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PRIMO PIANO. La cura del proporzionale

PRIMO PIANO. La cura del proporzionale

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 6 del 19/02/2022

L'investitura di Mattarella incorpora la crisi democratica senza, peraltro, risolverla. Il binomio Mattarella/Draghi costituisce una torsione presidenzialista evidente, nei confronti della quale occorre esercitare vigilanza democratica collettiva.

Partiamo, innanzitutto, dalla lettera dell'art. 85 della Costituzione: «Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni». La Costituzione non prevede, anche se non esclude, il secondo settennato. Quattordici anni sono troppi. Non è illegittimo, ma certamente anomalo. Altrettanti anni durò solo in Francia Mitterand. Il presidente, al di là di meriti ed intenzioni, rischia di diventare un monarca repubblicano. Napolitano, nel 2013, usò la frusta contro il Parlamento incapace di soluzioni. (continua a Mattarella ha usato la capacità di convincimento, pur ammonendo con decisione al recupero della dignità (parola chiara e molto positiva del suo intervento).

Mattarella non tiene, peraltro, conto che il richiamo alla "normalità" di rapporti corretti tra esecutivo e Parlamento, pur necessaria, è già in gran parte dissipata all'interno della grave crisi dei valori costituzionali. Il Parlamento "deve" recuperare la centralità perduta. Intanto, però, continua a delegare, ad affidarsi alla coppia Mattarella/ Draghi, soprattutto nei confronti dell'Unione Europea. Ma la "strana coppia" alimenta anche l'instabilità politica, contemporaneamente. Quanto durerà? E cosa vorrà fare nel futuro Draghi? Ritenterà con le sue ambizioni quirinalizie?

Siamo nel buio più assoluto. Sono, peraltro, convinto che il Parlamento abbia dimostrato, per disperazione, un sussulto di dignità, sconfiggendo le due autocandidature: quella, grottesca e grave, di Berlusconi; e quella, più seria ma pericolosa, di Draghi. L'elezione di Draghi ci avrebbe fatto scivolare, in maniera confusa, verso una forma di quinta Repubblica gollista. Draghi non aveva forse compreso che doveva essere lui a rispettare la Costituzione, non la Costituzione ad adattarsi a lui. La sua pericolosa tentazione era di diventare presidente della Repubblica con un tecnico da lui diretto come presidente del Consiglio: un iperpresidenzialismo di fatto. Draghi, quando ha presentato la sua autocandidatura, non ha compreso il dettato dell'art. 87 della Cost.: «Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale». Se avesse svolto, nei fatti, anche la funzione di capo del governo, cioè di una maggioranza, non avrebbe certo potuto rappresentare l'"unità nazionale". Una ferita grave inferta alla Costituzione, sovrapponendo distinzioni e autonomia dei poteri, senza regole e senza alcun bilanciamento dei poteri (previsto, comunque, anche nelle varie forme di regimi presidenziali).

Dal punto di vista delle riforme istituzionali, ormai ineludibili, segnalo solo i due temi principali. Il primo, al quale sono decisamente contrario, è il presidenzialismo. Non agito uno spettro. Già le destre hanno presentato in Parlamento la proposta di elezione popolare diretta del Capo dello Stato. Le destre (la Meloni in primo luogo) fonderanno su questo profondo cambiamento della Costituzione la loro campagna elettorale. Non mi pare che, nel centrosinistra, vi siano antidoti e convinzioni forti per opporsi. Ne dovremo discutere a fondo, valutando cosa significhi un forte accentramento di poteri che sconvolgerebbe un assetto fragile ed equilibrato quale quello previsto come impianto della nostra Costituzione. Anche perché le travagliate giornate delle elezioni presidenziali hanno evidenziato la profonda crisi del sistema politico. Questa crisi è certamente anche protesi dei processi di accumulazione del capitale in una fase di crisi strutturale della globalizzazione liberista in un contesto pandemico. Con conflitti molto aspri intorno alla competitività: tra aziende, macroterritori, Stati. Questo contesto ha creato decenni di bipolarismo e di sistema elettorale maggioritario che hanno dissolto la rappresentanza politica. Non a caso sono entrate in crisi coalizioni farlocche, formatesi solo per vincere le elezioni, non certo per governare. È una lezione severa per i partiti. Occorre un cambiamento di rotta profondo. Penso che occorra passare al sistema elettorale proporzionale. Solo il proporzionale è, infatti, "specchio del Paese", come usava dire Togliatti. Il principio fondamentale che si accompagna all'impianto costituzionale è "una testa, un voto". Sarà solo la democrazia proporzionale che permetterà ai partiti di affrontare seriamente la propria crisi. Perché devono recuperare una identità, un punto di vista, un progetto. Oggi sono diventati comitati elettorali.

Occorre anche, finalmente, por subito mano, in Parlamento all'attuazione dell'articolo 49 della Costituzione: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». È un asse importante anche per ricostruire una rappresentanza democratica e di sinistra, autonoma e plurale, nella società oltre che nelle istituzioni.

La rielezione di Mattarella, in definitiva, è frutto certamente del desiderio di stabilità; ma per paradosso provocherà, credo, nel sistema politico grande instabilità, scomposizioni e ricomposizioni partitiche. Da qui dovremo ripartire. 

Giurista, Giovanni Russo Spena è stato membro dei Cristiani per il Socialismo, segretario di Democrazia Proletaria e senatore di Rifondazione Comunista   

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