “energia di fondo” come una specie di oceano illimitato, indescrivibile e misterioso, in cui, come in un utero infinito, sono ospitate tutte le possibilità e le virtualità dell’essere). Una complessità che siamo ben lungi dallo sciogliere, se è vero, ad esempio, che la materia che conosciamo, quella che si “vede” (emettendo una qualche forma di radiazione elettromagnetica), rappresenta solo il 4% della massa dell’universo, essendo costituito il resto, per un 26%, dalla “materia oscura” - che fa sentire la propria presenza grazie alla sua forza di attrazione gravitazionale, ma che non sappiamo ancora cosa sia - e, per  il restante 70%, dall’“energia oscura”, di origine ancora sconosciuta, ma fornita di una proprietà particolare, una gravità che non attrae ma respinge, con la conseguenza che l’universo, invece che rallentare come dovrebbe, si sta espandendo a un ritmo accelerato. Questione, quella di tale accelerata espansione, che rimanda alle diverse teorie sul futuro dell'universo, come quella secondo cui la forza effettiva dell'energia oscura continuerà a crescere fino a distruggere tutte le strutture legate dalla gravità, galassie e sistemi solari compresi, fino agli atomi stessi, facendo terminare l'universo con un Big Rip (grande strappo): ogni oggetto fisico dell'universo, cioè, sarebbe alla fine fatto a pezzi e ridotto a particelle elementari non legate tra loro. O quella in base a cui l'energia oscura potrebbe, al contrario, scomparire con il tempo, o addirittura diventare attrattiva, portando l'universo ad una contrazione cosmica detta Big Crunch, senza escludere la possibilità di un'infinita sequenza di universi finiti, ognuno dei quali avrebbe termine con un Big Crunch coincidente con il Big Bang del successivo. O, ancora, le teorie secondo cui il nostro universo non sarebbe unico, ma farebbe parte, insieme ad innumerevoli altri, di un multiverso, questo sì eterno, cosicché, come ha scritto il fisico Marcelo Gleiser, «ciò che chiamiamo Big Bang sarebbe appena l’evento che ha segnato l’inizio della nostra narrativa cosmica: altri universi avrebbero i loro Big Bang e le loro storie».
Ma qual è la relazione tra questa nuova immagine dell’universo e della vita (la percezione dei tre infiniti, l’infinitamente grande, l’infinitamente piccolo, l’infinitamente complesso) e il racconto della creazione e della salvezza che alimenta la nostra fede? Possiamo offrire un’interpretazione del cristianesimo che sia compatibile tanto con la fede biblica quanto con la scienza contemporanea?». Di certo, se, come aveva avuto modo già in passato di evidenziare Torres Queiruga (v. Adista n. 76/10), pensare che il metodo scientifico possa dare una risposta alla domanda sull’esistenza di Dio sarebbe «come pensare che la fisica possa un giorno determinare il peso dell’amore», la visione trasmessa dalla scienza può senz’altro aiutare la teologia non solo a purificare l’immagine di Dio, ma anche a formulare i contenuti della fede in un linguaggio che risulti comprensibile agli uomini e alle donne di oggi. Nella convinzione che - come ha espresso Carlos Pajares Vales nel suo intervento, di cui riproduciamo qui di seguito ampi stralci in una nostra traduzione dal gallego - «Dio non ha creato un mondo finito o predeterminato, ma un mondo che ha permesso alle creature di farsi da sole, secondo potenzialità sorte per mezzo di un processo evolutivo cosmico e terreno». (claudia fanti)

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