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Parole sincere?

Parole sincere?

Tratto da: Adista Notizie n° 23 del 22/06/2019

Quelle che seguono sono riflessioni dopo la lettura meditata del documento della Congregazione per l’Educazione cattolica “Maschio e femmina li creò”. Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione, uscito pochi giorni fa dal Vaticano. Procederò per nuclei.

1. Con un documento ufficiale si danno linee guida alle scuole cattoliche (e a tutti i cattolici e a tutte le cattoliche) sulle questioni inerenti all’identità sessuale e – sottotraccia – si chiede loro di mobilitarsi per impedire l’avanzare di un pensiero unico: l’ideologia del gender. Non entro nel merito di questa cosiddetta ideologia; mi limito a osservare che il testo in questione, sul piano del metodo, non offre affatto un esempio di cultura inclusiva e dialettica: le fonti prese in esame sono tutte e solo fonti di parte, la propria. Attingono solo all’universo del Magistero della Chiesa cattolica. Ci si sarebbe aspettati che i riferimenti testuali della cosiddetta Ideologia del gender fossero onestamente citati, senza i filtri.

2. Ancora sul metodo. In un testo il cui fine è salvaguardare «la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna», mi sarei aspettata un’attenzione adeguata all’uso del lessico, e in particolare dei termini uomo e donna. Ma così non è: la parola uomo viene usata per designare entrambi i generi, sussumendo donne e uomini nel lemma UOMO. E poiché la forma è sostanza, aggiungo che la citazione, al §31 («Dio creò l’uomo a sua immagine […] maschio e femmina li creò» contiene un'altra ombra. Non pochi esegeti maschi (e ovviamente molte donne) si sono congedati dalle traduzioni che usavano il termine UOMO, e hanno assunto la forma lessicale Adàm, essere asessuato che si definirà sessualmente nelle forme – cogenerate – di maschio e femmina.

3. Quasi tutti i temi presenti nel documento sono stati elaborati da decenni oramai dalla teologia femminista; per riprendere la questione delle fonti, il documento si appropria a man bassa di tale pensiero senza nominarlo. Si tratta di una vera costellazione tematica (che comprende per esempio la centralità della relazione), ma mi concentro qui esclusivamente su un caposaldo filosofico, quello delle dicotomie su cui la cultura patriarcale ha edificato il proprio ordine del mondo: ragione/volontà vs. sentimenti; spirito vs. materia; pensiero vs. corpo, sfera pubblica vs. sfera privata, ecc. Nell’ordine patriarcale, il maschile viene associato al primo elemento della coppia, il femminile al secondo. L’uomo è il genere che accede al sacro, rappresenta razionalità, volontà, dominio sui sentimenti, capacità di governo. Come l’esito di un sillogismo, il dominio maschile ne è la logica conseguenza, fondata sull’assunzione di una superiorità “innata”, contrabbandata come legge naturale.

I femminismi, fin dagli anni ‘70, con la celebre formula “Il personale è politico” e con l’uscita del testo Noi e il nostro corpo – per fare solo due esempi – hanno colto la necessità di una saldatura delle polarità di cui s’è detto, nell’orizzonte di quella visione integrale della persona (su cui insiste il documento) che il pensiero maschile ha compiuto. È bene ribadire che si tratta di una responsabilità maschile, che esigerebbe una seria autocritica, come primo passo per una società più matura e responsabile. Il testo della Congregazione nasconde tutto ciò, nonché quanto libri importanti, come quello della teologa Elizabeth Moltmann Wendel (Il mio corpo sono io, Queriniana, 1996) non si stancano di affermare: il cristianesimo, religione dell’incarnazione, ha poi rinnegato il corpo.

4. Denunciare la banalizzazione della sessualità e la riduzione del corpo a “materia inerte”, (a causa – come si dice nel testo – delle ideologie dell’identità liquida) quale esito può avere se l’istituzione che pronuncia tali frasi non solo non ha fatto i conti con il proprio passato misogino, ma tuttora è strutturata sul disconoscimento della pari dignità delle battezzate?

5. Una parola conclusiva come commento? Insincerità. Le parole recenti di un articolo di Lilia Sebastiani mi appaiono azzeccate: «Dal clericalismo derivano l’abuso di potere e di coscienza e l’abitudine all’insincerità. Nella comunità dei/delle discepoli/ e di Gesù, l’unico primato è quello del servizio. Nessuno lo ha negato mai, a parole».  

Paola Cavallari è responsabile dell’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne; è socia del Coordinamento Teologhe Italiane e redattrice di Esodo.  

 

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